Capitolo II Le leggi prescritte alla R. C. dal fondatore di questa Fratellanza sono tutte buone e giuste. Come l’uomo razionale non può negare l’assoluta necessità di buone leggi, così risulta appropriato che queste vengano lodate ed elogiate; L’indolente verrà pungolato alla virtù, ed il diligente godrà la meritata ricompensa. Vedendo quindi che tali disposizioni o leggi, stabilite dal padre dell’onorata Fratellanza, sono degne di essere profondamente considerate, sarà nostro dovere il lodarle appropriatamente, a seconda della loro natura e per i vantaggi che queste arrecano agli uomini, considerandole non solo come degne di accettazione, ma altresì di elogio. Appare primariamente ragionevole l’asserire che ogni buona società debba essere governata da buone leggi, se fosse altrimenti, da cattive: Ma che questa società sia buona e legittima noi non solo supponiamo, ma anche deduciamo da particolari circostanze che a ciò riconducono. Diremo del loro numero totale, che è di 6, numero perfetto, così che la società non abbia a confondersi dalla troppa abbondanza, o che un numero minore sia a detrimento di ogni libertà. Con la presenza di moltitudini di diverse leggi si può arguire la presenza di numerosi crimini ed enormità, perché colui che assottiglia il diritto sentiero della Natura e della ragione sarà certamente condotto per vie serpeggianti e labirinti prima di arrivare alla fine del di lui viaggio. Le nostre leggi non risentono di tali inconvenienti, sia per qualità che per numero; esse sono volontarie e tali da poter facilmente e molto razionalmente esser seguite, esse sono, nel loro ordine: 1. Che ognuno che si ponga in cammino, professi la medicina e curi gratuitamente. 2. Che alcuno, se facente parte della fratellanza, indulga nei propri costumi, ma li adatti alle abitudini e ai modi dei paesi nei quali risiederà. 3. Che ogni fratello della Fratellanza ogni anno, al giorno C., sarà presente al luogo dello Spirito Santo o, se impossibilitato, giustifichi i veri motivi della propria assenza per iscritto. 4. Che ogni fratello scelga una persona degna per essere suo successore al momento della morte. 5. Che le parole R.C. divengano sigillo, caratteristica o segno di riconoscimento. 6. Che questa Fratellanza permanga celata per un periodo di cento anni. I fratelli solennemente giurano e severamente s’impegnano l’un l’altro a mantenere ed osservare queste condizioni ed articoli, in tutto ciò che non risulti di pregiudizio a sé medesimi, o dannoso ed ingiurioso per altri, ma che abbia lo scopo e l’eccellente intenzione della gloria di Dio e del bene dei loro vicini. Proseguiremo quindi l’esame della materia, e, scorrendo attraverso le varie cause e circostanze, ne daremo, ad ognuna, maggior luce. In primo luogo, in riferimento al primo autore di queste leggi, considereremo l’esame della di lui autorità e potere che ne permisero la legislazione per sé e per gli altri, e se obbedienza sia dovuta. Chi fu quindi l’autore, e perché il suo nome venne tenuto nascosto? Questi sicuramente fu un Principe che é, come fu, guida dei suoi sudditi, i quali sono membri. Tutto ciò è fuor di dubbio, come lo è l’occorrenza del di lui pieno potere a fare e a ratificar le leggi, perché tale potere appartiene in primis all’Imperatore e poi ad ogni Re, avendo essi il diritto di governare. Infine, questo potere riguarda ogni Principe o magistrato Civile. Ma le leggi promulgate da inferiori, solo si applicano a coloro i quali abbiano con essi particolari relazioni, né sono durature, né si sostituiscono a leggi emesse da superiori, essendo principalmente obblighi riferiti al tempo, luogo, persona e soggetto specifico. Presso gli antichi, coloro i quali godevano della miglior reputazione a causa della loro saggezza, conoscenza, autorità e sincerità, e dotati della maggior esperienza, potevano istituire leggi in ogni città o nazione. Così vediamo che Mosé venne eletto a capo riconosciuto degli ebrei mentre, tra i pagani, i primi legislatori furono gli zefiriani, dopo i quali Zaleuco, ad imitazione degli spartani e dei cretesi (che si disse ricevettero le antiche leggi da Minosse), scrisse leggi severe e trovò le giuste punizioni. Egli lasciò regole secondo le quali gli uomini sarebbero stati giudicati per le loro azioni, dimodoché molti, spaventati, furon spronati a comportarsi rettamente, perché in precedenza non esistevano leggi scritte, bensì sentenze e motivi causali che esclusivamente risiedevano nel petto del giudice. In seguito, gli ateniesi ebbero leggi da Dracone e da Solone, che usarono in ogni corte di Giudizio, dai quali i romani, vissuti dopo trecento anni dall’edificazione di quella città, ricavarono le loro leggi delle dodici tavole, pubblicate dai Decemviri, per essere poi, col tempo, espanse dai magistrati e dai Cesari romani e divenir infine le nostre leggi civili, ancora oggi in uso. Altre nazioni ebbero i loro legiferatori, come l’Egitto i propri sacerdoti, ed Iside, che ricevettero gli insegnamenti di Mercurio e di Vulcano ( Queste furono le leggi auree, essendo nate dal fuoco), Babilonia ebbe i Caldei, la Persia i maghi. L’India ebbe i bramini, e l’Etiopia i ginnosofi; Tra i Bactri vi fu Zalmosis e Fido tra i corinzi; Ippodamo tra i Nilesiani e, tra i Cartaginesi ebbesi Caronda. Infine, i Franchi ebbero i druidi. Da ciò che è stato detto questo si può ricavare: che cioè ognuno è libero (se i propri compagni accettano e fedelmente si impegnano) di prescrivere leggi per se stesso e per essi, specialmente se queste leggi sono fondate sulla ragione ed equità perché (come dice l’attore) nel bene, cose giuste ed oneste vengono scambiate; ma come la somma di malvagità non può essere base legale, così sono condannate quelle bande che fanno legge della menzogna e dell’inganno; i loro giuramenti sono maledizioni e le loro regole metodi di villania; le leggi, comandi di cattiveria. Il nostro autore era certo privato, non magistrato, pure, nella sua situazione particolare egli fu investito di tale autorità da poter obbligare e legare gli altri, esser Signore e Padre della Società, primo autore e fondatore di questa aurea medicina ed ordine filosofico. E se alcuno tenterà di usurparne la giurisdizione a dispetto delle volontà e del consenso altrui, tosto si accorgerà di quanto i propri sforzi siano vani, e sebbene egli possa pensare che gli altri abbiano pregiudizi nei suoi riguardi, veramente egli farà la figura del Vescovo nell’altrui diocesi, perché qui la realtà è diversa, avendo i membri con giustizia e coscienza acconsentito al suo comando. A conferma di ciò si potrà citare il tempo trascorso, perché tali leggi furono mantenute ed osservate per lungo tempo senza che ciò ne abbia diminuito l’autorità prima; perché se le leggi vengono prescritte a chi non ne era soggetto e continuano ad essere a lungo inviolate, ne segue che esse sian giuste, ed il bene può quindi durare a lungo; e non esiste intralcio al potere legislativo privato in uso, non essendo questo contrario a statuti Divini né civili, leggi di natura, leggi positive o usanze di nazioni. Ad alcuni potrà sembrare cosa strana che il nome del nostro autore non venga rivelato; a costoro noi diciamo: Nostro padre, invero, giace nascosto, morto da lungo tempo, ma i fratelli vivono e conservano memoria del suo sacro nome, che non son disposti, per cause segrete ed importanti, a rivelare ad alcuno. Essi hanno genealogia e successione continua da lui a sé medesimi, e ricevendo una lanterna da fratelli noti e colleghi della Fratellanza, essi possono leggere l’animo dell’autore dai suoi libri, riconoscerne i lineamenti nelle immagini, e Giudicare il vero della causa dall’effetto, le cui azioni ne confermano bontà e sincerità. Le loro mani possono vedere, così che il loro credo possa andar al di la della vista, e ciò che altri uomini stoltamente dicono incredibile e vano, essi sanno esser vero e possibile. Dobbiamo qui negare che coloro che furono scelti ed eletti per la Fraternità non conobbero il nostro autore? Sicuramente essi gli furono familiari ed intimi amici e sempre eseguirono con alacrità quanto egli ne domandava, o imponeva loro. A coloro i quali la di lui conoscenza non fu di beneficio alcuno, egli non fu, ne era necessario, che fosse conosciuto, a meno che tali persone abbiano spiato in ciò che non le riguardava, perché la conoscenza dei piani che si agitano nelle mura di Troia, o di chi, nella lontana India, amministra la giustizia e promulga le leggi non ci appartiene, cosi essi non avevano nulla a che fare con quest’autore ed i suoi fratelli, anch’essi a loro sconosciuti. Se vediamo del fumo uscire da una casa, riteniamo che là debba esservi un fuoco, perché quindi vorremmo discernere con l’occhio della mente e non soddisfarci delle opere di coloro i quali mai furono veduti da occhio estraneo? Possiamo giudicare l’albero dai frutti, anche se questi sono stati già raccolti: è quindi sufficiente, per conoscere un uomo, l’udirlo parlare. Socrate, rivolto ad un giovane virtuoso e riservato, disse: parla, ch’io possa udirti! Il cane scopre sé stesso dal proprio latrato, un usignolo dalle sue dolci note, e, fra tutte le cose, noi giudichiamo dagli atti. E perché quindi non possiamo distinguere questo nostro autore dai falsi per mezzo delle sue leggi, essendo desiderio degli altri quello di illudere? Essi approfittano dei loro imbrogli, e ciò che sarebbe fastidioso ad altri, per essi è piacere, mentre rischi e pericoli sono il loro sport. L’autore nostro non ha nome ma è degno di fede; sconosciuto ai volgari, e ben noto alla sua società. Ed ancora alcuni potrebbero chiedere ragione di tale celamento. Sappiamo che gli antichi filosofi si accontentavano della lor vita privata, e perché quindi i moderni non dovrebbero gioire dello stesso privilegio, visto che ne avrebbero più necessità di quelli? Il mondo è oggi carico di malvagità ed irriverenza: invero l’intera creazione, nel suo fluire da Dio, aveva carattere di bontà, ma la caduta dell’uomo portò la maledizione sulle sue creature. Polidoro non sarebbe stato cosi credulone se avesse potuto prevedere il proprio fato: altri hanno da ciò tratto esempio, non osando gettarsi interamente nella sgarbata moltitudine, ma preferendo segretamente il ritirarsi in sé stessi, perché l’occasione fa l’uomo ladro e colui che espone i propri tesori agli occhi di tutti, sulla collina più alta, invita alla rapina. Gli uomini "Homines" derivano nome e natura "ab humus", dalla terra, la quale è spesso disseccata da calore estremo; a volte sembra perire per le alluvioni, e tutto ciò a causa del sole, del vento e della pioggia, ciascuno dei quali nega o abbonda i propri doni. Così la mente umana non sempre è nella stessa condizione; espandendosi talvolta nella bramosia, mentre il vizio appare preferibile alla virtù ed il saccheggio viene preferito onestà ed alla giustizia. Ma non vorrei censurar allo stesso modo tutti gli uomini, riferendomi solo a coloro che, sprovvisti di ragione o di cultura, molto poco differiscono dalle brute bestie. Laonde il padre di questa fratellanza non ebbe prudenza di celarsi ai propri interessi ma, in tale materia, saggiamente ebbe a consultarsi per il bene ed il benessere dei suoi successori e della fratellanza tutta. Potremmo noi reputare saggio chi saggio non appare per se medesimo? Così è che Aristippo, Anasarco e molti altri lodevolmente sopportano le loro pene. Ognuno può acquistar gloria da perigliosi successi e nobili imprese, mentre alcuni divengono famosi a causa di villanie famigerate ed esecrabili, come Erostrato, che diede alle fiamme il gran tempio di Diana: ma il nostro autore ed i suoi successori si nascondono, ben sapendo le spine che onore e popolarità hanno nella lor coda, non per odio o disprezzo dell’umana società, ma per poter migliormente contemplare, a certa distanza, le atrocità dell’uomo, essendo spettatori solo, e non attori. Democrito, così è scritto, si rese cieco per non vedere, al posto di bontà e virtù, le vanità ed il vuoto del mondo, e gli inganni, vizi e lussuria; ma l’autore nostro ed i suoi successori molto saggiamente si nascosero. Nessuno che voglia chiaramente vedere un oggetto vi fisserà ambedue gli occhi, così l’uomo saggio eviterà di intieramente rimettersi a Mercurio o Marte, patroni di ladri e rapinatori, o a Giove o Apollo, il primo essendo armato di fulmini, mentre il secondo ebbe strali per mezzo dei quali lo sfortunato Giacinto perì, metamorfosandosi nel fiore che ne conserva il nome. |