Capitolo IX

 

Che molti tengono la Chimica in odio, ed altri disdegnan l’uso di vegetabili e composizioni Galeniche, ambedue delle quali potendo, nei casi propri, essere d’effetto.

 

Come il palato degli uomini non ha lo stesso gusto, ma ciò che ad uno piace è dall’altro detestato, così i giudizi degli uomini divergono e quel che l’uno approva, l’altro nega, essendo ciò causato da simpatia o antipatia, che fanno loro abbracciar o odiar le cose, corrotte inoltre da pregiudizio o da ragione. Alcuni non osano assaggiar formaggio per tutta lor vita, altri se ne astengono ma solo per alcuni anni, alcuni bevono solo acqua, rifiutando vino, o birra; ed in tutto questo vi è grande varietà. Così è la differenza tra le menti, per cui due che si incontrano per la prima volta desiderano e ricercano l’amicizia dell’altro e, al contrario, persone che mai si son recate ingiuria si detestano.

Così accade a colui che, vedendo due giocatori, inizia a parteggiar per l’uno che più gli si confà, e vorrebbe che questi vincesse e proverebbe piacere alla sconfitta dell’altro, sebbene egli mai abbia ricevuto cortesia dal primo o danno o mala parola dal secondo. Ora, se la comprensione eccelle il gusto e la facoltà sensuale ed ottusa, tanto più un uomo veramente saggio sorpasserà colui che solo esternamente appare giudizioso.

L’uno con riflessione considera e pondera la materia, l’altro tende superficialmente ad apprendere in maniera avventata. Così molti uomini istruiti, i cui desideri non sono stati soggetti alla lor ragione hanno abusato di se stessi, ed hanno quindi definito buone alcune cose, allontanandone altre come cattive.

Sembrerebbe cosa strana in Medicina che alcuni dottori debbano solo prescrivere vegetabili e fisica galenica odiando la chimica di cuore; mentre altri, interamente inclini alle novità debbano rifiutar ogni medicamento che non sia chimicamente preparato. Ambedue le parti, nella mia opinione, sono guidate più dal desiderio che dalla ragione, perché io suppongo l’esser assolutamente necessario prima studiar la nostra antica, dogmatica Medicina, sia nelle sue parti speculative che pratiche per corregger i difetti già notati delle prime, seconde e terze qualità; e far lo stesso, poi, con la chimica, cosicché tutto sia senza sospetto o frode e quindi cominceremo con il vecchio, per proceder poi nel nuovo. Abbiamo già provato a sufficienza l’esistere di proprietà occulte e di virtù specifiche nei semplici, come mai venne negato dai galenici, che hanno inoltre affermato che queste proprietà non traggono la loro azione dalle loro qualità o gradi ma dalla loro natura, per mezzo della quale mitigano i sintomi e combattono la causa del malanno ristorando salute al corpo umano.

Se questo è vero, perché allora i fisici non mostran più attenzione nella raccolta e nella comprensione della natura dei semplici? Fernelio, nel suo libro De abditis rerum caussi afferma che questa virtù specifica, da lui detta forma, giace nascosta in ogni parte di un semplice ed è diffusa attraverso tutti gli elementi. Cosicché, l’acqua togliendo per via chimica, l’olio se ne estrae ed il sale si ottiene dalle ceneri, ciascuno di questi, acqua, olio e sale, avendo le virtù specifiche dei semplici, ma io credo non tutte equivalenti, ma se assieme unite, perfette e complete.

Avendo ciò evidenziato e confermato, dobbiamo confessare che il corpo esterno e tangibile di ogni semplice, che può essere schiacciato, tagliato, setacciato, bollito e mescolato con ogni altro, sia questo la corteccia o la carcassa, è l’abitazione della qualità dello specifico, essendone questa l’essenza e l’anima. E cosa diremmo adesso di quei preparati, fatti in farmacia, e contenenti bene e male, anzi, corruzione della peggior specie, in essi? Non rideremmo forse noi di colui il quale disdegna chi, essendogli comandato di chiamar qualcuno fuor dalla sua casa, gli dica di portarsi questa appresso? O che non può usar gli uccelli a meno che il nido non sia un ingrediente, o mangiar ostriche senza ingurgitarne la conchiglia?

Ma i farmacisti credono che ciò sia giusto, perché non sanno far di meglio. Le qualità occulte essendo così sottili che posson facilmente disperdersi ameno che vengano con cura osservate, e conservate o incorporate con grande abilità. La Canfora perde la sua forza se non viene curata con semi di lino. Il Rabarbaro si preserva nella cera o nello Spirito di Vino. I sali del sangue caprino evaporano se non son mantenuti sotto vetro. E che cosa potremmo noi dire delle qualità specifiche qualora separate dai lor corpi? Non tornerebbero esse ai loro principi primi? Perché chi mai potrebbe separar la qualità del bruciare dal fuoco, o quella del bagnare dall’acqua? Ma se ciò è impossibile nei corpi semplici, quanto più difficile sarà nei composti? Potrei io quindi sperare nell’uso di Medicine che sien giuste, possibili e ragionabili, perché è soltanto abbandonando ostentazione ed orgoglio che la verità prospera.

Peraltro potremmo concedere che in sciroppi, giulebbi e conserve la gran quantità di zucchero non blocchi l’opera naturale del semplice; e forse potremmo approvar l’uso di elettuari, oppiati ed antidoti, a meno che la moltitudine dei semplici ivi composti non ne abbia ad estinguere la virtù vera. Forse le pasticche, e tutto ciò che è amaro, acido, acuto, o le Medicine nauseabonde potranno far del bene, ma comunque queste distruggon l’appetito e causano disgusto, cosicché il paziente preferisce il male al suo rimedio. Se l’amaro, l’acido o l’acuto ed un sapor cattivo sono qualità specifiche, esse dovrebbero esser più controllate che liberamente usate, ma queste sono solo serve a lor padrone, d’uso per la Qualità Specifica, con la differenza vera scoperta dalla chimica, che, se correttamente usata, separa il puro dalle impurità.

Ma non fraintendete; noi non diciamo che i preparati chimici solo abbiano dello spirituale e nessun corpo, ma sono più penetranti e sottili, più purificati dei corpi grossolani appesantiti da grandi quantità di zucchero che li avvince e ne limita la libertà di agire e compiere l’opera loro. A questo punto potrete notare la follia e la pazzia di coloro che odiano la chimica, che invece dev’esser usata con gran cura e giudizio non essendo lavoro del fisico quello di bruciare, incidere, cauterizzare e rimuovere la causa della malattia per indebolir il paziente e mettere in pericolo la sua vita, quando invece i sintomi devon diminuire e la natura sia ristorata e confortata da cordiali sicuri.

Arcagato fu il primo chirurgo a venir a Roma, e qui venne ricevuto con onori, ma iniziando egli ad incidere e bruciare, la gente lo trattò da boia, e fu per causa di coloro come lui che tutti i fisici vennero banditi. Carmio, condannando il giudizio dei suoi predecessori, creò nuove tecniche di cura e comandò ai suoi pazienti il ghiaccio e la neve, e bagni in acque fredde, così come Plinio ci narra, raccontandoci di aver visto vecchi al freddo assisi, a cagione delle di lui istruzioni. Per curar la gotta, ci racconta Erasmo, Acesia guardò più alla malattia che al dolore, che, essendo negletto, aumentò; di qui il proverbio, applicato alle condizioni che peggiorano: Acesias medicatus est. Quindi è chiaro, da ciò che è stato detto, che la Natura meglio si soddisfa con l’applicazione di medicine vantaggiose e salutari. Asclepiade, amico di Pompeo per primo dimostrò il beneficio dell’uso del vino agli ammalati, guarendo un uomo che veniva trasportato alla sua tomba. Egli insegnò a mantener salute con l’uso moderato di carne e di bevande, esercizio e molte frizioni; egli inventò pozioni deliziose e piacevoli, e prescrisse bagni, ed inventò giacigli sospesi, così che il sonno sorprendesse gli uomini in modo spensierato e noncurante. Plinio stesso ci disse che il fisico Democrito, avendo in cura Considia, figlia del Console Serelio, proibì l’applicazione di misure dure e severe e, per mezzo di uso lungo e continuativo di latte di capra, la guarì. Agrone, come ci dice Coelio Lib. 13, cap. 22, fu fisico ad Atene e, durante un gran contagio, essendo molte le persone infette, solo volle accendere dei gran fuochi notturni; e similmente fece Ippocrate, cosa per la quale egli venne molto onorato.

Da cui possiamo imparare che moderazione e gentilezza, in una malattia, son trattamenti più efficaci, per portar via la causa e nel curare i sintomi, di misure ruvide e severe. Il marinaio non spera in una bufera per giungere al porto desiderato, né il viandante cammina il linea retta, ma ambedue, alfine, raggiungon le loro speranze. Leggiamo che Fabio conquistò il suo nemico per mezzo del ritardo, ed è quindi capolavoro di prudenza prima il deliberare, naturalmente e bene, e poi l’eseguire; ma i metodi di cura rimangono immutabili, e gli assiomi son fissi, e cioè: se si rimuove la causa, l’effetto cessa; se la malattia è curata i sintomi svaniscono e si consungono. Ma la chimica ci provvede Medicine sicure e piacevoli, e che in fretta raggiungono l’effetto al quale vennero intese: molti lo hanno confermato nei lor scritti, e quindi sarebbe improprio l’attardarvicisi. Passiamo ora a discorrere dei chimici. Essi andrebbero chiamati i giovani Teofrasto, aventi come il loro maestro un titolo Divino, che egli non ebbe da padre né da madre, ma personalmente si assunse come dono magnifico e glorioso. Ma senza dubbio egli fu uomo di conoscenza eminente ed ammirabile nell’Arte della fisica, eppur sarebbe sicuramente giudicata pazzia in sé medesima il dimenticar gli Antichi per seguire le sue nuove invenzioni. Potrebbe sembrare assurda l’idea di voler ristorare ad un vecchio la sua forza, perché la Morte s’avvicina ed ogni uomo, alle lunghe, deve sottoporsi al di lei scettro. Non è forse il mondo antico assai, e pieno di giorni? E non è follia il pensar di guarirlo e chiamarlo indietro alla sua gioventù? Sicuramente, la lor nuova Medicina non può rianimar il mondo morente, ma potrebbe invece vieppiù indebolirlo ed approssimarne la fine.

Però trattenetevi, vi prego, e non immaginate che io presentemente voglia censurare i preparati eccellenti e chiaramente divini della chimica, ma piuttosto le persone che la professano, che fanno della distruzione il loro affare, ma si sforzano di non costruire, che calpestano gli altri per innalzarsi ed esaltarsi, come Tessalo, che si lamentava contro tutti coloro che non fossero suoi seguaci. E Crisippo, maestro di Eristrato, che per conquistar notorietà ed eminenza, disprezzò Ippocrate e lo denigrò.

Questi e uomini simili sono capaci di promettere molto, ma eseguir ben poco, potendo certamente qui concludere che, sebbene coloro mostrino grandezza, essi mai l’otterranno con mezzi sì indiretti. Vorrei che molti dei paracelsiani non seguissero troppo pedissequamente i vizi del maestro loro, perché se molti tra gli scritti recenti fossero ben scrutati, ed esposti i loro abusi e l’aspro linguaggio verso gli altri, non dubito che i loro volumi si

ridurrebbero di molto. Sarebbe molto meglio combattere il nemico comune, la malattia, piuttosto che vendicarsi dei rancori privati tra fisici.

Le bestie selvagge ringhiano, mostrano denti e sputano veleno; l’arma dell’uomo è la ragione, con la quale egli dovrebbe confondere i suoi avversari. Nel toccar la chimica, noi grandemente ammiriamo ed elogiamo le cose di essa che sono buone, né disprezziamo la fisica galenica, che è efficace in alcune istanze. La mia opinione è che tutto vada usato al posto che gli compete. Gli uomini non sono solo spiriti ma sostanze corporee, e quindi non abbisognano di Medicine esaltate al loro più altro grado di perfezione, o almeno non per ogni dolore applicato ad ogni persona ed ad ogni parte o membro.

Vi sono alcune malattie che, essendo calde e secche, non vanno curate da prescrizioni chimiche i cui ingredienti o preparati hanno simili qualità. In una società c’è il mercante e l’uomo d’affari, ma l’uno non può rimpiazzare l’altro, così un fisico prudente userà diversa misura ove egli ne vede l’occasione, in una guisa per il campagnolo, nell’altra per persona delicata; in un modo per malattie di poco conto, nell’altro per casi più pericolosi; l’uno per piacevolezza, l’altro per efficacia, così come necessità richieda.