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Il problema, in tutte le sue componenti è esposto per quanto riguarda la tradizione cabalista, nel Sepher ha-Yichùd del 1677 e attribuito a Isaac Neyer: "Come possiamo sapere e rappresentarci la transizione e la relazione tra Assoluto e Relativo, tra l’invisibile e il visibile, tra lo spirito e la materia? Come la molteplicità deriva dall’Uno? E come l’Uno da quanto non è Uno? In quale posizione si trova il Creatore-Uno in rapporto al creato, considerato che noi possiamo, a giusto titolo, parlare di Provvidenza e di governamento del mondo per suo tramite, nonostante l’abisso infinito che li separa? In che modo l’idea o l’insegnamento che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza della Divinità si concilia con Aïn (l’Assoluto), e in che modo spiegare le sue debolezze e le sue falsità? Élohïm era prima della creazione, ed è esso eterno?"

I motivi dei famosi divieti dello Zohar e della Mishnà Chaghigà di non indagare in alto? Soltanto semplice rispetto e riservatezza, come dice Jehudà ben Barzilai che scrivendo di Aïn sosteneva: "I Saggi, nelle pilpul cabaliste, non lo hanno trattato a lungo e in particolare, affinché la gente non si facesse delle idee su ciò che è in alto, come prescrive la Mishnà Chaghigà che lo proibisce, ed è perciò che avevano l’uso di trasmettere questa cosa mormorando e in segreto, come una tradizione, ai loro allievi ed ai Saggi".

È innegabile che tutto l’insegnamento della Qabalah sottintende l’investigazione della condizione unitiva dell'Assoluto divino alla relatività del creato.

É indubbio che per chi intende leggere l’insegnamento con contenuti esclusivamente monoteisti, la visone non duale, che ne è poi in realtà la base radicale, è di difficile condivisione. Chi suppone la Qabalah tutta dipendente dall’ortodossia Giudaica e trascura l’universalità della verità che enuncia, o chi la intende impastoiata nella ritualità, dimentica che la metafisica della Qabalah è ricerca dell’Assoluto, ed allora non può essere schematizzata, resa a livello di concetto o fatta rientrare in certi quadri mentali. L’Assoluto, non può essere circoscritto, rappresentato o portato sul piano di un relativismo empirico; e per questo non può costituire proprietà esclusiva di un popolo di un gruppo, di una scuola o di un insegnamento.

Nella Qabalah, nel Vedanta, in Plotino, in ogni caso, nessuna visione è rifiutata e tutto è giustamente compreso, esse abbracciano tutte le possibili condizioni (universalità) e forniscono tutte le risposte che presentano sotto quattro aspetti del Divino, i quali possono essere appunto adeguati ai differenti livelli di comprensione umana.

  • L’aspetto dell’Assoluto, sentiero metafisico puro. Aïn, Brahman Nirguna, Uno Primo.

  • L’aspetto del Dio impersonale, vale a dire senza rappresentazione mentale di qualunque natura. Kether, Brahman Saguna, Spirito, o Uno che conta.

  • L’aspetto del Dio personale, sotto forma di simbolo.

  • L’aspetto del Dio incarnato, che assume una configurazione umana per indicare il cammino.

 

Esaminiamo questi livelli:

a) L’Assoluto, Aïn, Brahman Nirguna, Uno Primo, non è ciò che s’indica con la parola Dio. Egli è al di là del linguaggio e dello stesso pensiero: è l’Assoluto nella sua incondizionatezza, incausalità, inalterabilità. La sua realizzazione implica la scomparsa dell’intero mondo dei nomi e delle forme.

Solo nella fase finale della Bittul Ya Yesh, del nirvikalpa samadi, e nello stupore plotiniano, lo si raggiunge. Tali condizioni non sono né una comunione né un’unione, è anche impropria la parola identità, perché quest’espressione implica ancora due termini, mentre in simili condizioni l’Assoluto rimane Uno senza secondo, quale essenza pura. L’Assoluto non ha termini di paragone o di opposizione, ma è l’abisso ove si annullano e si risolvono tutte le possibili coppie di opposti.

b) La seconda concezione del divino, quella del Dio impersonale, può considerarsi la causa prima, la Sorgente e il Principio di ogni cosa manifesta, l’Essenza e la sostanza universale, l’Uno matematico, Kether, il Brahman Saguna.

Essendo la causa di tutto contiene il "Germe d’Oro" da cui emerge l’intera manifestazione. In lui ogni cosa è già compiuta, è; e la successiva fase manifestante non rappresenta altro che il dispiegamento delle potenzialità latenti della Causa Prima. L’Uno è l’inizio di tutti i numeri e non c’è numero che non abbia come base l’uno. La Causa prima è quindi il sostegno e il sottofondo di tutte le indefinite forme planetarie cosmiche. Con Kether, Brahman Saguna, Spirito o Uno che conta il numero e la geometria sono all’opera, gli archetipi sono potenzialmente pronti.

 

Tralascio i due ultimi aspetti, quello del Dio personale, e quello del Dio incarnato, i quali benché delineati dalla Qabalah dal Vedanta e da Plotino, non fanno oggetto di questa relazione.

 

Indice

L'Assoluto La Tradizione Ebraica Plotino e il Vedanta

     La natura del Relativo Il Relativo nella Qabalah