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"Atalanta Fugiens Fuga II°" Michaël Maier 1687 |
É invero singolare, per non dire sconcertante, che sino ad oggi nessun serio studioso della Tradizione abbia preso nella dovuta considerazione la figura di colui che San Francesco considerò «padre e madre di tutti i suoi figli»: frate Elia da Assisi. Così il Carissimo F:. Prospero Calzolari in questa sua opera d'ingegno tratta dal periodico di Studi Tradizionali "Arthos" n.12 Dicembre 1988. Ogni diritto è riconosciuto. La diffusione in rete del documento è subordinata alla citazione della fonte (completa di Link attivo) ed autore. © Prospero Calzolari |
Frate Elia Alchimista
É invero singolare, per non dire sconcertante, che sino ad oggi nessun serio studioso della Tradizione abbia preso nella dovuta considerazione la figura di colui che San Francesco considerò «padre e madre di tutti i suoi figli»: frate Elia da Assisi.
Per approfondimenti consultare nella sezione "Contributi Esterni" Frate Elia e la congiura del silenzio
Tale «dimenticanza» è ammissibile in sede meramente storica, considerando l'avversità - di parte guelfa - del resto mai celata nei riguardi di colui che fu intimo amico di Federico II sino all'ultimo giorno della sua vita, dividendo con lui persino la scomunica, ma diventa omissione qualora, nel ricomporre da un punto di vista tradizionale le tessere di un periodo oramai passato alla storia come «oscuro», non si tenga nel dovuto conto quello che Elia rappresentò per ciò che noi riassumiamo nel termine unico di «mondo della Tradizione». Colui che fra Bernardo da Bessa chiamava «vir alleo in sapientia humana famosus, ut rares in ea pares in Italia putaretur habere» (1), sembra essere sprofondato nel dimenticatoio della storia, nel quale una certa, plebe erudita ama seppellire le figure scomode di ogni tempo e luogo. Ciò che ci accingiamo a trattare col presente scritto per alcuni potrebbe rientrare nella definizione corrente di «storia occulta», da altri ancora catalogata come «l'altra faccia della storia», dato che per un errore di prospettiva viene tuttora concesso abusivamente un primato alla storiografia «ufficiale», la quale invero, per altro, da tempo metafisicamente esaurita, altro non è oramai che vuota cronaca del quotidiano. Di contro, per ciò che concerne il nostro metodo, attraverso l'analisi dell'accessorio cercheremo di risalire all'essenziale, restituendo alla figura di frate Elia il posto che merita nell'universo del suo tempo, e del resto, per dirla con Tommaso da Eccleston: «Quis in universo Christianitatis orbe vel gratiosior vel famosior quarn Elias?» (2). Consideriamo innanzi tutto la visione politica, per non dire metapolitica, di Elia, e troveremo in lui il più strenuo assertore di quella Renovatio Imperii di cui l'Imperatore Federico volle farsi portatore, attirando su di sé e sul suo amico frate i fulmini del Papato, allorché fu chiaro che suo scopo era quello di assurgere al rango di Imperator et Pontifex, come già lo erano stati gli Imperatori di Roma. Ciò preoccupò oltremodo il Papato, soprattutto perchè, come scrisse il Kantorowicz, «per Federico, in cui fiammeggiava di nuovo l'antico sogno della renovatio imperii, non si trattava di rinnovare la forma, ma proprio, invece, l'essenza, la vita» (3). Ecco dunque delinearsi un netto contrasto tra la Renovatio come era stata intesa dai Cesari romani, e che Federico intendeva ristabilire nella sua pienezza di significati, e il potere papale. E di che natura fossero i rapporti tra frate Elia e l'Imperatore Federico II saranno i fatti a svelarcelo. Sarebbe sufficiente riportare l'intervento diretto dell'Imperatore in difesa del frate in occasione della sua deposizione dall'Ordine nel maggio 1239, allorché, accusato di tendenze ghibelline, venne rimosso dall'incarico nel Capitolo Generale che si tenne a Roma per la Pentecoste di quell'anno. «Questo Papa», dice Federico, «in odio a noi, ha deposto dal ministero generale un generoso e coscienzioso frate Elia, costituito Ministro dell'Ordine dei Frati Minori dallo stesso Padre dell'Ordine Beato Francesco, al tempo del suo transito; perché, per amore della giustizia a cui si è dedicato col cuore e con l'azione, promovendo la pace dell'Impero, difendeva con evidenti argomenti il nostro nome, l'onore e il bene della pace» (6). Tanta era la fiducia di cui godeva Elia presso l'Imperatore che questi lo inviò, tra il 1241 e il 1242, come suo Legato in Oriente, per risolvere la critica situazione tra l'imperatore latino di Costantinopoli Baldovino e quello greco Vatacio di Nicea; e proprio per i suoi uffici, in favore della conciliazione tra Chiesa Greca e Romana, l'Imperatore di Costantinopoli gli donò la reliquia della Santa Croce, oggi a Cortona. Verso la fine del 1239 Elia si recò a Pisa presso il campo dell'Imperatore: cadeva così nella scomunica estesa a tutti coloro che avessero avvicinato Federico II. Nel 1240 lo troviamo «equitando cure ipso et cum eo morando in habitu ordinis cum quibusdam fratribus, qui erant de familia sua: quod redundabat in scandalum ordinis sui, presertim quia imperator excomunicatus iam erat, et illis dictibus obsedit Foventiam ed Ravennam et iste miser semper in Imperatoris exercitum morabatur, dando imperatori consilium et favorem» (7).
Invero suggestiva l'immagine di questo frate che, con l'abito dell'Ordine Francescano, cavalca a fianco dell'Imperatore. Elia aveva compreso la grandezza dell'idea imperiale come unica salvaguardia della Tradizione ed aveva intuito in Federico la presenza del «divino». «Il sangue degli Hohenstaufen», dice ancora il Kantorowicz, «in sé fu cesareo e divino... Con gli Hohenstaufen appare per l'ultima volta in Occidente una "stirpe divina"» (8). E quando nella Pasqua del 1250 giunse notizia della disfatta dell'esercito cristiano in Oriente e della cattura di San Luigi di Francia, frate Elia, per volere di Federico, il quale, essendo a suo tempo stato difeso dal Re di Francia in occasione della sua scomunica, aveva chiamato a raccolta i Principi cristiani a difesa del Santo Sepolcro, accorse in Sicilia per consigliare come sempre l'Imperatore e per assisterlo nella costruzione di numerosi castelli, apprestati in occasione della sua assenza dall'isola.
Ma Elia non fu per Federico solamente un architetto di chiara fama e un consigliere, nonché intimo amico, bensì molto di più.
Oggi è ammesso, sebbene velatamente, da più parti, l'«interesse» di Federico II nei riguardi dell'Arte Regia e si é parlato più volte, anche se superficialmente, dell'uso «iniziatico» di Castel del Monte, ma mai si é fatto riferimento a colui che fu vicino all'Imperatore più di ogni altro e che con lui dovette quindi giocoforza condividere i segreti di quella «suprema scienza» che è l'Alchimia. La nostra tesi d'altronde, per tranquillità degli «storici», è avvalorata dall'esistenza di alcuni documenti che parlano da soli. «Fr. Eliae liber Alchimiae. Incipit liber alchimicalis quem frater Helyas edidit apud Federicum imperatorem. Liber lumen de luminum transactus de sarraceno ac arabico in latinum a fratre Cypriano ac compositus in latinum a generali fratrum minorum super alchimicis. Incipit liber qui lùmen luminum dicitur ex libris medicorum... Inc. Primum quod in eo esplicantur et sal armonicus quod dupliciter invenitur: Incipit liber tertius traslatus et compositus a Fratre Helya Minorum». Ed ancora, nella Biblioteca Vaticana, tra i codici provenienti dal fondo Reginense n. 1242, si legge un'opera divisa in 3 libri e composta di 256 ff. intitolata: Liber Fratris Rev. Eliae Generalis ordinum Minorum ad Federicum Imperatorem. Considerando tali documenti non si può non rimanere perplessi nel constatare l'assoluto silenzio, tacitamente accettato, che circonda personaggi tutt'altro che secondari per la storia dell'umanità.
E ciò avviene ad arte ogni qualvolta si cerchi di proiettare la loro immagine dal piano meramente storico ad un piano metastorico ed esoterico. Ai farisei della cultura ufficiale, da anni impegnati a stabilire la circonferenza cranica di San Francesco e il colore della sua barba, potremmo apparire dei maniaci, sempre tesi alla ricerca di «miti» e fantasie, di strane analogie frutto di personali masturbazioni mentali. Ma non é così. Troppe sono le «coincidenze» che stanno a dimostrare come San Francesco non fosse solamente il «poverello» di Assisi, Elia semplicemente uno scomunicato e Federico Il l'Anticristo dell'Apocalisse. Il nodo occulto che lega queste tre figure é senz'altro lungi dall'essere sciolto in maniera definitiva, anche grazie a coloro che - come più sotto diremo - con innegabile solerzia, nel corso della storia, si dettero da fare affinché sparissero documenti e manoscritti; ma ciò che a fatica riesce ad emergere dalle nostre modeste ricerche sembra essere solo la punta di un iceberg di ben altre dimensioni. Tornando dunque ad Elia, a pg. 233 della Chronica di Fra Salimbene possiamo leggere: «Di fatto, quando sapeva (Elia, n.d.r.) che nell'Ordine vi era qualche frate che nel secolo aveva studiato di quella scienza o ciurmeria (l'Alchimia, n.d.r.), lo mandava a chiamare e lo teneva presso di sé nel palazzo Gregoriano. In quell'appartamento dunque vi erano camere e molti luoghi segreti nei quali Elia albergava quei frati e molte altre persone «ove pareva che si andasse quasi a consultare la Pitonessa».
Quando Gherardo da Modena andò al convento di Celle a Cortona, patria di adozione di Frate Elia dopo la sua seconda scomunica, per cercare di riconciliare il frate con l’Ordine, passò tutta la notte senza poter dormire e, come poi narrò, gli era sembrato di aver udito tutta la notte svolazzare demoni per la casa e per il convento come pipistrelli e li udiva emettere grida che gli fecero correre per le ossa fremore e terrore... Finalmente, spuntato il sole, dette un saluto e in fretta si partì col suo compagno eriferì al suo Generale quanto aveva fatto, udito e veduto. La necessità di servirci, per il nostro lavoro, anche di fonti contrarie a frate Elia, come le due sopra citate di Salimbene, é purtroppo dovuta alla difficoltà di poter ricomporre in maniera organica le testimonianze relative all'attività del frate e all'impossibilità oggettiva di poter ricostruire il corpus dei suoi scritti e carteggi. Alla scomunica di frate Elia seguì infatti la distruzione sistematica dei suoi archivi segreti. Furono persino strappati dagli antichi registri del Sacro convento di Assisi i fogli che si riferivano alla sua persona ed inoltre andò «perduto» il Registro ove frate Illuminato segnava le lettere che frate Elia riceveva e spediva: in pratica fu tutto appositamente, faziosamente distrutto.
Simile sorte, del resto, era toccata a San Francesco. Scrive il Dallari: «Per comprendere la vera grandezza dell'opera di Francesco é necessario ricostruire la sua storia; non prendendo ad occhi bendati quello che la storiografia ufficiale rielaborò nello stesso Celano per tre volte, finendo poi di decretare col Capitolo di Parigi del 1266 la totale distruzione delle biografie scritte precedentemente a quella di S. Bonaventura» (9).
Ma per quanto riguarda Elia osiamo cautamente sperare che non tutto andò perduto. Molte cose difatti potrebbero essere ancora racchiuse tra le mura della Basilica di Assisi, dato che la Regola presentata nel Capitolo detto delle «Stuoie» nel 1221, sotto il Generalato di Elia, tra le altre cose prevedeva il divieto di possedere libri secondo la raccomandazione «rumpite libros ne corda vestra rumpantur». Tali libri potrebbero dunque ancora essere nascosti tra le mura del Sacro Convento e, se si considera che il corpo del Santo venne rinvenuto soltanto nel 1818, è possibile che qualcosa di simile possa un giorno accadere anche per libri e documenti riguardanti Elia. Qualcosa di scritto comunque é rimasto a testimoniare il profondo interesse di Frate Elia per l'Alchimia. Il Crescimbeni racconta di aver veduto un trattato manoscritto di Alchimia composto da frate Elia ed egli stesso pubblicò un sonetto ivi contenuto nel 3° volume dei suoi Commentari sulla volgare poesia. Nel manoscritto L-VI-20 della Biblioteca Comunale di Siena, intitolato: Birelli, Cielo dei filosofi, a p. 124 vi é: «La nobilissima opera et altissimo magistero della Pietra Filosofale secondo lo esimio ed eccellentissimo filosofo Frate Elia». Nella Biblioteca Universitaria di Bologna trovasi un codice latino distinto con il n. 138 (104), Mise. del secolo XV, contenente delle carte da 138 a 141 così contrassegnate: Liber Fratris Heliae de Assisio de occultis naturae; e dalle carte 241 a 244: Magisterium Fratris Helie ordinis minorum. Il codice B.VI-39 della Biblioteca Casanatese in 8° contiene un opuscolo dalla carta 185 intitolato: Incipit opus Fratris Elle Philosophi. Ed anche nelle testimonianze di famosi uomini e letterati troviamo traccia dell'«interesse» del frate per l'Arte Regia. Padre Ireneo Affò, Minore osservante, ricorda una cronaca del 1472 in folio, scritta in pergamena, ed appartenente alla Biblioteca del Principe Chigi in Roma, in cui è scritto che nel Convento delle Celle a Cortona Elia «se dederat ad faciendam operam alchimie sicut pubblica fama fuit» (10). Nella Summa perfectionis magisterii di Geber, del 1500, vi é un sonetto alchemico di Frate Elia (11). Nell'opera Della trasmutatione metallica sogni tre, di B. Nazari, del 1559, vi sono alcuni titoli di poesie alchemiche di frate Elia. Anche Borellio, nella Biblioteca Chimica, del 1654, cita Frate Elia. Il Crescimbeni, già in precedenza citato, a riguardo ci dice ancora: «Frate Elia, che fu uno dei compagni di S. Francesco d'Assisi, vogliono i chimici e gli alchimisti che fosse eccellente filosofo e ritrovasse la maniera di comporre il lapis Philosophorum» (12). Il Lempp, dopo aver parlato del Codice fiorentino, in fondo alla nota a p. 122, sottraendosi ad ogni giudizio e ad ogni conclusione, si esprime sinceramente così: «Je ne suis, pas non plus capable de comprendre e de juger un traité d'alchimie» (13).
Fu dunque frate Elia, fuor di ogni dubbio, alchimista. Ma anche se i suoi scritti andarono per lo più persi o distrutti é logico ritenere che, in qualità di architetto, non fosse soltanto aduso a «scrivere» su pergamena, bensì anche, e soprattutto, su «pietra». É universalmente accettato che nella chiesa superiore di San Francesco per opera di Frate Elia prende inizio il gotico italiano e tale chiesa presenta delle analogie sorprendenti con la cattedrale d Reims.
In definitiva, mentre in Assisi si costruiva la chiesa superiore, in Francia venivano impiegate uguali soluzioni che rimandano ad un modello comune ancora sconosciuto, anteriore all'una e all'altra (14). A proposito di questo modello comune, alla cui «importazione» furono tutt'altro che estranei i Templari, rimandiamo al nostro precedente scritto sui rapporti intercorsi tra i Cavalieri del Tempio e le maestranze commacine dell'epoca (15). L'Enciclopedia Cattolica, alla voce: «Commacini, Maestri», riporta testualmente: «É difficile stabilire se certe caratteristiche strutturali e certi elementi architettonici debbano considerarsi vere e proprie invenzioni di maestranze commacine o non siano invece lontani derivati di fabbriche imperiali romane e di monumenti siriaci».
Elia rimase in terra di Sira per due anni. Riguardo ai Templari, poi, c'é da aggiungere che l'antica chiesetta d'Ossaia, borgo di Cortona, anticamente era considerata un luogo di smistamento dei Templari che si recavano alle Crociate (16). Per quanto concerne la presenza di frate Elia in Oriente, é un dato inconfutabile che l'unica missione che sin dall'inizio sortì buoni effetti fu proprio quella custodia della Terra Santa ove il primo Ministro provinciale fu Elia. Se lo stesso Francesco ottenne il primo lasciapassare che i musulmani diedero ai cristiani, questo avvenne grazie alla «popolarità» di cui già frate Elia godeva là dove, secondo San Bonaventura, il sultano aveva decretato «che si desse un bisante d'oro a chiunque gli portasse la testa di un cristiano». Dove sono da ricercare dunque i reali motivi per cui il Soldano Malek el-Kamel gli divenne amico e per i quali gli «infedeli» lo ammirarono, se non nel connubio trascendente tra Oriente e Occidente di cui Elia fu portavoce e come lui l'Imperatore Federico?
Fu proprio da questa osmòsi esoterica che prese il via, in tutta Europa, il gotico: l'Alchimia racchiusa nella pietra, a Chartres come a Notre Dame, a Reims come ad Amiens e ad Assisi (17). E le due prime basiliche francescane furono erette proprio da Elia, l'una a Cortona per custodire uno dei più preziosi frammenti della Santa Croce, l'altra ad Assisi, dove oramai tutto il mondo cristiano considerava la tomba di Francesco come un formidabile contenitore di energie ed Assisi come un nuovo Oriente cristiano dove si trovava il nuovo Santo Sepolcro (18). Fu frate Elia a scegliere la località denominata «Colle dell'Inferno» come luogo per l'erezione della Basilica e a cambiarne poi il nome in «Colle del Paradiso». Una coincidenza? O piuttosto un netto riferimento ai gradi dell'Opera, secondo una visione per così dire «dantesca»? Anche la triplice struttura della Basilica riporta a medesime considerazioni. Solo nel 1818 gli scavi dimostrarono l'esistenza di un terzo ambiente, sebbene nelle antiche leggende, che volevano San Francesco in piedi ed incorrotto, costante fosse la tradizione di una terza chiesa esistente sotto la duplice Basilica.
Comunemente accettato che la suddivisione della Basilica sia da ricollegarsi ai tre voti di obbedienza, povertà, e castità, ma ciò non esclude affatto la possibilità di riferimento ai tre gradi dell'Opera alchemica.
Scrive il Montesperelli: «Frate Elia eresse sopra la prima Basilica la seconda conferendo ad essa lo slancio della glorificazione, dell'ascesa, come alla prima aveva conferito il senso raccolto dell'interiorizzazione» (19). Come si può notare, simile esplicazione nulla ha a che vedere con i suddetti voti, bensì rimanda, nell'intenzione dello scrittore sopra citato, ad un diverso «grado» di interpretazione delle varie strutture che compongono l'edificio, da ricollegarsi alla particolare visione interiore di Elia. Tornando al «Colle dell'Inferno», da Elia poi ribattezzato «Colle del Paradiso», v'é ancora da notare che già in precedenza San Francesco aveva detto che un giorno quel colle sarebbe diventato «Ingresso del Paradiso» (20). «Porta del Cielo», ovverosia Ianua Coeli (21). Iniziò così sul Colle dell'Inferno, sotto la guida e l'ispirazione di frate Elia, la costruzione di uno dei più grandi santuari di tutti i tempi. Sebbene il tutto nella struttura riportasse a modelli e misure sin allora sconosciuti, uno degli elementi in particolare risultò nuovo e singolare: la presenza di dodici torrioni semicircolari di pietra rossa. Tali torrioni girano tutt'intorno alla chiesa e si staccano nettamente sulla cortina bianca. Riporta Fra Lodovico da Pietralunga: «medesimamente queste due chiese, de intorno vi sono dodici torrioni, cioè sei per banda, i quali sono tondi et ciascheduno dentro ha scala a lumaca, quali gradili sonno de travertino, il resto di pietra graniata roccia... li quali torrioni dicono essere stati facti in honore delli dodici Apostoli» (22). È ben vero che San Paolo chiama gli Apostoli «Colonne della Chiesa», ma è anche vero che il numero dodici, da un punto di vista tradizionale, ha sempre avuto un'importanza particolare.
Ed inoltre, sempre riguardo alla Basilica di San Francesco in Assisi, quello dei torrioni non è il solo esempio nel quale troviamo la presenza di tale numero. La cosiddetta «Sindone di San Francesco», riportata nell'Inventario del 1338 come dono dell'Imperatore dei Greci e che risulta essere un'opera orientale del '200, consiste in un velo quadrato con disegni ricamati a rombi. Le figure romboidali sono dodici, ricamate in oro, raffiguranti grifi e leopardi. La tomba primitiva del Santo era quadrata e misurava dodici palmi per lato. La costruzione della Basilica durò 12 anni. Tra gli oggetti rinvenuti nella tomba del Santo figurano tra l'altro 12 monete d'argento e 12 acini di ambra (23). Da notare che attualmente le monete ed i chicchi d'ambra sono conservati a Roma nella Basilica dei SS. XII Apostoli! Tutto quanto da noi è stato esposto fino ad ora potrà gettare nuova luce, e questo è il nostro fine principale, sull'evento, per molti versi ancora oscuro, concernente la traslazione del corpo di San Francesco dalla chiesa di S. Giorgio all'attuale Basilica. Il fatto storico é il seguente. Essendo tutto pronto per accogliere il sacro corpo di Francesco nella Basilica Inferiore, il giorno della Traslazione venne stabilito per il 25 maggio del 1230. Giunto che fu l'imponente corteo alle soglie della nuova Basilica, ed entrata che vi fu la santa Reliquia, gli armigeri del Comune, per ordine di frate Elia, respinsero la folla, e chiudendosi le porte alle spalle Elia, da solo, provvide ad occultare nel vivo della roccia il corpo del Santo. Lo scandalo fu enorme e lo conferma la stessa bolla pontificia Speravimus hactenus del 16 giugno 1230, scagliata dal Pontefice su Elia e le autorità di Assisi che avevano obbedito agli ordini del frate.
Gregorio IX ordinò che le autorità comunali venissero punite e la Basilica fu colpita da interdetto. Ciononostante, e non si seppe mai il perché, Io sdegno del papa fu in qualche modo placato. La Cronaca dei 24 Generali si limita semplicemente a dire: «ma frate Elia placò con molte e buone ragioni il Pontefice» (24). Da tutti é accettata, quale spiegazione al comportamento di Elia, la motivazione concernente il timore che avrebbe avuto il frate per un probabile delirio mistico della folla. Elia dunque avrebbe temuto l'esplodere del fanatismo del popolo i cui rappresentanti, in preda ad una specie di sacra follia, avrebbero potuto reclamare per sé ciascuno una particella del sacro corpo del Santo, facendo così scempio del medesimo. Ciò lo avrebbe indotto a chiudersi la porta alle spalle, respingendo con gli armati persino gli alti prelati giunti da ogni dove, e ad occultare da solo il corpo del Santo, il quale venne in seguito rinvenuto solo nel 1818. Tale spiegazione, sebbene plausibile, non ci soddisfa. Infatti, per quale ragione la folla avrebbe dovuto aspettare che il corpo del Santo varcasse le porte della Chiesa per impadronirsi delle tanto sospirate reliquie, quando ne avrebbe avuto la possibilità durante tutto lo svolgimento del corteo? E perché far respingere dagli armigeri anche notabili e prelati quando simili figure mai si sarebbero permesse di profanare il sacro Corpo in preda a mistici furori? Considerando attentamente quanto da noi é stato fino ad ora esposto, la nostra spiegazione risulta essere un'altra, e ben diversa da quelle che fino ad oggi sono state date. Nella tomba del Santo, accanto alle monete e agli altri oggetti più sopra menzionati, fu rinvenuta anche una pietra poligonale, sulla quale poggiava la testa di San Francesco (25).
Eccone la descrizione fatta dai due periti archeologici Giovan Battista Vermiglioni di Perugia e Francesco Antonio Frondini di Assisi: «La Pietra é della stessa qualità dello scoglio della montagna in forma di un poligono delle misure di controllo, ove (si) dà delineata la forma stessa (once 6x9 e 1/2 e x 11), la quale Pietra, osservata diligentemente, si é osservato non contenere né Iscrizioni, né Lettere, né Sigle; anzi fa meraviglia di aver trovato questa Pietra nell'Urna che ieri vedemmo, giacché né la forma, né la situazione prestano motivo anche ad una semplice congettura sul di lei uso» (26). La testa del Santo poggiava dunque su tale pietra. Notiamo innanzi tutto la somiglianza fonetica esistente tra il nome ebraico kephas, «pietra», e la parola greca kephalé, «testa». É il Guenon in questo caso ad illuminarci, grazie al suo fondamentale studio intorno al simbolismo tradizionale della «pietra angolare» (27). «Occorre - dice il Guénon - che la " pietra angolare " sia tale da non poter trovare ancora il suo posto; e infatti lo può trovare solo al momento del compimento dell'intero edificio, e così diventa realmente la «testa d'angolo»... così questa pietra, tanto per la sua forma quanto per la sua posizione, é effettivamente unica nell'intero edificio, come dev'esserlo per poter simboleggiare il principio da cui tutto dipende. Stupirà forse che questa rappresentazione del principio trovi così il suo posto solo alla fine della costruzione; ma si può dire che quest'ultima, nel suo complesso, é ordinata in rapporto a quello (quel che S. Paolo esprime dicendo che "in essa tutto l'edificio si eleva in un tempio consacrato al Signore")». Coomaraswamy osserva inoltre che in varie lingue le parole significanti «angolo» sono spesso in rapporto con altre che significano «testa»: in greco kephalé, «testa», e in architettura capitello» (capitulum, diminutivo di caput). La parola ebraica significante «angolo» é pinnah, eben pinnah é la «pietra d'angolo» e rosh pinnah, «testa d'angolo», ed inoltre in senso figurato pinnah viene usata col significato di «capo»; l'espressione pinnoth haam, «capi del popolo», é tradotta letteralmente nella Vulgata con angulos populorum. Inoltre la parola araba rukn, «angolo», assume talora il significato di «segreto» o «mistero», e il suo plurale arkân é da accostare al latino arcanum. Inoltre rukn ha anche il senso di «base», «fondamento», il che riconduce alla «pietra fondamentale». In Alchimia el-arkân sono i quattro elementi, le «basi» sostanziali del nostro mondo, così assimilati alle pietre di base dei quattro angoli di un edificio; non ci sono però solo questi quattro arkân, ma v'é un quinto rukn, quinto elemento o «quintessenza», rappresentato dal quinto «angolo» dell'edificio, e a questo «quinto», che è in realtà il «primo», conviene l'appellativo di «angolo degli angoli» (rukn el-arkân, equivalente a sirr elasrâr, rappresentato dalla parte superiore della lettera alif, raffigurante l'«Asse del mondo»). In architettura il compimento dell'opera è la «pietra angolare», in Alchimia é la «pietra filosofale». Questa pietra, in quanto «compimento» o «realizzazione», equivale dunque nel linguaggio alchemico occidentale alla «pietra filosofale» e a tale riguardo é da notare che gli ermetisti cristiani parlando del Cristo si riferirono a Lui come alla «pietra filosofale» o «pietra angolare». É chiara a questo punto la correlazione esistente tra simbolismo alchemico e simbolismo architettonico, dato il loro comune carattere «cosmologico», cosa d'altronde propria a tutte le conoscenze tradizionali, altrettante espressioni delle stesse verità di ordine universale.
L'«ultima» pietra - ovvero la «prima» - della Basilica di Assisi fu dunque quella «pietra angolare» su cui Elia poggiò segretamente il capo del Santo, egli stesso «pietra filosofale», novello Cristo ed Asse del mondo. E allorché il frate scelse il «Colle dell'Inferno» quale luogo per l'erezione del Santuario, dovette di certo avere in mente le parole di Matteo (XVI, 18): «Tu sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno non prevarranno su di essa».
1. -Bernardo da Bessa, Cronachetta dei XV Generali, in «Annali Francescani», vol. III. 2. - Tommaso da Eccleston, De adventu Fratrum Minorurn in Angliam, Manchester 1951. 3. - E. Kantorowicz, Kaiser Friedrich II, Berlin 1927. 4. - Fra Salimbene da Parma, Chronica, a cura di G. Pochettino, Sancasciano Val di Pesa 1926. 5.- Fra Mariano da Firenze, Compendium chronicarum Ordinis Fratrum Minorurn, in "Archivum Archivum Historicum», 2 (1909). 6. - «Revera papa iste quemdam religiosum et timoratum fratrem Helyam, ministrum ordinis fratrum Minorurn, ab ipso beato Francisco patre ordinis migrationis sue tempore constitutum, pro eo quod amore justicie cui est corde et opere dedicatus..., pacem imperii promovens, nomen nostrurn, honorem et bonum pacis evidentibus indiciis proponebat, in odium nostrum a ministerio generali... deposuit» (Huillard-Breholles, Historia diplomatica Friderici Secundi, Paris 1860). 7. - Salimbene, Chronica, cit. Su questo punto cfr. anche: Chronica XXIV Generalium, in «Analecta Franciscana», III (1897): «... frater Helias de Assisio supradictus factus est ita familiaris eidem imperatori rebelli, ut quasi in omnibus suo consilio regeretur». 8. - E. Kantorowicz, Friedrich II, cit. 9. - Primo Dallari, Il dramma di frate Elia. Milano 1974. 10. - Ireneo Affò, Vita di frate Elia, Parma 1819. 11. - Per i sonetti alchemici di frate Elia, cf r.: Sonetti alchemici di Cecco d'Ascoli e frate Elia, a cura di Mario Mazzoni, Todi 1930. 12. - Crescimbeni, Commentari sulla volgare poesia, Roma 1698. 13. - E. Lempp, Frère Elie de Cortone, etude biographique, Paris 1901. 14. - P. Anacleto Jacovelli, La Basilica di San Francesco, valore della nuova datazione, in «San Francesco Patrono d'Italia», marzo-aprile 1970. 15. - P. Calzolari, Sui Rosacroce e i maestri commacini in riferimento alla Basilica di San Francesco ad Assisi, in «Arthos», V, 11 (gennaio-aprile 1976). 16. - Primo Dallari, Il dramma di frate Elia, cit. 17. - A questo proposito è bene ricordare che il castello di Lucera venne creato dallo stesso Federico quando, sconfitti i saraceni in Sicilia, ne trasferì oltre diecimila nell'antica colonia militare romana. Qui essi vissero indisturbati, secondo le loro usanze e dentro le sue mura i muezzin dai minareti potevano invitare alla preghiera, quasi fossero in un piccolo isolotto musulmano. Per tale magnanimità Federico trovò in essi la più fedele guardia del corpo. Lucera divenne la chiave, il punto d'appoggio della potenza sveva, il quartier generale dell'Imperatore, considerato da questi musulmani come il loro naturale «Sultano». 18. - Per quanto riguarda la Basilica di Assisi, il Vasari annovera, tra i collaboratori di Elia, Jacopo o Lapo tedesco, protetto dallo stesso Federico II. 19. - A. Montesperelli, Viaggio in Umbria, Perugia 1963. 20. - P. Benoffi, Compendio di Storia Minoritica, Aggiunta, 355. 21. - Sul significato di tale simbolo v. René Guénon, Simboli della Scienza Sacra, Milano 1975. 22. - In: Primo Dallari, Il dramma di frate Elia, cit. 23. - Le monete in realtà sarebbero undici, ma nell'urna si trovò pure un «pezzo di metallo (che) spezzato in due parti fu riconosciuto essere solamente un pezzo di ferro ossidato, di figura irregolare della grossezza di un Paolo...», il che non esclude che possa essersi trattato di una moneta ossidata. Nella tomba furono trovati anche 11 chicchi d'ebano ed un anello d'argento. La parte superiore dell'anello portava un ovale, o corniola, con incisa una Pallade armata, detta Nicefora. L'anello è andato perduto, se ne conserva solo un disegno. Il significato di questo anello resta sconosciuto. 24. - Cfr. Primo Dallari, op. cit. 25. - Per precisione, Padre Papini riporta: «Entro la stessa cassa o urna esisteva uno scheletro avente al lato destro, prossimamente alla testa, una pietra informe di figura poligona» (P. Nicola Papini, Brevi e distinte notizie sull'invenzione del sacro corpo del Serafico Patriarca San Francesco di Assisi ritrovato precisamente il dì 12 decembre 1818 ecc. ecc., Roma 1820. Ma il fatto che la mascella inferiore sia stata rinvenuta frantumata ha fatto pensare che questo possa essere avvenuto per scivolamento dalla pietra sulla quale doveva in origine essere poggiata la testa del Santo, come si può notare dai disegni eseguiti nel 1818-1820, epoca nella quale tu riportato alla luce il corpo di San Francesco. 26. - Processo dei Delegati Apostolici; F. Guadagni, De Invento Corpore Divi Francisci..., Appendix docum. 27. - R. Guénon, La pietra angolare, in Simboli della Scienza sacra, cit.
Frate Elia Alchimista
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