© Andrea Moneti
L'Apocalittica Sul finire del XII secolo l’Apocalittica medievale e la visione profetica dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore ebbero un’influenza significativa sulle varie correnti religiose del secolo successivo, in particolare sul movimento di origine francescana degli Spirituali. Sulla spinta di questa esegesi, a partire dai primi del Duecento si assiste a una serie di rivendicazioni, ecclesiastiche e non, per la realizzazione di una futura Chiesa riformata (ecclesia spiritualis). Queste attese teorizzavano solo delle aspirazioni ideali, ma spesso miravano anche a dei violenti rivolgimenti della Chiesa, in aperta antitesi con la canonistica, che proprio allora si stava consolidando, talvolta con pericolose conseguenze (come vedremo, ad esempio, nella drammatica vicenda di Dolcino da Novara). Alla base dell’attesa apocalittica c’erano le più varie interpretazioni e fondamenti teologici, spesso contraddittori, come un vasto simbolismo, la tradizione biblica, la fine dei tempi e le varie epoche, o status, che la precedono, susseguendosi e sostituendosi l’una con l’altra. Fondamento di ogni interpretazione della storia cristiana, quasi sempre divisa in ere o epoche, erano le Sacre Scritture, l’Antico e il Nuovo Testamento. Tra i vari elementi interpretativi impiegati, non solo cristiani ma anche appartenenti ad ambienti ebraici e greco-orientali, quello per eccellenza era l’Apocalisse di Giovanni, con le sue sette visioni, i sette angeli, i sette sigilli, le sette trombe, e così via. Interpretando alla lettera il Vangelo, nello sforzo di evidenziare la religione cristiana come un fatto storico unico e distinto, il culmine della storia dell’uomo, l’esegesi cristiana si focalizzava sulla Parusia, il ritorno del Signore. Già Agostino, prendendo in esame la situazione del tempo e riferendosi ai pericoli imminenti sull’impero romano, dopo aver suddiviso la storia in epoche, partendo dalla Creazione, considerava quella come l’ultima, a cui doveva seguire la fine (senza fornire, però, una datazione precisa). La dottrina agostiniana delle età del mondo venne ulteriormente sviluppata e diffusa nelle opere storiche del venerabile Beda e di Isidoro, arcivescovo di Siviglia, che ebbero un’influenza determinante sulla storiografia e l’esegesi medievale. Ma dopo la grande Riforma dell’XI secolo e, soprattutto, a seguito delle interpretazioni dell’abate Ruperto di Deutz, del premonstratense Anselmo di Havelberg e di Ildegarda di Bingen, emersero delle nuove elaborazioni che subentrarono alla tradizionale concezione apocalittica e che cominciarono a sostituire al nuovo avvento di Cristo 1’opera dello Spirito Santo sulla terra.
GIOACCHINO DA FIORE Gioacchino da Fiore nacque negli anni ‘30 del XII secolo, probabilmente a Celico, presso Cosenza da Mauro di Celico, un notaio benestante e in vista presso la corte Normanna. Fin da giovane si dedicò alla vita religiosa. Dopo aver compiuto un viaggio in Oriente, a Gerusalemme e a Bisanzio, nel 1152 entrò nel convento cistercense di Santa Maria di Sambucina, fondato per volere del re di Sicilia Ruggero, senza però prendere subito i voti, che prese poi nel 1168. In seguito alla crescente popolarità per i suoi studi biblici e per le varie opere pubblicate, nel 1177 Gioacchino fu nominato dal vescovo di Catanzaro abate del vicino monastero di Corazzo, dove si dedicò interamente allo studio della Bibbia e scrisse alcune delle sue opere più importanti come la Cetra dalle dieci corde e l’Interpretazione dell'Apocalisse, che si preoccupò sempre di far approvare dai papi Lucio III (1181-1185), Urbano II (1185-1187) e Clemente III (1187-1191). Nel 1182 per proseguire i suoi studi, che non riusciva a portare avanti per i vari impegni come abate, Gioacchino chiese ed ottenne da Lucio III il permesso di ritirarsi nell’abbazia di Calamari. Verso il 1190 abbandonò l’ordine dei Cistercensi, rinunciando al suo ufficio di abate per recarsi nella solitudine della Sila, dove fondò un nuovo ordine, facendo costruire un’abbazia dedicata a San Giovanni Battista in una località denominata Fiore, che da quel momento fu chiamata a San Giovanni in Fiore. L’ordine da lui fondato venne, quindi, denominato florense e ratificato da Papa Celestino III nel 1196. Gioacchino ottenne un’elevata popolarità, anche a livello europeo, e il suo monastero ricevette ricche e frequenti donazioni, perfino dall’imperatore Enrico VI e Costanza. Nel 1200 sottopose tutte le sue opere all’approvazione di papa Innocenzo III, ma morì il 30 Marzo del 1202 a Pietralata, nella Sila, prima di aver ricevuto alcun commento papale. Venne proclamato beato, ma non in maniera ufficiale: pochi anni dopo, già nel IV Concilio Lateranense del 1215, le sue idee vennero condannate e il processo di beatificazione fu bloccato. Gioacchino, uomo di profonda meditazione e speculazione, fu un autore molto prolifico per il suo tempo: oltre a quelli già citati, ricordiamo il Trattato sui quattro vangeli e il Libro sulla concordia del Nuovo e Vecchio Testamento, il suo libro principale. Nei suoi scritti si occupò incessantemente della spiegazione e dell’interpretazione delle Sacre Scritture, in particolare della Bibbia. Oltre alle opere riconosciute, tutte scritte nel periodo che va all'incirca dal 1180 al 1200, ci sono numerose altri testi apocrifi, i cosiddetti scritti pseudo-gioachimiti, ma non è sicura la loro autenticità. Vennero, con tutta probabilità, scritti da suoi seguaci nel tentativo di proseguire il solco delle sue interpretazioni. Si trattava, spesso, di scritti polemici contro la Chiesa e pieni di attese apocalittiche, attese che vennero poi riprese e interpretate in vario modo da altri movimenti religiosi (pensiamo, ad esempio, agli Spirituali, ai Flagellanti o ai Dolciniani).
I TRE “STATUS” DI GIOACCHINO Frutto di anni di intense ricerche, Gioacchino elaborò un’esegesi della storia di non facile lettura, piena di speculazioni e simbolismi. Studiando ed interpretando le Sacre Scritture e l’Apocalisse di Giovanni, intuì un ordinamento della storia in tre fasi derivante dal mistero religioso della Trinità, facendo corrispondere alle tre persone divine altrettante epoche, da lui chiamate status. Il primo corrisponde al Padre, quindi alla Legge e all’antico Testamento; il secondo status al Figlio, quindi alla grazia e al Nuovo Testamento. La terza era, secondo i calcoli di Gioacchino ai suoi tempi prossima a venire, corrispondeva allo Spirito Santo, quindi la pienezza della conoscenza dei Sacri Testi. Quest’ultima era, secondo Gioacchino, sarebbe dovuta iniziare nel 1260 (numero simbolico più volte citato nell'Apocalisse: 11,3 e 12,6); non corrispondeva, però, alla Parusia, il ritorno, cioè, di Cristo sulla terra, ma all’avvento di un’era di concordia spirituale e religiosa. Impiegando una simbologia complessa e variegata, Gioacchino rettificò la visione storica cristiana tradizionale, non più suddivisa nell’epoca dell’Antica Alleanza e in quella della Nuova Alleanza, aggiungendo, invece, una nuova epoca temporale terrena, quella dello Spirito Santo. Dato che il passaggio da uno status all’altro, secondo Gioacchino, era stato corrisposto da un innalzamento spirituale, portando a compimento il precedente (a Davide era seguito Salomone, a Giovanni Battista Gesù, alla Sinagoga ebraica la Chiesa cristiana), l’epoca dello Spirito Santo sarebbe stata un’era di perfezione. Questo fece scaturire non poche domande e interpretazioni su quello che sarebbe dovuto essere l’ordinamento della Chiesa, le sue istituzioni e i sacramenti nel terzo status dello Spirito Santo. Gioacchino non sviluppò mai in maniera sistematica le sue concezioni, ma impiegò sempre espressioni oscure e ambigue. Particolarmente oscuro è il suo giudizio sul papato e sul destino della gerarchia ecclesiastica nel terzo status. Ricordiamo che siamo negli anni in cui sulla cattedra di Pietro sedeva un papa come Innocenzo III, uno dei pontefici più impegnati nella difesa delle prerogative temporali e di dominio della Chiesa sul mondo. La domanda che i contemporanei di Gioacchino si ponevano era se, nel terzo status, vi sarebbe stata solo una purificazione e spiritualizzazione della Chiesa papale o anche a un superamento di essa? Per Gioacchino, con ogni probabilità, la Chiesa romana non era ancora la forma definitiva del progetto salvifico cristiano. Le sue norme, il suo diritto, le sue istituzioni erano perfezionabili, quindi mutabili per tendere a una futura Chiesa di tipo monastico. La rottura di Gioacchino con la tradizionale concezione escatologica della Chiesa medievale venne vista con sospetto dalle gerarchie ecclesiastiche, e il suo interprete scomodo e pericoloso. Dopo la sua morte, molti movimenti religiosi, eretici e non, interpretarono il terzo status come un’era in cui ci sarebbe stata solo un’Ecclesia Spiritualis, una chiesa che poteva fare a meno del papa, della gerarchia e dei sacramenti, con la creazione di un nuovo ordine monastico. Per questo motivo nel IV Concilio Lateranense del 1215, venne condannato il suo scritto sulla Trinità e, verso la metà dello stesso secolo, circa cinquant’anni dopo la sua morte, una commissione di tre cardinali ad Anagni respinse alcune formulazioni riportate negli scritti originali di Gioacchino. L’altro elemento che creò non poche attese presso i suoi contemporanei fu sulla prevista da Gioacchino per l’irruzione nella storia del terzo status? Secondo il calabrese, il secondo status poteva essere suddiviso in quarantadue generazioni di circa trent’anni ciascuna. In base a questi calcoli, quindi, il passaggio sarebbe caduto alla metà del XIII secolo, all’incirca tra il 1250 e il 1260. Per Gioacchino, ovviamente, gli indizi di questo, ormai prossimo, mutamento erano chiaramente visibili. Il suo messaggio ebbe effetti dirompenti, soprattutto con la conversione di Francesco d’Assisi e la nascita dell’Ordine dei Frati Minori. Unendo le profezie contenute negli scritti di Gioacchino, e ancor più in quelli apocrifi, e il messaggio evangelico e di povertà portato avanti da Francesco a imitazione di Cristo, i francescani appartenenti alla corrente degli Spirituali, proprio a partire dalla metà del Duecento, videro nel fondatore del loro ordine religioso il capo della Chiesa del terzo status, e interpretarono loro stessi come la nuova Chiesa spirituale, perseguitata dalla Chiesa del papa, la Chiesa carnale. Non solo ma anche 1’anticristo dell’Apocalisse di Giovanni venne interpretato nella persona dell’imperatore Federico II di Svevia. Altri videro il capo della Chiesa spirituale nel terzo status in Celestino V, il famoso papa del “gran rifiuto” di Dante. Il movimento, o tendenza, gioachimita ebbe una vastissima risonanza e conseguenze in tutti i paesi cristiani, presso nobili e re, come negli ambienti borghesi o nei ceti inferiori, come negli ordini mendicanti o tra i movimenti ereticali. L’imminenza del Regno dello Spirito ebbe un’enorme portata e creò grandi attese spirituali e millenaristiche. La ritroviamo in protagonisti come Guglielma di Boemia, Angelo Clareno, Ubertino da Casale, Guglielmo di Occam, Dolcino da Novara, l’eretico più famoso del medioevo, oppure nel movimento del Libero Spirito e in quello dei Begardi e delle Beghine. La ritroviamo anche nell’ondata dei Flagellanti che, proprio, a partire dal 1260, a Perugia, che coinvolse tutta l’Italia centrale, e parte di quella settentrionale, con gigantesche processioni penitenziali e flagellazioni pubbliche da una città all’altra.
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