1. Il rito, il suo senso, i
suoi simboli
In Massoneria il rito
funerario è il simbolo della
metamorfosi dell’uomo nel fatale
passaggio dalla caducità terrena
all’eterno, dal contingente al
trascendente, dal sensoriale
allo spirituale, richiamando
inoltre i concetti di rinascita,
di evoluzione continua, di
fratellanza universale, di
reintegrazione nell’Uno.
Celebrare un defunto, nel Tempio
massonico, significa sentirlo
presente tra i vivi e così
dichiarare una continuità di
rapporto con lui, ovvero una
continuità di comunicazione tra
la vita e la morte; quindi una
estensione della fratellanza dei
viventi ai morti, in una catena
universale, per essere fratelli
nella vita attuale e oltre essa,
anche dopo la morte. Tutto
questo, ovviamente, c’induce a
penetrare il senso autentico
della morte, superandone la
concezione comune o profana.
Per far ciò siamo obbligati a
entrare nel Tempio dei Liberi
Muratori parato a lutto, con
addobbi che indicano che la
morte può mietere gli uomini in
qualunque stagione. Il rito
inizia simbolicamente a
Mezzanotte, quando cioè le
tenebre più profonde stendono un
velo di dolore sulla natura che
attende, momentaneamente vedova,
il ritorno dell’astro che la
vivifica. La cerimonia viene
avviata dal Maestro Venerabile,
battendo debolmente un colpo di
maglietto (simbolo della nascita
dell’uomo), segue il Primo
Sorvegliante che batte un colpo
fortissimo (simbolo della forza
vitale), conclude il Secondo
Sorvegliante con un colpo appena
sensibile (simbolo dell’ultimo
respiro).
A questo punto i presenti si
raccolgono intorno al tumulo che
sta al centro del Tempio, così
constatando dolorosamente che
uno degli anelli della loro
catena fraterna è spezzato e che
la parola è smarrita. Per
ripristinare allora la
comunicazione interrotta a più
alto livello, viene invocato
Dio, il Grande Architetto
dell’universo (G:.A:.D:.U:.),
concepito anche come Fuoco che
feconda ogni forma di vita
(1),
come Principio di ogni
trasformazione, come Fine di
ciascuna esistenza che ritorna a
Lui reintegrandosi nell’Uno:
reintegratio ad Unum, aut ad
Ignem.
Segue il ricordo dell’estinto.
In presenza della morte –
simbolo di silenzio assoluto, di
necessità di purificazione
(2)
per la seconda nascita che
trascende la contingenza e
immette nell’eterno – i presenti
ne traggono un elevato
ammaestramento che
interiorizzano, divenendo
fattore di edificazione
coscienziale, sì che l’esempio
del defunto possa insegnar loro
a morire, perché v’è pure una
dignità della morte, oltre che
della vita: ne discende un’etica
ed una pedagogia della morte.
Si fa strada così la
consapevolezza che dalla morte
possa scaturire un’importante e
profonda lezione educativa; che
dalla putredine della
decomposizione possano nascere i
profumi e le bellezze della vita
(come, appunto, accade in
natura); che il trapasso non è
che l’iniziazione ai misteri di
una risurrezione e che nulla si
disperde e si estingue in
natura.
È a questo punto infatti che il
Maestro Venerabile versa per tre
volte l’incenso
(3)
nei tre bracieri che sono
attorno al tumulo e che i
presenti, in pellegrinaggio
intorno al feretro, gettano su
di esso fronde di acacia,
simbolo di rinascita, «pregando»
affinché la sua memoria e la
testimonianza delle sue virtù
parlino (s’incidano) nella loro
anima e conducano, attraverso
assiduo lavoro e rigorosa
ricerca, alla verità e alla
luce.
L’ottimismo pian piano prende il
posto del pessimismo, nella
certezza dell’ininterrotta
trasformazione–evoluzione della
natura, della creazione
continua, quindi della vita
permanente, di cui il Fuoco è il
principio ed il simbolo. In
questo spirito, pertanto, i
Fratelli riescono a ricomporre
la catena d’unione e a
scambiarsi baci fraterni intorno
al tumulo. «Bruciano» ogni
pensiero egoistico, i
risentimenti, il ricordo delle
offese subite e si rafforzano
nella pace, nella concordia e
nel comune lavoro, tenendo
sempre presente il fondamentale
precetto evangelico: «Non fare
ad altri quello che non vorresti
fosse fatto a te stesso e fa’
agli altri quello che per te
medesimo brameresti». Su di esso
giurano.
Dopo che ciascuno, in catena,
attraverso il simbolo e la
realtà del Fratello defunto, ha
sublimato (purificato) se stesso
nell’amore (quindi nel fuoco) e
che la concentrazione sulla
morte corporea ha aperto la
porta del cielo (la janua coeli),
cioè dell’interiorità e della
coscienza
(4),
l’opera del soggetto giunge
alchemicamente al punto cruciale
(alla Croce
(5),
appunto). Aperta la Porta d’oro,
il Logos fa udire la sua voce
interiore e rivela la sua luce,
il suo fuoco, la sua essenza
spirituale. Il soggetto,
prendendone piena
consapevolezza, lo fa proprio;
lo reincarna nella propria
coscienza (quindi certamente ad
un più alto livello rispetto
alla precedente incoscienza che
ne aveva, essendo il lui
presente all’inizio soltanto in
forma latente). In quest’atto,
sacrificio e rinfrancamento,
dolore e consolazione si
confondono determinando il fatto
nuovo: cioè la nascita dell’uomo
nuovo. L’atto trasmutatorio
riceve l’intelligenza di sé
(l’autocoscienza) e della
speranza che lo sostiene e lo
spinge, intesa quest’ultima come
facoltà di perenne rigenerazione
compresa nella circolarità
dell’unità divina (l’uroboros
(6)).
Pertanto, se tutto è Uno, la
catena non s’interrompe mai,
neanche di fronte alla morte, la
quale anzi viene assunta nel
piano divino fra le forme del
divenire; quindi non come
frattura negativa, ma come uno
dei momenti della continuità
positiva, vitale.
In questa prospettiva e con la
fiducia nella Luce ritrovata, il
Maestro Venerabile e i due
Sorveglianti chiudono i lavori
funebri all’alba. Come l’astro
che nasce disperde le tenebre
della notte, così la speranza –
ch’è diventata certezza – che il
Fratello passato all’Oriente
eterno riposi nel grembo del
comune Padre, dissipa ogni
dolore e cambia in giubilo lo
sconforto. È l’ora in cui il
sole si mostra all’orizzonte e
spande la gioia sugli esseri
viventi. Rischiarati dai suoi
raggi, i Liberi Muratori si
uniscono in un caloroso triplice
applauso per rallegrarsi della
glorificazione del Fratello che
s’è allontanato dalla Valle
terrena e che ora è stabilmente
in coelo, cioè nella coscienza
purificata di ciascuno (come s’è
detto prima), nel Fuoco
interiore di ogni Fratello, dove
egli è assunto come verbo, come
parola interiore che insegna,
fortifica e guida verso il bene.
Va da sé che dopo tale rituale
processo trasmutatorio nulla può
essere più lasciato alla
materialità profana; perché non
dev’esserci più la materialità,
«non può» esserci. Una ulteriore
prolungata fase di
decomposizione (putrefactio)
rallenterebbe, o arresterebbe, o
invertirebbe il processo
trasmutatorio. L’opera compiuta
nel Tempio è reale, non
virtuale, perciò le spoglie
mortali devono essere
autenticamente purificate, cioè
penetrate e consumate dal fuoco,
per essere strutturalmente da
esso modificate. Solo così si
realizza il consummatum est,
l’ultima consummatio (il
compimento perfetto), la parte
più eterea della materia mortale
ed immortale.
2. Il fuoco
Fattore centrale, quindi, di
questo piano di realizzazione è
la purificazione, il fuoco che
agisce, con modalità
differenziate, nei diversi
livelli dell’essere d’uomo:
fisico, animico, spirituale. In
primo luogo, la fiamma trasmuta
chimicamente la materia grave in
una materia eterea. In secondo
luogo, a livello animico, la
potestà pirica è la potestà
mercuriale nella sua emanazione
creatrice; cioè la facoltà
poietica del soggetto (la
facoltà creativa), la quale
agisce come potere comunicativo
per contatto (l’intuizione: il
processo conoscitivo evocativo
(7)).
In terzo luogo, agisce come
principio o spirito igneo: il
soggetto s’afferma
coscientemente come fattore di
cause che producono eventi
importanti, analogici agli atti
creativi divini (ad esempio,
l’atto di fecondazione della
vita avviene nel fuoco
dell’amore); nel termine s(pir)itus
v’è il radicale di pür (il fuoco
fiammante, urente, il principio
igneo). È la sede del fuoco
centrale (o centro sensorio, o
plesso), il punto d’intersezione
di due linee (X) rappresentanti
rispettivamente il principio
attivo e il principio passivo in
amore, cioè agenti l’uno
sull’altro, il primo sul
secondo, in modo tale da non
generare squilibrio, ma
equilibrio. È la sintesi delle
metamorfosi generate dall’attivo
intelligente. È il fuoco
fecondante (germe vitale
riproducente), la vibrazione di
energia urente.
Nel linguaggio alchemico il
fuoco è una sostanza pura,
eterna, indispensabile per il
compimento della Grande opera.
Esso sarebbe alimentato dallo
«zolfo dei saggi», simboleggiato
dalla Fenice (che risorge sempre
dalle ceneri, cioè dopo un
processo di combustione,
affermando risurrezione e
immortalità, rinascita ciclica)
e si armonizzerebbe con il
volere del G:.A:.D:.U:. Presso i
Maya Quiché la cenere ha una
funzione magica in rapporto alla
germinazione e al ritorno
ciclico della vita. In alchimia
la Fenice è collegata all'Opera
al rosso, alla rigenerazione
della vita universale e alla
finalizzazione dell'Opera.
Simbolicamente la cenere, legata
al fuoco e alla siccità, è
associata al principio yang,
all'oro, al sole; la sua
sacralizzazione è in relazione
ai riti di passaggio e di
purificazione attraverso il
fuoco.
Per Aristotele il Fuoco è una
espressione del Logos
(8),
concezione che egli mutua da
Eraclito, secondo il quale il
fuoco è l’elemento primordiale e
tutte le cose non sono che
trasformazioni di esso
(9),
prodotte per via di rarefazione
e condensazione; l’universo
stesso nasce dal fuoco, che di
nuovo tornerà a distruggerlo ad
intervalli stabiliti. È
significativo notare che dei
contrari, quello che presiede
alla generazione Eraclito lo
chiama guerra e contesa, quello
che provoca invece distruzione
ad opera del fuoco lo chiama
accordo e pace, mentre il
processo di trasformazione
secondo il quale si forma il
mondo lo chiama la strada in giù
e in su
(10).
Il fuoco è lo strumento della
modificazione degli stati che
nella natura appaiono a prima
vista stratificati ed
insuperabili; è il mezzo
affinché la vita, trascorrendo
dall’una all’altra forma, si
riveli. Il rapporto dell’uomo
con il fuoco è atto di suprema
intelligenza, perché è rapporto
con il Logos. In questo quadro
di riferimenti, pertanto,
combustione, o carbonizzazione,
o incinerazione significa non
solo purificazione ma anche
indiamento. Perciò l’uomo
dovrebbe ardere dall’interno e
dall’esterno, per mezzo di
ambedue le modalità del fuoco,
per bruciare tutte le scorie e,
così, divenire pura scintilla in
grado di unirsi alla fonte da
cui s’è separato.
Dalla tradizione s’è tramandato
sino ai nostri giorni un
patrimonio simbolico e
coscienziale che fa del fuoco
una metafora ed uno strumento
effettivo che dà senso alla vita
e alla morte considerate in una
continuità di perenne
purificazione, sino a rendere
possibile l’immortalità del
soggetto.
Il valore dei riti funerari che
fanno ricorso al fuoco, come
quello massonico, sta nelle
modificazioni che esso produce
nell’officiante, o negli
officianti. Si tratta di
modificazioni di ciò che è
mortale in ciò che non può
morire. È ancora una volta una
iniziazione – come nel massonico
«Gabinetto di riflessione» –, ma
questa volta realmente
incontrando ed attraversando la
morte, con un processo in grado
di trasmutare un uomo in un
morto vivente, ed un morto
effettivo in un vivente, come
chi è disceso agli inferi, come
chi ha conosciuto l’estasi, come
chi riesce a passare per la
fessura tra i mondi,
all’incrocio tra l’orizzontale e
la perpendicolare (secondo
l’insegnamento, come s’è già
detto, del simbolo della Squadra
e della Croce). Ciò che ci si
attende dal fuoco è che esso ci
apra questa fessura, agendo come
l’amore, come il fuoco d’amore
(11),
permettendoci di andare al di là
(nell’altra dimensione), per poi
ritornare di qua consapevoli,
già forti della morte e, quindi,
immortali.
Ciò che ci si attende dal fuoco
e dal rito funerario di cui
stiamo parlando è una esperienza
coscienziale che compia una
trasmutazione totale del nostro
essere fisico e animico.
Le guarigioni legate all’azione
del fuoco – anche quelle
fisiche, documentate – sono
delle metafore di questo arcano
potere igneo. Sono come delle
testimonianze parziali, che
rivelano la presenza del fuoco,
la possibilità di una guarigione
ben più completa, di una
trasformazione radicale e
globale, attraverso la
liberazione dell’elemento
sottile e immateriale nascosto
nell’interiorità dell’uomo. Un
elemento, questo, che non può
essere distrutto dal fuoco
perché egli stesso è fuoco,
perciò è l’unica parte che resta
dopo la combustione, la parte
immodificabile e immortale, ciò
che risorge dalle ceneri, lo
spirito divino che venne ad
abitare in noi (il Verbo che «habitavit
in nobis»: Giovanni, 1: 14; il
lapis dell’acronimo Vitriol «qui
stat in nobis»).
Pertanto, oltre ad un fuoco
risolutivo e trasmutativo, c’è
un fuoco come aughé: splendore,
luce, radianza. È il corpo di
gloria o di luce. Da cui
l’aureola che tutto circonda e
che tutto riempie, splendendo
con speciale forza radiante
intorno ai volti e alle figure
dei maestri, degli iniziati, dei
santi.
Ogni esistente è avvolto da
un’aura, come se l’intero
universo fosse composto di
un’unica materia risplendente,
lucente, avvolgente; ed ogni
cosa, anche miscroscopica, fosse
una scintilla che se ne distacca
per un attimo per vivere di vita
propria, ma conservando le
qualità «ignee» del tutto.
La polisemia del fuoco è
suggestiva: fuoco come essenza
della divinità, fuoco
prometeico, fuoco come simbolo,
fuoco ierofante, fuoco
trasmutatore, fuoco amico, fuoco
della cucina, fuoco del
focolare, fuoco ammaliatore,
fuoco dell’alchimia, fuoco come
amore, fuoco come luce della
conoscenza, fuoco come logos.
Questa è la ricetta dell’oro
alchemico, scritta probabilmente
da Giovanni Pontano (1429–1503):
«Il nostro fuoco è minerale ed
eterno, non evapora se non è
eccitato oltre misura; partecipa
dello zolfo, non proviene dalla
materia; distrugge, dissolve,
congela e calcina tutte le cose.
Occorre molta abilità per
scoprirlo e prepararlo; non
costa nulla o quasi nulla.
Inoltre è umido, carico di
vapori, penetrante, sottile,
dolce, etereo. Trasforma, non
s’infiamma, non si consuma,
circonda tutto, contiene tutto;
infine è il solo della sua
specie [...]. Sappi dunque
cercare con tutte le tue forze
questo fuoco e ci arriverai,
perché è quello che compie
l’opera ed è la chiave di tutti
i filosofi che non hanno mai
rivelato; ma se tu indagherai
bene e profondamente le cose
sante, la proprietà del fuoco la
conoscerai e non altrimenti.
Intendi: Sole = Oro = Zolfo =
Anima = Cuore. Prima fatti
padrone assoluto delle tue
passioni, dei tuoi vizi, delle
tue virtù; devi essere il
dominatore del tuo corpo e dei
tuoi pensieri. Poi accendi, o
sveglia, per meglio dire, nel
tuo «cuore» per immaginazione,
il centro del «fuoco»; cerca di
sentire dapprima una specie di
caloricità lieve, poi più forte:
Fissa tale sensazione nel tuo
«cuore».
Dapprima ti parrà difficile; la
sensazione ti sfuggirà; ma cerca
di mantenerla nel «cuore»;
rievocala, ingrandiscila,
diminuiscila a piacere;
sottomettila al tuo potere;
fissala e rievocala a volontà.
Prova e riprova. Impadronisciti
di questa forza e conoscerai il
«Fuoco sacro o Filosofico».
Il fuoco ha la proprietà di
riportare i corpi alla loro
condizione originaria, per poi
ricominciare il ciclo vitale. È
tutto qui il segreto della
rigenerazione. Il corpo
incenerito ritrova la situazione
primordiale della sostanza.
Analogicamente il regressus ad
uterum è un penetrare di nuovo
nella matrice materna, per poi
rinascere rinnovato. È il
cammino (ed il compito)
dell’iniziato, che conquista la
libertà ignea, cioè la
trasmutazione della coscienza,
operando sul flusso psichico e
mentale (fluidità mercuriale),
essiccandolo e riducendolo ad
una coscienza puntuale,
universale, embrionale, come
quella dell’uovo, del feto, del
seme. In questa fissazione in
stato seminale si ha il ritorno
alla pura potenzialità, per una
nuova attualità. «Solve et
coagula»: il mistero (la
dinamica) della morte e della
vita sta anche qui.
1 -
Secondo gli alchimisti, Dio
concepito come Fuoco decodifica
l’acronimo I.N.R.I. non
nell’espressione «Iesus
Nazarenus Rex Iudaeorum», ma in
«Igne Natura Renovatur Integra».
2 -
Purificazione, dal gr. pür,
püròs = fuoco.
3 -
Il simbolismo dell’incenso è in
relazione con quello del fumo,
del profumo e delle resine
incorruttibili. All’incenso si
attribuisce la capacità di
innalzare la preghiera verso il
cielo; per questo è un emblema
della funzione sacerdotale e,
perciò, uno dei Magi l’offrì al
Bambino Gesù. L’incenso, nel
rituale indù, è messo in
rapporto con l’elemento «aria» e
si dice che rappresenti la
percezione della coscienza che è
presente dappertutto. In America
centrale, l’incenso si collega
al simbolo del sangue, della
linfa, dello sperma, della
pioggia. Il fumo dell’incenso,
come la nuvola, è una emanazione
dello spirito divino.
4 -
Nella cultura esoterica il cielo
si trova nell’interiorità del
soggetto e coelum avrebbe la
medesima radice di celatus, a,
um, con significati analoghi.
5 -
«Secondo antichissimi rituali la
linea orizzontale della Croce
rappresenterebbe la morte,
quella verticale la vita;
ambedue insieme la risurrezione.
La morte allegorica, seguita da
una rinascita a vita nuova, con
il testamento del Fratello
Apprendista, si conosce nei
rituali massonici del primo
grado; e si conferma con la
misteriosa leggenda di Hiram nel
terzo grado» (L. Troisi,
Dizionario massonico, Foggia,
Bastogi, 1987, p. 276). «Il
braccio orizzontale della Croce
indica l’elemento passivo, la
materia, l’uomo disteso al
suolo. Il braccio verticale
indica lo spirito, l’elemento
attivo, l’uomo. L’idea (segno
verticale), entrando
nell’intelligenza ricettiva
(segno orizzontale), feconda
quest’ultima. La verticale è il
fecondante, l’orizzontale il
fecondato [...]. La Croce a
bracci uguali è simbolo del
macrocosmo; a bracci disuguali,
del microcosmo» (Ivi, p. 129).
Il centro della Croce è il luogo
favorevole di tutti i passaggi
da un livello all’altro, da un
luogo, o mondo, all’altro: è l’ombellico
del mondo degli antichi, l’omphalos,
la scalinata rituale di tante
religioni, la scala degli Dei.
Per di lì, temporalità ed
eternità, terra e cielo, basso e
alto entrano in comunicazione.
6 -
L’uroboros è il serpente che si
mangia la coda, rappresentando
un ciclo di evoluzione che si
compie. Questo simbolo racchiude
nello stesso tempo le idee di
movimento, di continuità, di
autofecondazione e di eterno
ritorno. La forma circolare del
simbolo ha dato luogo ad
un’altra interpretazione:
l’unione del mondo sotterraneo
(raffigurato dal serpente) e del
mondo celeste (rappresentato dal
cerchio). Questa interpretazione
sarebbe confermata dal fatto che
l’uroboros, in alcune
rappresentazioni, è metà nero e
metà bianco. Significherebbe
così l’unione di due principi
opposti, il cielo e la terra, lo
yin e lo yang cinesi, e tutti i
valori di cui questi opposti
sono portatori.
7 -
Mercurio, messaggero degli Dei,
porta la divina ispirazione. È
ambasciatore fra le divinità e
l’uomo, legame tra finito e
infinito, tra il mistero della
natura e la comprensione umana a
cui l’idea nuova arriva come
messaggio dell’intelligenza
universale.
8 -
Così anche in Giovanni, 1: 4–5,
9.
9 -
Eraclito, Frammenti, 44, 45.
10
- Ivi, 46, 47.
11
- Questa era anche la concezione
degli «stilnovisti», i poeti
medievali iniziati alla società
esoterica dei Fedeli d’amore.
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