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Lo scritto che si presenta ai nostri visitatori esoterici, è stato catturato dal periodico mensile Vidyā, Febbraio 2004. Il periodico è distribuito gratuitamente, chi fosse interessato può richiederlo a "Edizioni Āśram Vidyā via Azone 20, 00165 Roma". Il documento, opera d'ingegno di Mat K. introduce alla comprensione del testo Bardo Thötröl. Il contenuto non indica necessariamente la visione della Loggia o del GOI. Ogni diritto è riconosciuto. © Āśram Vidyā La libera circolazione del documento in rete è subordinata alla citazione della fonte e dell'autore.
Introduzione Il Bardo Thötröl è un libro nato nell'ambito del Buddhismo tibetano. Il Buddhismo è una dottrina fondata sull'insegnamento di Sâkyamuni Buddha vissuto nel VI secolo a.C. I tre aspetti fondamentali del Buddhismo, detti anche i tre gioielli, sono: il Buddha, il Dharma e il Sangha, ovvero l'insegnante, l'insegnamento e la comunità. Un Buddha è una persona "risvegliata" o "illuminata". La natura e la struttura della realtà sono comprese dall'illuminato attraverso la luce della consapevolezza. Il Dharma indica l'insegnamento o la dottrina, la pratica della dottrina e la sua realizzazione. Il Sangha invece sta a indicare il gruppo o la comunità dei praticanti. Questi tre aspetti (il Buddha, il Dharma e il Sangha) insieme costituiscono il rifugio del praticante buddhista. Il Bardo Thötröl è una sezione interna di un'opera più ampia intitolata "Il profondo insegnamento della liberazione naturale attraverso la comprensione dei Buddha-divinità miti e feroci" ed è attribuito a Padma Sambhava che è vissuto tra l'VIII e il IX secolo. Nella lingua tibetana "bardo" significa stadio intermedio e "thötröl" sta per insegnamento liberatorio o realizzativo. Così, Bardo Thötröl viene a significare "Il libro della liberazione naturale attraverso la comprensione dello stadio intermedio". Il libro interpreta le esperienze dello stato intermedio (bardo) tra la morte e la rinascita. La rinascita, nella visione buddhista, è intimamente legata all'azione evolutiva", meglio conosciuta come karma. Gli esseri umani mutano passando di esistenza in esistenza attraverso i vari regni della vita. I regni della vita secondo la tradizione buddhista sono sei: quello infernale; quello delle creature dette "spiriti affamati" che soffrono fame, sete, brama e frustrazione; quello del regno animale che è il prodotto della stratificazione dell'ignoranza, della follia e della stupidità; quello degli esseri umani dove i valori opposti (amore-odio, caldo-freddo, gioia-dolore, avidità-generosità, durezza-sensibilità) coesistono; quello degli angeli e infine quello degli dèi. Ebbene, gli esseri hanno la facoltà di attraversare tutti e sei i regni o progredendo o regredendo. Gli esseri possono evolversi in forme inferiori come in forme superiori di vita. Vi è un livello di vita sottile, mentale che porta con sé nelle vite successive i modelli causali karmici sviluppati in quelle precedenti. Una volta divenuti coscienti di tali fattori, gli esseri possono decidere il corso della propria evoluzione. Il karma non ha nulla a che fare con il fato, è un processo naturale di causa ed effetto. Quello che noi chiamiamo il karma è il risultato complessivo delle azioni precedenti. E questo forma un complesso che proietta i suoi effetti sul nostro corpo, sui nostri comportamenti e sulla nostra mente. A loro volta, le azioni prodotte nel presente attraverso il nostro corpo, la nostra mente e il nostro linguaggio danno origine a nuovi impulsi causali che determinano la natura e la qualità delle nostre vite nel futuro. Il nostro corpo si è sviluppato a seguito di una lunga evoluzione guidata dalle azioni precedenti e le nostre vite future dipenderanno direttamente dal modo in cui pensiamo e agiamo nel presente. Nel testo, gli stati intermedi di passaggio dalla vita alla morte e dalla morte alla rinascita vengono descritti con grande accuratezza. Come nel nascere ci sono precise sequenze di sviluppo, così anche nel morire. La morte è un processo di dissolvimento. Per la comprensione del processo della morte, è utile tenere presente che nella visione buddhista il corpo è fatto di cinque elementi-principi: terra, acqua, fuoco, aria e spazio. Quando la terra si dissolve nell'acqua, la forza fisica abbandona il corpo e ci si sente sprofondare, indebolire e disciogliere. L'aggregato materiale si decompone e il corpo sembra avvizzire. La vista si deteriora e le immagini diventano sfocate. Tutto appare come un miraggio d'acqua sull'asfalto di un'autostrada. Quando l'acqua si dissolve nel fuoco e i fluidi corporali sembrano inaridirsi le sensazioni cessano e ci si intorpidisce. L'udito se ne va e non si riesce più a sentire. Ci si sente circondati da una nuvola di fumo. Quando il fuoco si dissolve nell'aria e si ha il freddo, le nozioni svaniscono dalla propria mente. Le inspirazioni si indeboliscono e il naso non può più sentire alcun odore. Ci si sente come circondati da uno sciame di lucciole o da uno sfavillio. Quando l'aria si dissolve nello spazio si ferma il respiro e l'energia in circolo si ritira nel sistema nervoso centrale. La funzione della volizione scompare. La lingua si ingrossa e i gusti non vengono più percepiti. Anche la sensazione del tatto svanisce e le strutture fisiche si perdono. Ci si sente come avvolti dagli ultimi bagliori di una fiamma di candela. Da questo momento in poi si potrebbe essere dichiarati clinicamente morti. Gli elementi grossolani se ne sono andati. Le sequenze precise di questi avvenimenti e di quelli che verranno descritti in seguito sono desunti dall'osservazione e dai resoconti di persone "clinicamente morte" e che sono tornate in vita e dai resoconti di meditanti che hanno indotto e vissuto tali esperienze negli stati coscienziali intuitivo-meditativi. Durante il processo di dissoluzione avvengono tre tipi di distacchi: quando avviene il primo distacco, che riguarda il filo della coscienza, il morente perde il contatto con i cinque sensi di azione, ma non perde la consapevolezza del percepire. È uno stato simile al dormiveglia in cui si percepisce, ma non si ha la forza di reagire. Poi avviene il distacco o il disinnesto del filo dei due centri minori dei polmoni. E infine viene disinnestato il filo della vita ancorato al cuore. A questo punto l'astrazione dal corpo fisico si verifica in modo completo e definitivo. I componenti psicofisiologici toccati dal processo di dissoluzione sono la forma, la sensazione, la percezione, il processo di formazione dei concetti e la coscienza. Questi cinque elementi vengono chiamati nella tradizione buddhista gli skanda. Le tre fasi del Bardo sono, rispettivamente, la chikai-bardo (cioè il passaggio dalla vita alla morte, durante la quale al morente viene data la possibilità di riconoscersi nella trasparenza originaria della "chiara luce"), la chônyd-bardo (uno stato analogo a quello del sogno, dove si manifestano le illusioni karmiche e i principi archetipici personificati nelle divinità miti e feroci) e la sidpa-bardo che prospetta l'inizio dell'impulso alla rinascita. A ognuno di questi tre "bardi" o passaggi corrisponde anche uno stato particolare di essere. Così con il primo bardo si può realizzare il Dharmakâya, il corpo dell'illuminazione primordiale. L'illuminazione è potenzialmente copresente in ciascuno già dalla nascita. Occorre solo realizzarla consapevolmente. Con il Dharmakâya l'essere è fuori dal divenire-samsâra, perché l'anima individuale riconosce di essere identica alla "chiara luce bianca". Questo avviene nel modo seguente: la goccia bianca della coscienza (l'essenza maschile, lo "spirito dell'illuminazione" bianco) discende dal cervello, lungo il canale centrale sito all'interno della spina dorsale, fino al cuore. Interiormente ci si sente come se un cielo illuminato da bianca luce lunare pervadesse lo spazio della mente. Poi, la goccia della consapevolezza rossa (l'essenza femminile, lo "spirito dell'illuminazione" rosso) dal centro, che si trova nei genitali, sale verso il cuore. Ci si sente come pervasi da un cielo illuminato da luce solare arancione. La goccia rossa e la goccia bianca si incontrano nel cuore e avvolgono l'intera coscienza. Lentamente si passa nel regno della trasparenza della chiara luce, realizzando lo stato di coscienza non dualistica. La consapevolezza è chiara e priva di contenuti, infinita e svuotata di ogni costruzione, appare libera da ogni forma di soggettività o senso di oggettività. L'anima individuale riconosce di essere identica alla chiara luce bianca. Questo processo può essere descritto anche da altri punti di vista. L'essere umano è costituito da tre corpi: corpo fisico, corpo mentale o astrale e corpo spirituale. Ebbene, nel primo stadio del processo della morte, il corpo fisico e quello mentale cessano di esistere e all'anima, o alla consapevolezza individuale, viene data la possibilità di riconoscersi identica all'anima universale (chiara luce bianca). Durante il processo la coscienza si ritira dagli strumenti corporei (i sensi), dal funzionamento energetico del corpo e della mente (dalle capacità di agire, sentire e pensare). Possiamo considerare lo stesso percorso come un ritirarsi della coscienza dai centri energetici inferiori a quelli superiori. Nella comprensione tibetana l'intero percorso della morte attraverso il Dharmakâya (la dimensione della chiara luce), il Sambhogakâya (la dimensione del mondo immaginario-archetipico) e il Nirmânakâya (la decisione della rinascita corporea) ha una durata di circa 53 giorni. Le preghiere e le istruzioni possono essere studiate da tutti come preparazione alla morte per attraversare i tre passaggi ("bardi"). Il primo passaggio è dalla vita alla morte, dove la coscienza del morente riconosce di essere identica alla coscienza universale. A questo punto non vi è più bisogno di ulteriori istruzioni o comprensioni. Il secondo passaggio è quando all'anima-coscienza viene mostrata la propria intera vita con i valori e i disvalori. I valori e i disvalori sono i principi archetipici della bontà, della compassione, dell'amore, della saggezza, della verità, della bellezza, etc. da una parte, e dall'altra parte i principi negativi della cupidigia, orgoglio, avarizia, rancore, odio, disprezzo, brama del potere, etc. Questi principi appaiono al morente sotto forma di immagini di divinità miti o irate, secondo il caso. Se il soggetto riesce a riconoscersi nei principi archetipici positivi, tale riconoscimento farà da traghettatore verso lo stato originario dell'identità con la chiara luce. Altrimenti il soggetto dovrà sottostare all'impatto con le immagini personificate dei propri vizi. All'inizio del processo un soggetto ordinario ha bisogno di tempo per riconoscere che sta morendo. Una volta riconosciuto questo dato di fatto e una volta non riconosciuta la propria identità con la chiara luce bianca, il soggetto si confronta con le proprie proiezioni e costruzioni fantastiche. Quando pensiamo per lungo tempo a un evento o esprimiamo in modo reiterato una qualità, ad esempio l'amore, l'odio, l'invidia, l'avarizia, etc., la nostra sostanza psichica si modella fino a diventare un ente psichico che rimane dentro la nostra circonferenza vitale. Tale cristallizzazione causa la proiezione degli dèi pacifici o irati. Ogni contenuto psichico si palesa per mezzo di un simbolo, forma, immagine. Per esempio, la qualità odio si manifesta con una forma che può prendere le sembianze di un animale o di un demone, il quale cerca di aggredirci. Siamo condannati o innalzati dalla qualità dei nostri pensieri cristallizzati. Le divinità pacifiche come Ratnasambhava, Amitâbha, Amoghasiddhi e quelle irate (gli Heruka) sono le nostre cristallizzazioni. L'individuo sperimenta in concreto le sue qualità che si esprimono secondo particolari forme. Se non c'è il riconoscimento e l'integrazione dell'energia sottostante alle proprie qualità, occorrerà sperimentare il terzo bardo detto sidpa-bardo o Nirmânakâya. In altre parole, sperimentare di nuovo l'individualità con un nuovo corpo è il risultato delle tendenze e desideri latenti non risolti, non integrati e non superati. La prima fondamentale esperienza del Bardo è l'esperienza dell'incertezza relativa al fatto se si stia realmente morendo, nel senso di perdere contatto con il mondo concreto, oppure se si può andare avanti continuando a vivere. La confusione per quanto è successo e, infine, la paura di essere stati abbandonati nell'universo impediscono di riconoscere nella trasparenza della chiara luce la nostra più autentica dimora. Questo è il momento in cui gli insegnamenti trasmessi dal libro sono di maggiore aiuto. In condizioni ideali, il defunto dovrebbe averli appresi o praticati prima di morire. In caso contrario possono essere insegnati al momento della morte. Negli stati intermedi la coscienza si incarna in un corpo intermedio, quasi uno spettro, simile a quello che sperimentiamo nei sogni, ed è costituito da energie sottili strutturate dalle immagini presenti nella mente. ● Introduzione ● Sessione delle Preghiere ● Sessione delle Istruzioni ●
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