Come ci dice Rosenroth, le parole Æsch Mezareph si trovano in Malachia 3:2, “Il messaggero del Signore sarà come il Fuoco del raffinatore”. Altri riferimenti si trovano nel Talmud (PRQI ABOT, Pirke Aboth, טעבא יקרפ, i Detti dei Padri; BBA QMA, Baba Kama, אמק אבב, la Prima Porta; BBA BTRA, Baba Bathra, ארטב אבב, l’Ultima Porta; BBA MTZIOA, Baba Metsia, אעיצמ אבב, La Porta Mediana). la traduzione che offriamo ai nostri Ospiti è opera d'ingegno di D. L. ogni diritto è riconosciuto. |
L’Æsch Mezareph è un testo che si ricostruisce componendone i frammenti sparsi nella Kabbalah Denudata di Knorr von Rosenroth. Il Rosenroth lo riporta in lingua latina, ed è ignoto se sia esistito un originale ebraico, quantunque Ghershom Sholem, la massima autorità in materia di Qabalah, affermi che dalla analisi della traduzione latina, emerge assai nettamente la sua origine in lingua ebraica. Del testo latino vi è stata una prima traduzione in inglese nel 1714, eseguita da un autore che si firmava con lo pseudonimo di “The lover of Philalethes”, poi aggiornata nel lessico da W. Wynn Westcott, e pubblicata in una sua raccolta di testi ermetici alla fine del diciannovesimo secolo. Per l'anonimo autore di Aesh Mezareph l'uomo è una pietra grezza che deve essere sgrossata; più ancora, collegando il corpo umano con le Sephiroth dell'Albero della vita, l'uomo deve apprendere a purificare i metalli impuri che si trovano in lui. Se riuscirà nell'impresa, non otterrà ricchezze materiali ma acquisterà in cambio longevità e saggezza. S'intravede già dalle prime righe del testo il collegamento tra Qabalah e Alchimia, nel senso tuttavia che senza la conoscenza della prima non sarà neppure possibile accostarsi alla seconda, a meno di non voler fare come "gli studenti volgari della natura" che, male interpretando e per di più facendosi vanto di possedere la chiave di ogni segreto, finiscono per ottenere, in luogo di longevità e saggezza, malattie e disprezzo. Il discorso cabalistico in Aesh Mezareph si avvale, com'è nella tradizione della Qabalah, del continuo riferimento ai versetti biblici, dell'uso talora anche eccessivo delle ghematrie e del costante rapporto tra le Sephiroth e i metalli, con analogie a prima vista sorprendenti solo perché hanno la possibilità di essere comprese all'interno di una prospettiva alchemica. Meraviglierà così, per esempio, che la materia prima dell'Opera venga attribuita a H’ocmâ (Sapienza)-Piombo, la medicina dei metalli a Malcouth (Regno e Luna degli alchimisti) e l'oro a Guebourâ (Potenza), e dove ci saremmo aspettati di trovare l'oro nella Sephirâ più alta, vi troviamo invece il metallo più vile e dove la lebbra o la corruzione dei metalli troviamo al contrario la medicina per purificarli. Quanto all'oro di Guebourâ, apprendiamo subito dal testo che il fondamento dell'oro è nel ferro misto al fango e che esistono ben dieci qualità di oro. Spetta dunque a questa Sephirâ esprimere le diverse e potenziali trasformazioni dell'oro, giacché in fondo un po' d'oro si nasconde in ogni Sephirâ e in ciascun metallo e tutto può essere purificato per l'azione di quella - per usare il linguaggio caro agli Orfici - "scintilla di luce" che si trova nei corpi. Si comprende così anche il ruolo delle Sephiroth H’ocmâ e Malcouth. La prima e l'ultima, perché Kether, la Corona dell'Albero sephirotico, è la radice stessa dei metalli. Solo il saggio perviene alla comprensione della vera materia prima dell'Opera e solo lui conosce il potere della Luna per sbiancare i metalli impuri.
Edito in lingua inglese nel 1714, l'Aesh Mezareph fonde in mirabile sintesi i segreti della dottrina esoterica degli Ebrei con la tradizione ermetico-alchemica nota in Occidente.
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