E la Qabalah? Essa è parente strettissima del Vedanta e di Plotino, ascoltate a questo proposito quanto è riportato nella sezione Beshallach dello Zohar al foglio 268b: Rabbi Shimon continuò, alzo le mie mani al cielo, in segno di preghiera. Quando la Volontà Suprema (Aïn) aleggiava in alto nell’alto, in maniera sconosciuta e inconcepibile, la Testa Misteriosa (Aïn Soph) proiettò una tale Luce (Aïn Soph Aur) da essere a sua volta impenetrabile. Era un "Pensiero di Luce". Un pargod (velo) fu tirato, e attraverso questo velo, inizialmente in maniera fioca, questa luce principiò a mostrarsi (Kether), in seguito altri zendadi furono tesi, ed emersero, così i nove Heikhaloth celesti (vale a dire le successive nove Sephiroth da H’ocmâ a Malcouth). Questi non sono luce, non sono spiriti e neanche delle anime, non sono delle forme definite. Tutti sono Aïn percepito attraverso i differenti veli. Togliete il Pensiero e tutte le Heikhaloth (i Sephiroth) spariranno. Tutti i misteri della Fede sono compresi in questo insegnamento, secondo il quale tutto ciò che esiste in alto e in basso è la Luce del Pensiero, l’Infinito Aïn. Sollevate un velo, e tutta la materia vi apparirà immateriale; alzatene ancora un altro, e il mondo etereo superiore si manifesterà ancora più spirituale e sottile, e così di seguito (fino alla Volontà suprema). Lo stesso olocausto offerto sull’altare, il fumo che se ne innalza, e tutto ciò che serve al suo uffizio, altro non è che Aïn osservato attraverso la materia. Beato il destino dei Giusti che scorgono Aïn in tutto! Felice la loro sorte, in questo e nel mondo a venire! Nei confronti di Aïn l’intera creazione con i suoi archetipi, in quanto non sono assorbiti dall’unico Reale ma emanano le cose create, assume l’apparenza illusoria di un "secondo", perciò la Qabalah, per definire la natura del creato, affianca alle idee di Zimzum e di Pargod (cortina o velo) anche quello di "vanità" illusione o Habel, derivata dal Choeleth 1,2 "Vanità delle vanità (Habel habalim…) tutto è vano (Habel)". E lo Zohar alla sezione Schemoth al foglio 10b commenta: "In questo libro il re Salomone ha parlato delle sette Habalim su cui poggia il mondo, esse sono le sette colonne sephirotiche dell’Edificio cosmico che sorreggono il cosmo nei suoi sette cieli. È appunto nei confronti di questi che Salomone ha esclamato Vanità delle vanità… tutto è vano. Esistono sette cieli o firmamenti e altri che derivano da quelli e con essi rimangono uniti, sicché si danno sette habel fondamentali e altre ancora che derivano da esse, e tutte insieme formano la grande illusione del secondo. Nella sua Saggezza, Salomone ha parlato di tutte queste vanità". Da dire, per correttezza di informazione, che le sette Sephiroth cosmologiche non sono dalla Qabalah intese come illusioni, bensì come le possibilità o poteri creatori dell’Unico Reale. Tuttavia esse proiettano sull’Uno senza altri, l’illusione dell’altro e per questo sono i principi primordiali della grande illusione, sono le vanità causali. Conosciute nella Qabalah con il nome di Eliolon. Se però le consideriamo al di fuori del loro rapporto con il cosmo, esse non si distinguono per nulla dall’unità divina, dalla sua realtà pura e indifferenziata. Quando l’Uno contempla esclusivamente se stesso, nulla promana dalla sua suprema tri-unità Kether H'cmâ Binâ, quando invece l’Uno contempla le sue possibilità creatrici, si serve dei suoi sette occhi o Sephiroth dell’edificio cosmico, per irradiare, mediate il loro sguardo eterno tutte le vanità cosmiche. Ecco allora che, pur essendo opera dell’immanenza o inabitazione divina, la creazione è fondamentalmente effetto della proiezione degli aspetti trascendenti di Dio nella sua autoricettività cosmica; e, al pari di un’instabile immagine riflessa o di un volubile miraggio, tale proiezione è una realtà illusoria e ingannevole. Da questo punto la Qabalah si differenzia dai precedenti insegnamenti, perché sostiene a differenza degli altri che, pur essendo esternamente illusorio, il creato è intimamente reale, perché anche il più lontano riflesso dell’unico reale contiene in se stesso qualcosa della sua causa, quindi è presentato come un misto di pienezza e di vuoto, di luce e di tenebre, di eterno e di transitorio, di reale e di irreale. Per la Qabalah il Relativo, non essendo nulla in sé stesso, oppone all’Assoluto una reazione nulla, e la rottura dei Vasi sottintende, contemporaneamente, sia questa tendenza all’impotenza, sia il momento in cui l’Assoluto trasmettendosi nel fondo della Relatività, adatta la propria natura incarnandosi in lei, trasferendogli la possibilità di reagire a Se stesso, stabilendo, così, la relazione. La Qabalah articola questa relazione e la spiega in dettaglio Lo sviluppo lineare delle Sephiroth, il quale sottintende un ordine che deriva dalla subordinazione del Relativo all’Assoluto, e quindi richiama una gerarchia che si espleta nelle Persone. La gerarchia delle Persone, determinata dalla trascendenza dell’Assoluto, la quale rende la sua immanenza nel Relativo. L’equilibrio della Bilancia, che emerge dalla stessa dualità implicita nella relatività, la quale tramite la correlazione fra i termini stabilisce l’equilibrio. La nozione dei Sessi, che s’introduce con la differenziazione, la quale conduce alla combinazione della subordinazione (sviluppo lineare) e della correlazione (equilibrio della Bilancia). Tramite queste quatto nozioni, l’antinomia del Relativo e dell’Assoluto si trova risolta con la coniugazione del Pensiero e della Manifestazione. Con le Sephiroth l’Assoluto fonde le condizioni della Relatività, con le Persone la Relatività si trova compita all’interno dell’Assoluto.
L'Assoluto La Tradizione Ebraica Plotino e il Vedanta La natura del Relativo Il Relativo nella Qabalah
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