"Pange lingua"

Carmina Burana secolo XIII

STORIA  DELL'ALCHIMIA

 


 

Parte II

 

Avicenna è l'ultimo filosofo orientale, il cui nome meriti di passare ai posteri. L'Egitto rimase asservito e silenzioso, la Grecia indifferente, la Persia e l'Arabia s'intormentirono sempre più. Alla sua volta l'Occidente ricevette la scintilla della verità, che doveva brillare del massimo splendore, grazie a potenti adepti isolati quali un Ruggero Bacone, un Alberto il Grande, un Raimondo Lidio e un Arnaldo da Villanova.

La trasmissione del verbo s'effettuò per mezzo delle crociate; la guerra dei principi latini contro i popoli orientali permise ai dotti delle varie nazioni di Europa di comunicare con le scuole arabe. Parecchi di loro, entusiasmati della profondità scientifica dei centri che visitarono, ottennero, col lungo andare, di essere iniziati, per lo meno parzialmente a certi principi, notissimi anche in quell'epoca ai discendenti di maghi. Lo stupido fanatismo dei crociati, che incendiarono magnifiche biblioteche per l'unico motivo che racchiudevano opere pagane, ebbe peraltro questo di buono, che permise alle terre latine di trarre nuovamente utilità dalla scienza tradizionale  [1].

Allora furono create delle fraternità: I Templari, i Rosa-Croce e gli Alchimisti sono continuatori degli Gnostici, dei Filosofi alessandrini e dei Collegi di Tebe e di Menfi. Quanti crociati, recatisi in Asia per distruggere i Mussulmani e per saccheggiare i loro preziosi santuari, diventarono, in fine, umili discepoli dell'ermetismo arabo! Strano effetto delle leggi naturali: il male genera il bene, come alla sua volta il bene può sembrare generi il male. Non stiamo forse per vedere questi ultimi adepti dell'arte per eccellenza, fatti segno a odio indomabile, esser costretti a sottrarsi agli occhi della cristianità, per terminare i loro incompresi lavori? Li troveremo anche fra breve, sia isolati che riuniti in piccoli gruppi occultissimi, perseguitati senza tregua dalla minaccia della tortura e dal rogo, in nome della Santissima Inquisizione! 

 

Salutiamo prima di ogni altro, con rispettosa ammirazione, il frate francescano ruggero bacone, uno dei più vasti intelletti esistiti.

"Questo frate, - scrive Luigi Figuier, - disconosciuto e orribilmente perseguitato mentre viveva, è la più grande figura scientifica dell'evo medio. Nessuno ha espiato più crudelmente di lui, la gloria di essere stato superiore a' suoi contemporanei e di aver preceduto di più secoli il cammino dello spirito umano. Ruggero Bacone trascorse gran parte della sua esistenza in prigione. Ora stette in una cella, dove, sottomesso a severa sorveglianza, non poté né scrivere né far calcoli senza destare sospetti, che diedero motivo a un aggravio di pena; ora in una prigione, dove subì i più vili e indegni trattamenti, come uno dei peggiori malfattori. E quale fu il suo delitto? L'ardente amore per gli studi e per l'indipendenza del pensiero".

 

Ruggero Bacone nacque nel 1214  [a Ilchester], nella contea di Somerset. Dopo aver studiato all'università di Oxford, si recò a quella di Parigi, dove soggiornò fino al 1250. In quell'epoca tornò a Oxford e risolse di prendere l'abito francescano. Quella determinazione fu la causa di tutte le sue sventure.

La confraternita dei frati cercanti non si componeva che d'individui votati all'umiltà e al digiuno, la più parte di bassa origine, convinti dell'infernalità di qualsiasi scienza. Sicché quando sorpresero il loro confratello, matematico e astronomo, a studiare perseverantemente Avicenna e gli autori arabi, quando lo sorpresero a eseguire ricerche di laboratorio, circondato da oggetti che li facevano rabbrividire, lo presero in antipatia.

Bacone non conosceva la dissimulazione. Amante entusiasta della verità, osò proclamare essere l'esperienza e l'osservazione della natura le sole autorità invocabili nelle scienze. Allora il generale dell'ordine, san Bonaventura [2], lo condannò a lasciare Oxford e ad esser imprigionato a Parigi, nel convento dei Francescani.

Lo sventurato Bacone,  [il Dottore ammirabile, Doctor Mirabilis, il fondatore del metodo sperimentale e il creatore dell'ottica, l'inventore della polvere da cannone e fors'anche del telescopio e degli occhiali per i presbiti], fu sottomesso colà a crudele sorveglianza. Non poteva inviare al di fuori nessuno dei suoi manoscritti. Grazie, però, a un frate, a lui affezionato in modo speciale, poté avvertire della sua prigionia il papa, allora Clemente IV, mente illuminata ma timida. Costui gli scrisse una lettera consolatoria (!) e, in cambio, gli chiese il libro che stava preparando. Malgrado l'assoluto isolamento in cui era, a furia di coraggio e di perseveranza, a dispetto delle dispute delle quali era oggetto, sebbene fosse stato sotto chiave, Bacone riuscì a comporre l'Opus majus ad Clementum quartum, cioè un in-folio di 477 pagine.

Fra Giovanni, discepolo amatissimo del celebre alchimista, portò a Roma l'Opus Majus quando fu terminato, cioè nel 1267.

L'anno stesso Bacone scrisse e spedì al papa l'Opus minus, seguito dal suo primo lavoro. Poi cominciò l'Opus tertium. Clemente IV risolve allora - nel 1287 - di dar l'ordine formale della scarcerazione dello sventurato fisico! [3]

Tornato a Oxford, Bacone pubblicò il Trattato di filosofia, nel quale attaccò vivamente il clero e i predicatori. Però Clemente IV era morto: lo sventurato frate fu carcerato nuovamente fino al 1292.

Le opere di Ruggero Bacone emanano, lo ripetiamo, da uno dei più vasti talenti, de' quali possa andare orgoglioso il mondo dei pensatori. Esse devono essere ammirate tanto più, in quanto che si sa in quali penose condizioni furono composte.

Nell'Opus Minus si trovano due trattati alchimia, pratico l'uno, speculativo l'altro. (Lo specchio alchimico [4]). Gli altri sono: Alchimia major; Breviarium de dono Dei; De leone viridi; Secretum secretorum, Epistola de secretis operibus artis et naturae ac nullitati magiae.

 [Bacone morì nel 1294].

 

Nel 1193 nacque a Lawingen sul Danubio, nel ducato di Neuburg (Svevia) alberto, discendente d'una illustre famiglia -  [i conti di bollstaedt] - che gli uomini dovevano battezzare col nome di Grande.  [Fu chiamato anche Albertus Magnus, Albertus Teutonicus, Frater Albertus de Colonia, Albertus Ratisbonensis, Albertus Grotus]. A trent'anni entrò ne' domenicani. La sua intelligenza s'era sviluppata lentamente; ma, appena ebbe trovata la via luminosa, progredì più lui in sei mesi, che non altri in sei anni. Della lentezza non gli rimase che la più feconda maturità nello studio delle scienze.

Nel 1245, dietro consiglio ricevutone dal capitolo dell'ordine, Alberto si recò a Parigi per ottenere il diploma di magister. Soltanto l'università di Parigi, a quell'epoca la più celebre di tutto il mondo, poteva conferire quel titolo, dopo avervi professato almeno tre anni. Alberto fu accompagnato nella capitale francese da uno de' suoi allievi, da Tommaso d'Aquino, il quale in seguito illustrò pure il proprio nome e fece onore alla memoria del maestro.  [Dante li menziona tutt'e due nel X canto del Paradiso:

 

Io [5] fui degli agni della santa greggia

Che Domenico mena per cammino,

U' ben s'impingua [6] se non si vaneggia.

Questi, che m'è a destra più vicino,  

Frate e maestro fummi; ed esso Alberto

È di Colonia, ed io Thomas d'Aquino.

(v. 94-99).

 

A Parigi s'acquistò immensa fama. Tanti erano coloro che accorrevano per udirlo, che dovette far scuola in quella piazza, che da lui fu detta di maestro Alberto (Maubert)].

Noi abbiamo ragione di supporre che fu durante la residenza a Parigi ch'Alberto ricevette l'iniziazione alchimica. Difatti la capitale francese fu in quell'epoca, come pure durante tutto il medio evo, il vero santuario dell'ermetismo occidentale. L'arte spargirica e i suoi adepti visti, da una parte, di malissimo occhio dalla maggioranza de' teologi, non perdevano per questo, dall'altra, di prestigio presso la folla beffarda ma paurosa, in tutto ciò che concerneva la magia. Un certo numero di dotti e di pensatori aderivano, del resto, in pectore, alla dottrina occulta; però siccome non era bene proclamare ad alta voce tali preferenze, pel motivo del perpetuo rogo, la cui fiamma covava senza mai estinguersi, così erano rari coloro che non nascondevano le loro personali convinzioni.

Alberto, al pari dei veri spiriti forti, seppe conservare la propria indipendenza, senza celare il suo pensiero, giacché, mentr'era vivo, acquisì la pericolosa riputazione di «Stregone» o d'«Alchimista», sinonimi in que' bei tempi.

 [Il nostro teologo e alchimista domenicano fu fatto vescovo di Ratisbona da papa Alessandro IV e, dopo morto, fu beatificato].

Dopo molti esperimenti trasmutatori e chimici eseguiti, Alberto scrisse il Libro dei minerali o del segreto dei segreti [7]. In esso difende senza ambagi, la dottrina ermetica e fa conoscere che i metalli sono composti di un'umidità oleosa e sottile, unita fortemente e incorporata con una materia sottile e perfetta. In quanto alla trasmutazione, da parecchi brani del suo strano volume si rileva ch'egli la praticò con esito felicissimo.

Non ci fermeremo sui diversi manoscritti, dei quali il Grande Alberto fu sagace autore [8]; la sua scienza sembra essere stata universale giacché egli scrisse tanto sugli animali, quanto sulla fisionomia, tanto sul carattere, quanto sulle meteore  [Fu infatti uno dei più fecondi poligrafi del medio evo; fu il Giaber del mondo cristiano]. L'opera sua comprende ventun volumi in folio [9]; è però più che probabile ch'egli si sia limitato a dirigerne la redazione, perché un tal lavoro oltrepasserebbe le forze umane.

La morte lo colpì a Colonia nel 1280, a oltre ottant'anni.

 

tommaso d'aquino nacque nel 1225 (o 1227) a Rocca-secca, presso Napoli, da famiglia signorile e morì nel 1273 o 1274 a Fossanova (Napoli)  [fu detto l'Angelo delle Scuole, il Dottore Angelico e l'Aquila de' teologi. A diciott'anni indossò la veste dei domenicani e recatesi a Parigi, ebbe a maestro Alberto Magno]. A costui spetta l'onore d'averlo divinato e preparato. Noi non racconteremo la vita del celebre teologo e filosofo, perché riteniamo sia cognita a' nostri lettori [10]. Perciò ci limiteremo ad assegnare a san Tommaso d'Aquino un posto tra gli ermetisti e a citare il solo suo Tesoro d'alchimia, libriccino che dimostra la sua filiazione spirituale da Alberto il Grande [11]. È però improbabile che l'autore della Summa totius theologiae si sia esercitato nella pratica dell'opera trasmutatoria.  [Dante Alighieri trasse da San Tommaso filosofia e teologia. Lo citò più volte nella sua celeberrima opera (Purgatorio, XX, versi 67-69; Paradiso, X, versi 94-99, da noi più sopra riportati; XII, v. 109-111 e 142-144; XIII e XIV)].

 

alain de L'Isle, oriundo olandese, detto il Dottore Universale, fiorì verso il 1250  [fu teologo, filosofo, poeta, storico e alchimista]. Morì, secondo supponenze, a più di cent'anni, nel 1298.

Studiò all'università di Parigi, durante un lungo periodo della sua vita, periodo ch'è restato quasi ignorato. Di lui s'ha una Raccolta d'aforismi sulla pietra filosofale, che si trova nel Teatro chimico; lo stile n'è pesante e oscurissimo. 

 

arnaldo da villanova -  [non si sa bene se sia Villanova d'Italia o di Francia, ma è preferibilmente da ritenere sia di quest'ultima] - fu un ermetista d'incontestabile valore. Nacque tra il 1235 e 1250 - molto probabilmente nel 1245 - in Provenza  [o nell'Italia settentrionale], studiò ad Aix e poi si recò in Spagna. L'iniziazione alchimica gli fu, senza dubbio, conferita colà, dove in altri tempi pullularono numerosi occultisti.  [Il loro gran focolare era Toledo, che diede nome alla scienza sacra (scienza toletana)]. A venticinqu'anni, nel 1270, Arnaldo fu laureato in medicina. Dopo avere esercitato qualche tempo a Villeneuve, fu attirato a Parigi. Si ritiene che, dopo aver soggiornato in quella città per oltre un decennio, tornasse a Montpellier.  [Fu a Firenze, a Roma e in altre città d'Italia. Nel 1285 si trovava presso Pietro, re d'Aragona].

 [Arnaldo, detto Arnaldus Catalanus, oltre a essere medico, chimico e alchimista di molta reputazione, fu anche astrologo e teologo. Pregiò più le opere di carità, di altruismo, di scienza, che le pratiche religiose. Questo modo di pensare lo chiarisce iniziato. Di lui fu detto che appartenesse a una setta pitagorica, ampiamente diffusa in Italia, specie nella Puglia e nella Toscana [12]. Fu maestro a Raimondo Lullo. Morì nel 1313 in mare, presso Genova].

In un cenno come il presente non c'è concesso di dilungarci sulla sua scienza terapeutica; però bisogna segnalare il suo ardire, come medico. Egli osò affrancarsi dalle usanze ufficiali, in quei tempi molto più inveterate d'oggigiorno, e porre le basi d'un metodo, originale di certo e spesso anche razionale.

Arnaldo da Villanova professò chimica a Barcellona, nel 1286, e operò molte trasmutazioni di mercurio in oro, tanto in Spagna, quanto appresso in Italia. I titoli delle sue opere spargiriche, giustamente molto apprezzate dagli adepti, sono i seguenti:

La strada delle strade [13]; Flos florum (Il fiore dei fiori); Lettera al re di Napoli; Novum lumen (La nuova luce); Rosarium (Il Rosario); Domande sull'essenza e sull'accidente.

Si trovano nel Theatrum Chemicum e nella Biblioteca Manget [14]

 

Con raimondo lullo arriviamo a una delle pagine più singolari e agitate della storia dell'alchimia. Quest'adepto dev'essere da noi considerato qual maestro de' maestri, del pari che, un po' più in là, nel corso de' secoli, l'illustre Paracelso.

Raimondo Lullo levò alto clamore non solo nel secolo XIII, ma in tutto il medio evo: fu considerato come un prodigio.

Nato nel 1235 a Palma, capoluogo dell'isola Maiorca, da un nobile guerriero, compagno d'armi del re aragonese Giacomo I, Raimondo menò - secondo l'usanza d'allora - fino a quasi trent'anni, vita oziosissima e dissipatissima. Dapprima paggio alla corte di Giacomo I, poi siniscalco, occupava i giorni, o meglio anzi le notti, a conquidere, quantunque ammogliato, ragazze e maritate. Una di costoro, a onta delle ripetute insistenze del giovane, mostrava essere d'incrollabile virtù. Egli conobbe il segreto della sua resistenza quando, stancatala con continue dimostrazioni d'affetto, la bella gli diede un appuntamento. Durante il convegno ella si sgangherò la fascetta e si denudò il petto. E, mostrando all'amante una delle mammelle, rosa da schifosissimo cancro, gli disse: "Raimondo, puoi amarmi così?"

Lullo, spaventato da sì ripugnante spettacolo, fuggì via con la disperazione nel cuore. Fin da quel momento risolse di consacrarsi a Dio solo e di adoprarsi alla conversione degli Arabi al cristianesimo. Egli mise nello studio l'ardore tolto a' piaceri, s'applicò indefessamente per conoscere profondamente non solo la lingua, ma anche la storia della religione, la filosofia e le scienze degli Arabi.

Lullo completò gli studi a Parigi, dove trovò Arnaldo da Villanova. Quest'avvenimento ci spiega facilmente la sua affiliazione alla spargiria ermetica. Fu precisamente in quella città ch'egli scrisse varie opere, trattanti di tale scienza.

D'indole randagia e inquieta, Lullo non rimaneva a lungo in un sito; trascorse l'esistenza viaggiando in Italia e in Spagna; poi, desiderando sempre di convertire gli infedeli al cristianesimo, s'imbarcò per l'Africa, nel 1292. Ma, catturato dai Turchi, ricuperò a stento la libertà e dovè ritornare in Europa, bandito dall'Oriente. Adorando sempre la sua chimera, malgrado i fastidi e le peregrinazioni, ripartì dall'Europa nel 1304, all'età di settant'anni, e poi anche più in là, nel 1312: visitò l'Egitto, Gerusalemme e Tunisi, predicando il Vangelo. A Bugia, la folla esasperata lo lapidò. Sottrattosi a stento al furore popolare, morì alcuni giorni dopo, in seguito alle ferite riportate.  [Ciò avvenne nel 1313].

Fu negl'intervalli di quella vita emozionante e d'estrema attività che l'eccelso genio trovò modo d'ideare e di comporre le stupende opere, descrivendo gli esperimenti

a più riprese felicemente riuscitigli [15]. Di lui abbiamo: La Clavicola [16] - Il sunto dello spirito della trasmutazione (Compendium animae transmutationis) - La dilucidazione del testamento - e il Vade-mecum o sunto delle tinture [17]

 

 [Nel secolo XIII si distinsero anche i seguenti alchimisti:

cristoforo, di Parigi.

taddèo d'aderotto, medico e filosofo fiorentino. Costui fu il fondatore della scuola medica di Bologna, nella quale insegnava nel 1250. È menzionato da Dante nel canto XII del Paradiso: 

 

Non per lo mondo [18] per cui uno s'affanna [19]

Di retro ad Ostienso [20] ed a Taddeo,

(v. 82-83). 

 

Morì il 1295 e lasciò molte opere [21]. Fu seppellito in un bel sarcofago di marmo nell'atrio de' frati minori, a Bologna.

Vincenzo Di Beauvais o vincenzo bellovacènse. Fu un erudito domenicano, maestro dei figli di Luigi IX di Francia (re dal 1266 al 1270). 

 

pietro de' bonifazi, signore provenzale. Di costui si legge nelle vite de' trovatori che, tentata invano ogni arte magica per acquistar l'amore di una dama, lasciò l'amore e si diede all'alchimia, e s'affaticò tanto che trovò una pietra, che aveva la virtù di convertire i metalli in oro.

 

alfonso X, detto il Sapiente (El Sabio 1252-1284), re di Castiglia e delle Asturie. Fu principe dottissimo, amò i sapienti, coltivò le scienze con passione e si tenne in relazione coi maestri arabi. Si dice, anche, ch'abbia fabbricato oro [22]; alcuni però pretendono ch'esso provenisse semplicemente dall'alterazione del titolo delle monete. Questo celebre re di Castiglia, che scrisse sull'alchimia in termini simbolici e cabbalistici, cioè con caratteri geroglifici propri alla scienza ermetica, usati all'epoca sua, pretese anche di possedere il segreto della trasmutazione dei metalli e dichiarò di avere imparato quella scienza da un Egiziano, fatto da lui venire appositamente da Alessandria [23].

Egli rivelò — cioè velò nuovamente, rivestì di nuovo — i segreti alchimici da lui conosciuti in un poema (egli era anche poeta) che intitolò il Libro del Tesoro.

Al suo proemio seguono trentacinque ottave in cifre che vengono offerte come chiavi di tutta l'opera. Nessuno è mai giunto a interpretare quelle cifre.

Noi citeremo una quartina del poema, d'interesse storico: 

 

La pietra que llaman philosophal

Sabia fazer, y me la ensenò;  

Fizimos la juntos, despues solo yo;  

Conque muchas veces crecio mi caudal. 

 

(Io sapevo far la pietra chiamata filosofale; egli - l'Egiziano - me l'insegnò; noi la facemmo insieme, poi la feci da solo. Fu in tal maniera ch'aumentai le mie finanze).

Anche l'opera alchimica Clavis sapientiae, dove si scorgono le dottrine arabe, è attribuita al re cavaliere; non sappiamo però con quanto fondamento. 

Ad Alfonso X si deve inoltre un monumento astronomico, le tavole che prendono nome da lui, che furono usate universalmente fino al principio del secolo XVI, cioè per tre secoli, perché datano dal 30 maggio 1252, giorno del suo avvento al trono. Queste tavole, le quali, anzi ch'essere opera personale del re, furono probabilmente quelle de' molti astronomi arabi di Granata, che vivevano alla sua corte, furono pubblicate per la prima volta a Venezia, nel 1492, in un volume in-4° [24].

Questo sovrano, possessore della scienza orientale, fu dal pontefice trattato da empio e scomunicato.

 

griffolino d'arezzo. Costui si vantò con un tal Alberto, di Siena, di sapere l'arte di volare e promise d'insegnargliela. Ma lo scolaro, accortosi d'essere stato corbellato, accusò il maestro al vescovo di Siena, che lo fece bruciare vivo come negromante. Pare che Griffolino fosse alchimista falso e disonesto. Dante perciò lo pone nella decima bolgia, mettendogli in bocca queste parole:

 

Io fui d'Arezzo, ed Alberto da Siena  

.   .   .   .   .   . mi fé' mettere al foco;

Ma quel, perch'io morì, qui non mi mena. 

 

Ver è ch'io dissi a lui, parlando a giuoco:  

Io mi saprei levar per l'aere a volo:  

E quei, ch'avea vaghezza, e senno poco, 

 

Volle ch'io gli mostrassi l'arte; e solo,  

Perch'io nol feci Dedalo, mi fece  

Ardere a tal [25] che l'avea per figliuolo. 

 

Ma nell'ultima bolgia delle diece

Me per alchìmia, che nel mondo usai,  

Dannò Minos, a cui fallir non lece.

(v. 109-120). 

 

Sono anche probabilmente da assegnare al secolo XIII i tre alchimisti italiani garello d'aquila, guido da castello E niccolo da firenze.

Costoro sono menzionati come maestri famosi nell'arte di sciogliere e di comporre i metalli. Il primo (degli altri non si sa nulla) partiva l'oro dall'argento con acqua forte composta di allume di rocca, salnitro e vetriolo romano. Forse furono semplici alchimisti exoterici, cioè souffleurs, garzoni di laboratorio, chimici]. 

 

Nel secolo XIV la scienza ermetica brillò di luce più vivida, che negli antecedenti. Allora era consuetudine atteggiarsi vagamente ad alchimista e una quantità di persone si vantarono con amici di possedere il segreto della pietra, mentre, in realtà, ignoravano fin la prima parola dell'Arte per eccellenza.

Quel giochetto non offre nulla di serio alla storia dell'alchimia e i nomi dei presuntuosi non meritano d'essere rilevati.

 

Il papa giovanni XXII, (Giacomo d'Euse o d'Huéze, Duéze, Dossa, Dossat, d'Usia e d'Osa, nato circa il 1244 a Cahors e pontefice dal 1316 al 1344), che fu sedotto -secondo che si dice - dalla ricerca della Grand'Opéra, scrisse, pare [26] verso il 1300 l'Arte trasmutatoria dei metalli e realizzò su vasta scala la fabbricazione dell'oro.  [Difatti si narra che, mediante il processo descritto nel suo libro, ottenesse dugento verghe d'oro]. Noi non oseremo garantire né la legittimità dell'opera, né quella dei lavori pratici [27]. Giovanni XXII fu un iniziato? Il sommo pontefice romano fu un adepto? È da ritenerlo.  ["All'Università di Montpellier e a Parigi, dove imparò teologia, diritto e medicina, egli si trovò a contatto con Arnaldo da Villanova e con Raimondo Lullo, e potè perciò essere iniziato da questi due celebri occultisti, dai quali riceveva lezioni" [28]] Egli però non si giovò affatto della sua duplice elevatissima posizione, né pel bene degli uomini, né per quello della verità.  [Difatti, nel 1317 lanciò contro gli alchimisti la bolla Spondent pariter; nel 1320 ne fulminò un'altra contro gli Adoratori del diavolo, nome col quale designò complessivamente stregoni e albigesi, nel 1327 fece bruciare l'astrologo Cecco d'Ascoli e nel 1328 fece processare il carmelitano Ricordi come fattucchiere. I roghi dell'Albigese completarono la collana delle sue opere umanitarie [29]].

 

Al pari di Giovanni XXII, giovanni di meung, mediocre scrittore, non attirerà gran fatto la nostra attenzione.  [Costui, secondo alcuni, scrisse il Romanzo della rosa e due trattati alchimia. Secondo altri, egli aumentò soltanto di diciottomila versi tale romanzo, dovuto alla penna di guglielmo di lorris. Il Romanzo della rosa è una epopea alchimica, della quale i letterati francesi vanno sì alteri da paragonarla perfino ai poemi italiani. Certo è, peraltro, che le rose colte dal Meung e da Dante provengono dallo stesso rosaio: la scienza segreta del Templari. Il Lorris, nel suo idillio bisenso, descrive 

 

.   .   .   .   .   .   .   un nobile castello,

Sette volte cerchiato d'alte mura; [30]

 

- analogo, cioè, a' sette gradi de' gnostici cantori d'amore (i trovatori di lingua d'oc, provenzali e italiani; i trovèrì di lingua d'oil, francesi [31]; i minnesanger o minne singeri tedeschi e i love singers inglesi), - le quali mura sono altissime - come la verità celata nell'albigesismo - e tutte dipinte di figure emblematiche - come i geroglifici ermetici o le abraxas valentiniane - e racchiudono un misterioso giardino - la gnosi o scienza sacra - in cui non è dato accedere se non conosciuti i sensi segreti di quei geroglifici - cioè le verità esoteriche. Giovanni di Meung, o Iehan di Meun, detto dopimi (lo Sciancatello), morì tra il 1310 e il 1322].

 

giovanni di rupescissa fu, come il precedente, alchimista incerto, talché meriterebbe d'essere classificato piuttosto tra i chimici.  [Spacciavasi profeta, parlava di due anticristi e cercava di crescere col mistero nel concetto degli uditori. Clemente VI (1342-1352) e Innocenzo VI (1352-1362), lo fecero imprigionare per le sue prediche. "Un suo libro, il Vade mecum in tribulatione, sta in un codice cartaceo della Marciana. Un suo manoscritto tratta di alchimia medica col titolo De famulatu philosophiae, sive de consideratione quintae essentiae. Dice di aver studiato filosofia naturale per quindici anni; desidera il suo libro giovi ai poveri di Cristo, non ai tiranni od agli avari, ad conservandam vitam longo tempore; vuole si studi con religiosa attenzione, altrimenti si riesce solo falsificatori di monete; loda come conservatrice delle forze l'aqua ardens, anima vini, acqua vitae; e se un vecchio ogni mattina beva un sorso di quest'acqua con infusa essenza d'oro e di perle, torna come all'età di quaranta o cinquant'anni [32]].

 

A noi tarda di venerare la memoria del grande filosofo ermetico nicola flamel. Del resto, chi non conosce la storia della sua esistenza, consacrata tutta al lavoro, alla perseveranza e alla beneficenza? I suoi particolari si possono trovare nella Storia della filosofìa ermetica del Lenglet-Dufresnoy e nell'Alchimia e alchimisti del compianto Luigi Figuier. Contentiamoci di riassumere i punti salienti d'una biografia.

Flamel venne al mondo  [a Pontoise] nel 1330, secondo che generalmente si crede. Abbracciò la carriera di scrivano pubblico, prese moglie e si stabilì a Parigi, nel quartiere di San Giacomo della Beccheria. Colà trascorreva i suoi giorni accanto a Pernella, senza ambizione, assorto dalle proprie occupazioni, quando uno strano manoscritto, che si procurò nel 1357, produsse un completo cambiamento nel suo sistema di vita. Quell'antico libro d'Abramo Ebreo, scritto con geroglifici, simboli e linee miniate, gettò il turbamento nello spirito di Flamel. Egli non ebbe requie fino a che non pervenne a decifrarlo; però, essendo ignaro dei primi elementi dell'ermetismo, le sue veglie diedero sterili risultati. Sprecò più di vent'anni in tali pazienti ricerche. Vedendo che con le sole sue forze non riusciva a decifrare il significato delle figure, risolse di consultare un dottore ebreo, capace di dargliene la spiegazione, e partì per la Spagna. Colà incontrò un rabbino, il maestro canches, che lo mise sulla via e che s'esibì d'accompagnarlo in Francia; disgraziatamente però morì strada facendo. Flamel, basandosi sulle incomplete istruzioni del dotto ebreo, lavorò ancora tre anni prima di comporre la tanto cercata pietra trasmutatoria! Non fece che tre proiezioni di polvere, consacrando a opere beneficile l'immensa ricchezza acquistata in tal maniera. Lui e Pernella fecero lasciti a diverse chiese [33], innalzarono conventi e ospedali, contentandosi per loro stessi d'una modesta agiatezza. Pernella morì nel 1413; Flamel poco di poi, nel 1419  [o secondo altre notizie, nel 1418]. Il suo libro colla Spiegazione delle figure geroglifiche [34] è interessantissimo; permette una quantità d'interpretazioni simboliche relative all'occultismo in generale e all'alchimia in particolare. Gli vengono attribuiti anche il Sommario filosofico e il Libro dei lavoratori o il Desiderio agognato, ma pare siano apocrifi.  [IlLibro rosso e altre opere sono da escludersi totalmente come sue].

 

"Nel secolo XIV visse in Inghilterra giovanni dunbaley, che scrisse la Rosa aurea, ovvero il Rosaio, serie di sentenze tratte da vari autori; egli, come gli altri alchimisti, riteneva l'oro componibile, cioè misto di mercurio e di zolfo. Fu probabilmente un semplice dilettante d'arte spargirica".  

 

bonaventura d'Iseo, ghibellino comunque frate, solenne e grazioso predicatore, ingegno universale, fu il principe degli alchimisti italiani [35]. Fu adoperato, come ambasciatore e paciere, in importanti negoziati; tenne nell'ordine alti uffici, viaggiò molto, predicò, scrisse libri ascetici, e il sunto delle sue esperienze è un volume sulla natura e sulla composizione dei metalli, ove insegna molte ricette per preparare acque cosmetiche, medicinali, ecc."

 

capocchio, nominato dal nostro sommo poeta, fu di fama indegna. Di lui poco o niente si sa. Chi lo vuoi senese, chi fiorentino e compagno a Dante - che visse dal 1265 al 1321 - nello studio della filosofia naturale. Venne arso a Siena come falsario:

 

Sì vedrai ch'io sono l'ombra di Capocchio,

Che falsai di metalli con alchimia;

 

E ten dee ricordar, se ben t'adocchio  

Com'io fui di natura buona scimia  

(Inferno, XXIX, v. 136-139). 

 

valentino basilio, frate benedettino d'Erfurt, in Germania, uno dei più celebri adepti che siano esistiti, illustrò il secolo decimoquinto.  [Viveva nel 1394. Distillando il vetriolo col sale comune, scoprì l'acido muriatico]. Non c'è da dubitare: egli fu iniziato all'ermetismo in una delle fraternità alchimiche della Germania. Parigi pure possedeva a quell'epoca un centro tradizionale.

In quell'epoca già in tutte le terre latine si formavano gruppi di esoteristi, all'intento di conservare intatta la dottrina millenaria.  [Figurarsi dunque se tali associazioni potevano mancare nella Germania [36], dove da due secoli s'era stabilito l'Ordine Teutonico [37], tanto affine al templario, dopo essere stato per oltre cent'anni a contatto degli Arabi, conservatori - come si disse - della tradizione occulta]. Le Dodici chiavi e l'Azoth filosofico di Valentino Basilio devono essere annoverati tra i migliori scritti alchimici [38]. Il loro studio non sarà mai abbastanza raccomandato a' neofiti, perch'essi non li indurranno mai in errore. Le Dodici chiavi, tradotte in francese, fanno parte della Biblioteca dei filosofi chimici.

Lo stesso secolo vide apparire isaac  [o isacco], Olandese, autore dell'Opere Minerali. 

 

bernardo trevisano, che nacque a Padova nel 1406, ci mostra anche una volta quanto possano la pazienza e il lavoro incessante. Fin dall'età di quattordici anni egli si consacrò alla spargiria e tentò le più svariate ricette, senza scoraggiarsi per gl'insuccessi. Veramente, il Trevisano non fu che un alchimista exoterico, ma fu tale disinteressatamente, sicché è degno della stima universale. Era ricchissimo e profuse tutti i suoi beni nei crogioli per cercare la pietra filosofale.  [Ma, non potendola trovare da sé, ricorse a un cotal confessore di Federico III imperatore, in grido di possederla. N'ebbe una ricetta e gli parve toccare il punto col dito, ma eseguita appuntino, trovò l'argento diminuito nella storta. Non si disanima. Vecchio di settantadue anni va di luogo in luogo e capita a Rodi, dove delle molte sostanze non gli restava più un quattrino, sol gli restava la fede nell'alchimia. Si fa scolaro per tre anni di un frate, e seppe poi dal medesimo il segreto della scienza ermetica, che cioè: Natura contiene natura e natura si fa gioco di natura [39]], il che significa che non è possibile accoppiare un cavallo con una balena... un metallo con una pianta... Bernardo Trevisano ha lasciato tre opere: Il libro della filosofia naturale dei metalli [40]. - La parola abbandonata. - Della natura dell'oro [41]. Morì nel 1490.

 

Citeremo, per semplice memoria, i nomi di norton, di riplay, di tritemio [42], d'agrippa [43],  [di berigardo da pisa [44]e di giovanni van eyck [45] che non è possibile considerare come seri adepti dell'ermetismo; così arriveremo al maraviglioso Paracelso, allo spirito, al carattere più originale, che si poté mai trovare, ma anche al più ardito e al più potente.

 

Paracelso, quest'uomo ammirabile ebbe una quantità considerabile di avversari; nessuno fece progredire la scienza più di lui, la qual cosa ci spiega il motivo delle animosità delle quali fu e resta tuttora oggetto. Diciamo pertanto che la sua memoria principia a essere riabilitata; se si potessero leggere le opere sue, tradotte in volgare dal latino barbaro nel quale sono state scritte, Paracelso s'accattiverebbe, a colpo sicuro, la stima di una quantità di pensatori, che l'ignorano! Emettiamo il voto che qualche fervente occultista intraprenda presto la pubblicazione delle opere di costui, che fu uno de' più vasti ingegni della Terra.

Paracelso visse dal 1493 al 1541.

Venne al mondo a Einsiedeln, presso Zurigo, e si chiamò effettivamente aurelio filippo teofrasto bombast da hohenheim; Paracelso fu un soprannome che gli fu dato in seguito. 

Fin dalla giovinezza sentì trasporto per la medicina; ma appena ebbe sentore della scolastica che costituiva allora, come anche adesso, il fondo della scienza, risolse di rinnovare i sistemi tenuti e, basandosi sui precetti della spargiria, ricostituì la terapeutica razionale, integrale, l'omeopatia ermetica. Paracelso ci sembra una stupenda figura d'iniziato. Indifferente agli attacchi, che da ogni parte gli venivano lanciati, con la forza che da un'incrollabile convinzione, quel profondo alchimista si mise a scacciare dal tempio della medicina soltanto i mercanti che vi si trovavano. 

Durante la malattia d'una persona egli, invece di rivolgere tutte le cure al fisico, agiva sul corpo astrale  [sull'anima] del malato, ben sapendo che la dinamica governa tutto il corpo e che, mediante i suoi influssi o i suoi afflussi, si riconduce l'equilibrio normale. Il solfo  [lo spirito], il sale  [l'anima], il mercurio  [il corpo]: tali erano i principi a' quali ricorreva, corporificandoli in droghe e in elisiri a convenienti diluizioni, per guarire l'anima e quindi, per mezzo di essa, il corpo che ne dipende, invece di curare direttamente il corpo, come facevano i suoi confratelli empirici. 

Paracelso "si educò nell'opposizione e ne' vasti confronti, perché da prima cantava nelle vie come Lutero, indi viaggiò persino nell'Egitto e nella Tartaria, onde, preludendo a Cartesio, scrisse la libertà e l'esperienza essere basi uniche alla scienza, e la natura essere il massimo alchimista, perché la vita è la trasformazione dei corpi per eccellenza"; esercitò a Zurigo e poi a Basilea, dove la sua riputazione crebbe immensamente, con disperazione de' suoi colleghi, meno avveduti di lui.

In quella città  abbruciò, nel 1527, i vecchi libri di medicina per sostituirvi lo studio della natura [46]] aprì corsi; però la più parte degli editori fu allontanata da lui dalla maniera ardita ch'aveva di professare, dalle sue uscite originali, ma sempre giuste, contro la medicina di quei tempi, e dalla bizzarra e confusa maniera di esprimersi.

Versatissimo nell'ermetismo, Paracelso conobbe la trasmutazione dei metalli, praticò la palingenesi e si diede all'evocazioni astrali. Questi esperimenti ci dimostrano ch'egli possedè un potere adeptale poco comune in altri.

I suoi detrattori l'accusarono di libertinaggio e d'ebrietà; niente ci autorizza a supporre ben fondate queste accuse, suscitate da gelosia di professione.

Il Luterò della scienza - come lo chiama il Michelet - ritiratesi a Strasburgo, dove menò, a ogni modo, esistenza laboriosissima, vi morì  [nel 1541] nel vigore dell'età, a quarantotto anni, consumato senza dubbio dal lavoro e dalla lotta.

Le sue opere alchimiche sono: Il cielo dei filosofi. -Trattato della natura delle cose. - La tintura dei fisici. - II tesoro dei tesori [47].

In medicina scrisse una chirurgia -  [Opera medico-chimico-chirurgica] — che non è stata mai tradotta. Lo stile immaginoso e scorretto dell'autore e gli strani barbarismi de' quali è piena allontanano anche i più volenterosi lettori. Ma, quante sorprese! quante perle preziose celano quegl'inganni tesi alla pazienza e all'iniziativa dei neofiti!

L'introduttore della chimica nella farmacia ci lasciò anche l'opere seguenti: De secretis natura mysteriis. De spiritu planetarum occulta philosophia - Paradoxorum tomi XIV. Inoltre molte opere corrono ingiustamente sotto il suo nome. [48].

 

 

 [1] Diciamo nuovamente, perché i druidi, figli dei maghi indù e indiani, l'avevano rivelata nella Gallia durante molti secoli; del resto i loro precetti persistettero, sopratutto sotto la forma di miti popolari.  [In Italia la Scienza Sacra fu rivelata da NUMA POMPILIO. Non bisogna dimenticare che i fulgurarì etruschi erano fratelli de' druidi delle Gallie; i Tusci furono Celti e Roma è città etrusca, cioè celtica. La religione exoterica fu introdotta nella nostra Urbs ai tempi di Tarquinio Prisco e vani furono gli sforzi dei sacerdoti del culto ortodosso per impedire l'invasione del gentilesimo, ch'era, rispetto a quello, ciò che la frazione è rispetto all'unità, ciò che l'estetica è rispetto alla psicologia, ciò che l'apparenza è rispetto alla realtà].

 [2] San Bonaventura (Giovanni di Fidanza, detto il Dottore Serafico) ( 1221-1274) fu dottore della chiesa, teologo, cardinale e legato pontificio al concilio di Lione. Lasciò varie opere, tra le quali si citano i Cantici e la Bibbia pauperum. (N. d. T.)

 [3] In questa notizia c'è una svista. Clemente IV morì nel 1271 e a lui seguì Gregorio X. Nel 1276 fu assunto alla tiara Innocenzo V, seguito l'anno stesso da altri due papi, da Adriano V e da Giovanni XXI. Nel 1277 ascese il soglio Nicolo III, nel 1281 Martino IV, nel 1285 Onorato IV, nel 1288 Nicolo IV, e nel 1294 San Celestino V. Dunque Bacone fu fatto scarcerare da Onorato IV e rimprigionare forse dallo stesso, ma più probabilmente da Nicolo IV. Fu messo nuovamente in libertà sotto quest'ultimo papa e morì a' tempi di Celestino V o Bonifacio VIII, elevati ambedue al seggio pontificio nel 1294. (N. d. T.)

 [4] Tradotto in francese da Alberto Poisson, nei suoi Cinque trattati d'alchimia (Parigi, Chacornac, un volume).

 [5] San Tommaso d'Aquino.

 [7] La via di Damasco, feconda d'illuminazione.

 [7] Gli dobbiamo anche un Trattato d'alchimia e l'Accordo dei filosofi, come pure la Via delle vie, che si può leggere nei Cinque trattati d'alchimia del compianto Poisson.

 [8] A lui viene attribuita una celebre opera alchimica intitolata Semita recta; la altri la rifiutano come sua. (N. d. T.)

 [9] Pubblicati a Colonia nel 1621 e in parte ristampati a Berlino nel

1867. (N. d. T.)

 [10] La notizia che Tommaso spezzò un autòma mirabile, costruito d'Alberto, perché lo ritenne opera diabolica, va messa tra le favole. L'automa (libertino non era altro, che un soggetto magnetizzato.

 [11] Anche il trattato Dell'essere o dell'essenza dei minerali non è privo d'interesse, perché l'A. accenna in esso a vari fatti e a varie esperienze importanti, come p. es. la colorazione del vetro col fumo del legno d'aloè, o col mezzo di vari ossidi metallici. (N. d. T.)

 [12] V. Brucker, Hist. crit. ecc. vol. III, lib. II, cap. 3° e Ozanam, Dante e la filosofia cattolica, Milano, 1841, p. 51.

 [13] Si trova nei Cinque trattati alchimici del Poisson.

 [14] Confrontare l'interessante studio del Dr. Marco Haven, Vita e opere del maestro Arnaldo da Villanova. (N. d. T.)

 [15] Di lui si afferma che essendo prigioniero d'Enrico III nella torre di Londra, vi fabbricasse pel volere di sei milioni d'oro, coi quali si coniarono le monete dette nobili della rosa. (N. d. T.)

 [16] Fu tradotto dal latino in francese da Alberto Poisson e pubblicato nel suo libro: Cinque trattati alchimici.

 [17] Assai curioso libretto è, fra moltissimi altri che trattano dell'alchimista palmese, quello intitolato Glosa sopra Raimondo Lutto e sopra la turba filosofica per prodursi oro et argento mediante la natura e l'arte dilucidata dal nobile Scipione Severino Napolitano, Venezia 1684, che sta nella Misceli. P. F. Benvenuti a Med. conventui S. Ambrosii ad Nemus, nella Braidense. (N. d. T.)

 [18] Non per le vanità mondane.

 [19] La gente s'affanna.

 [20] Cardinale commentatore delle decretali.

 [21] Petrocchi, Piccolo dizionario enciclopedico.

 [22] Hoefer, Storia della chimica, T. I, pagina 384.

 [23] Si consulti l'opera del Bouterweck.

 [24] Dall'articolo "Un ermetista poco noto", del signor I. Marcus de Vèze (Ernesto Bosc), pubblicato nel numero 124 del Volle d'Isis (12 luglio 1893).

 [25] Dal vescovo di Siena.

 [26] Altri attribuisce il libro a Giovanni XXI o a Giovanni XXIII. (N. d. T.)

 [27] A tal papa è attribuito anche il libro L'elisire dei filosofi. (N. d. T.)

 [28] Ch. Roussel, lean XXII, P. 15.

 [29] Si consulti l'eccellente studio del sig. Luigi Esquieu, Iean XXII et les sciences occultes (Cahors, 1897), dal quale sono state tratte quasi tutte le aggiunte a questa biografia, nonché Iean XXII, sa vie et ses oeuvres d'aprés des documenta inédits, di V. Verla que.

 [30] Dante, Inferno, IV, v. 106-107.

 [31] I trovatori o trovèri, quando non sapevano musicare e cantare le loro canzoni, erano accompagnati da menestrelli o giullari.

 [32] Questo manoscritto del Rupescissa è posseduto a Brescia dal prof. Picei; vedi Rosa, Il vero nelle scienze occulte, pag. 79 (Brescia, 1870).

 [33] "Nelle chiese e cappelle, fatte costruire dai Flamel, si vede l'immagine del marito accompagnata da figure simboliche e da croci misteriose". V. Villain, Hist. crit. deN. Flamel, Parigi, 1671. - Eliphas Levi, Hist. de la Magie, p. 342. - Albert Poisson, Histoire de Nicolas Flamel. (N. d. T.)

 [34] Si trova nella Biblioteca dei filosofi chimici del Salmon e nel libro del Poisson, citato nella nota antecedente.

 [35] Rosa, op. cit., pag. 67 e seg.

 [36] Di una s'ha notizia: la scuola magica di Cracovia (Polonia). Esisteva allo scorcio del secolo XV e godeva molta rinomanza. Faust v'andò a studiare divinazione, arte di comporre filtri e negromanzia: questo si sa dalla sua storia.

 [37] L'Ordine Teutonico fu istituito da Walpol nel 1190 in Terrasanta, per assistere i poveri e gli ammalati tedeschi. Venne trasportato in Germania nel secolo XIII. Si può ritenere che fosse gioannita come il templario. I suoi affiliati, dapprincipio soli Tedeschi, vestivano di bianco come i seguaci di quello, né da essi si distinguevano che alla croce nera. Celestino III li confermò sotto la regola di sant'Agostino e li dotò de' privilegi conferiti ad altri ordini. Furono soppressi nel 1809.

 [38] Compose anche: Il carro trionfale dell'antimonio  [e De Microcosmo].

 [39] Vedi Cantù: Gli eretici, disc. XXXIII, eRacc. star, e mor., pagine 285 e seg.

 [40] Pubblicato nel voi. II della Biblioth. des philosophes chimiques.

 [41] Altri autori gli attribuiscono pure l'opere seguenti: De chemia - Il grandissimo segreto de' filosofi - De chemico miraculo - Opus chemicum - Turba philosophorum, eco.

 [42] Giovanni Tritheim o Tritemio (1462-1516) nacque a Trittenheim, presso Treveri. Fu maestro a Cornelio Agrippa. Lasciò molte opere, tra le quali le seguenti: Steganographia; Trattato delle cause seconde; Tractatus chemicus; Axiomata physicae chimicae.

 [43] Enrico Cornelio Agrippa ( 1486-1536), nato a Nettesheim, presso Colonia, morì a Grenoble. Fu soprannominato l'Arcimago e Trismegisto. Scrisse: De occulta philosophia; De incertitudine et vanitate scientiarum. In quest'ultima opera ripudia le idee esposte anteriormente.

 [44] Di costui si sa che fu introdotto a studiare alchimia da uno dei tanti adepti erranti, che percorrevano l'Europa al principio dell'epoca moderna.

 [45] Giovanni van Eyck (1386-1441), manipolando a Bruges oli per esperienze alchimiche. trovò modo di dipingere con colori impastati con olio naturale, cioè perfezionò la pittura a olio.

 [46] Michelet, La Ligue, Parigi, 1857, pag. 49.

 [47] Quest'ultimo fu tradotto per la prima volta dal latino in francese da Alberto Poisson (libro citato).

 [48] In francese ci sono le traduzioni del Sunto della preparazione delle medicine e dei Quattordici libri dei paradossi, dovute tutt'e due al prof. Ernesto Bosc. (N. d. T.)

 

 JOLLIVET-CASTELLOT F. - STORIA DELL'ALCHIMIA -

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L'Alchimia dalle Origini fino al secolo XIV


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