L'ESSENZA DELLA TRADIZIONE Nel tentativo di dare risposta a questo interrogativo, consideriamo innanzi tutto un passo dello Zohar (II 152a). "Siate santi perché io, il Signore, Dio vostro sono santo. (Levitico 19,2). Rabbi Abba afferma che nel capitolo che inizia con queste parole, tutta la dottrina vi si trova contenuta. É un’autentica impronta del sigillo della verità. Qui si ritrovano i misteri sublimi della dottrina ; e quando i colleghi giungono a questo capitolo, essi si rallegrano... vieni e vedi ! Il Re è alla ricerca di chi gli è pari. É per tale motivo che il Santo, baruk ha-shem, risiede soltanto in chi è uno come Lui. Se l’uomo si perfeziona grazie ad una alta santità con l’intenzione di divenire uno,esso (cioè il Santo, baruk ha-shem) risiederà in questo uno. E quando l’uomo è chiamato uno ? Quando lui e la donna sono uniti durante l’atto sessuale (Ziwwuga Qadishà)... Ma vieni e vedi ! Nel momento in cui l’essere umano, maschio e femmina, si trova nell’atto d’unione e si cura affinché i propri pensieri siano santificati e senza peccato, si chiama allora UNO". Il senso di questo passo abbastanza chiaro, non presenta del resto difficoltà d’interpretazione, si può riassumere con la proposizione seguente : "Dio riposa su chi, con cuore puro, si unisce sessualmente alla propria sposa". Questo è quindi, secondo lo Zohar, il senso vero di tutta la Torah (delle sue leggi e delle sue prescrizioni), o più esattamente, l’idea dell’atto sessuale nella sua più alta purezza è il mistero primordiale della Torah e della stessa rivelazione divina, come dire, facendo eco allo Scholem è la legge delle leggi, è la madre di tutte le prescrizioni. L’affermazione potrebbe sembrare singolare, o addirittura scandalosa.... ma questo soltanto per chi non conosce da vicino la letteratura religiosa ebraica e quella cabalista.... del resto non è senza ragione che i saggi del Talmud hanno tanto pedissequamente insistito sul fatto che il comandamento Pru vervu (crescete e moltiplicatevi) (Genesi I,28) sia il primo e il più importante di tutti gli altri, e ancora il Talmud (Berakhot 57a), a proposito del versetto del Deuteronomio 33,4 Mosè ci ha prescritto una legge, è una legge per l’assemblea di Giacobbe, avverte: Non leggere morasha’ (Legge) ma me’orasa (Matrimonio). E il seguente passaggio Talmudico (Rosh ha-shana 4a), soltanto in apparenza sembra privo di contenuti erotici : Che la Torah sia tanto cara agli Israeliti, quanto il piacere sessuale lo è agli occhi delle altre nazioni. Ancora, Zohar Wa Jesè 101b: Il vincolo dell’unione fra il maschio e la femmina è il segreto della vera Fede. Emerge, quindi, con contorni assai netti e precisi, come l’atteggiamento positivo verso la sfera dell’attività sessuale, atteggiamento da non leggersi come permissivismo, sia patrimonio tipicamente ebraico, e aggiungerei esclusivamente ebraico.... poiché tale attività rimane prescritta e contenuta in limiti santi, limiti da non intendersi come ascesi, perché essa non è stata mai considerata un vero e proprio valore religioso, tanto che ogni cabalista considerò il matrimonio uno dei misteri più santi, tramite il quale, adempiendo ad un precetto divino, si garantiva la stessa esistenza al Popolo Eletto, e conseguentemente confermava la permanenza della Gloria e della Shekhinah nella stessa storia. Mai, in ogni caso, il rapporto sessuale fu visto come una semplice concessione alla debolezza della carne. Mi sembra del tutto superfluo aggiungere che tale tipo di sessualità è da intendersi come il livello più elevato di un Eros sublime, che nulla ha a che vedere con quell’altra sessualità fredda, estranea a Dio e all’amore, e che ne rappresenta soltanto l’aspetto più banale, appartenendo per la Tradizione Ebraica alle forze del Sitra Ahra alle forze dell’altro lato. Nella Qabalah delle origini, non esiste, a differenza di altri sistemi mistici che affondano le proprie radici nella Gnosi, il problema della riunificazione o ancora della restaurazione di un ordine primordiale perduto. Anche se è da dire, per correttezza d’informazione storica che tale aspetto emerge, dalle speculazioni di Luria, diffondendosi poi in Europa e che soltanto dopo la persecuzione del 1492 le scuole cabaliste di Palestina professarono un insegnamento tendente al rinnovamento del mondo in Dio, sviluppando, però, la loro mistica speculativa secondo le necessità storico ambientali e rivolgendo la loro attenzione non sul mondo di origine, ma a quello della fine, quello, cioè, delle apocalissi e delle apocatastasi. Il Cabalista non aspira a ricostruire ritualmente un’unità di principio, né, conseguentemente considera l’albero Sephirotico uno stereotipato archetipo che egli deve percorrere mediante un’azione religiosa. Anche dopo l’esperienza dell’unio mistica, i due termini della dialettica Cabalista, Dio e Relativo, restano, infatti, nella loro connaturale corrispondenza ; l’estasi non è mai avvertita o vissuta, salvo casi eccezionali, come effettiva unione con Dio. Il cabalista, conserva sempre, anche nell’estasi descritta, il senso della distanza tra il Creatore e la creatura. L’insegnamento della Bitul ha-Yesh, in altre parole l’annientamento del senso egoico teso alla diretta conoscenza umana di Dio (acquisizione di conoscenza per identificazione), anche se ha le radici in questa Qabalah delle origini, gli è ancora straniero. Tutto il processo si esaurisce nel creare le condizioni per l’attivazione di un contatto mistico tra l’uomo e Dio, e da esso è l’uomo, non il mondo a subire una trasformazione. Non intendo, innestare un contraddittorio che ci porterebbe fuori tema, ma è proprio questo accento sull’uomo, sull’individuo, sulla salvezza individuale, è uno degli elementi che distingue la Qabalah dall’insegnamento Ortodosso. Il rapporto tra il Cabalista e Dio fu, fin dalle origini, accettato come un atto sessuale, come un amore unitivo, e lo stesso Cabalista riesce a documentare nella stessa struttura lessicale della Scrittura la tendenza ad esprimere l’esperienza religiosa secondo le forme dell’esperienza fisiologica sessuale. Devequth, attaccamento, da intendersi una sorta di vincolo formato dall’amore dell’uomo per Dio, un vero e proprio modo di vivere, una condizione di vita e di assoluta dedizione al Santo, deriva dal verbo ebraico Davoq, che significa unirsi, congiungersi, verbo utilizzato esclusivamente per indicare l’unione dell’uomo e della donna. E dal passo del Genesi: Adamo Jadoà (conobbe) Eva, i Cabalisti dedussero che conoscere significava sempre e comunque la realizzazione di un’unione, sia l’unione della Sapienza e dell’Intelligenza, fra le Sephiroth superiori, sia quella della Bellezza e Malcouth la Shekhinah, tra quelle inferiori. Così la conoscenza, veniva ad assumere per essi, una sublime qualità erotica. Ma la Tradizione Cabalista, si spinge oltre questo semplice trasferimento di significati, procedendo ad una vera e propria sessualizzazione del mondo divino, e ancora di più... si spinge, come vedremo in seguito, sino a considerare il rapporto tra lo stesso Assoluto ed il relativo, attraverso le Sephiroth, appoggiato sull’interazione del principio maschile e di quello femminile, gettando le basi ad un insegnamento, la cui logica premessa risiede proprio nell’uso mistico del rapporto coitale Tutto ciò non deve meravigliare più di tanto, poiché secondo La Tradizione, in Dio stesso è presente una dualità sessuale, e spesso vi fa riferimento impiegando vari e complessi indici simbolici. Credo che il più evidente, e certamente il più noto tra i moduli in cui questa sessualità, è rappresentata sia dal Tetragramma Ora è noto che i Cabalisti si divertono sempre a complicarci la vita, che un insegnamento ardito, per quanto semplicemente esposto non poteva soddisfarli pienamente, dotati come sono di quella particolare Intelligenza, che un fratello della loggia Montesion ha definito, simpaticamente, Geniaccio, ed ecco allora che la sessualità del Nome, così chiaramente esposta, subisce, nelle loro speculazioni, delle variazioni ed un capovolgimento degli elementi sessuali che sarebbe troppo lungo e poco utile, al momento, esaminare nei particolari. Nel passaggio dal piano umano a quello divino, la Hé femmina, diviene Hé maschio. É cosa nota che il mistero della sessualità divina e della relativa ierogamia, come rappresentazione mitologica essenziale della Qabalah, è espresso anche in altre maniere, e un altro soggetto che ormai conosciamo bene, almeno noi della Montesion, è il glifo dell’albero Sephirotico. Qui l’Organum Sanctitatis, ciò che corrisponde alla maschilità di Dio e ai genitali dell’uomo circonciso, è la sephirah Yesod, il Fondamento, il sesso maschile dell’Anthropos sephirotico. Siamo di fronte ad uno degli arcani centrali della Qabalah teosofica. Soltanto dopo che egli (Yesod) fu affermato, tutto fu affermato, così recita lo Zohar nel II volume al foglio 258a. Esso unì gli amici, vale a dire le Sephiroth Netzâ e Hod, come anche gli amanti, vale a dire Thiphereth uomo e Malcouth donna. Dicevamo sopra del Geniaccio di questi Cabalisti, e allora ecco che quando lo sposo e la sposa si uniscono nella purità sacra dell’atto sessuale, essi provocano con ciò la stessa unione di Thiphereth e Malcouth, di cui essi stessi costituiscono una parte, e sopra di essi, grazie al loro atto sessuale reso sacro, si uniscono, anche, tutti i mondi superiori, così come lo descrive Rabbi Horovitz nella sua celebre opera L’abbondanza di rugiada, (comprendete rugiada con liquido seminale) e il cui brano che interessa è riportato dal Mopsik nel testo I riti che fanno Dio edizioni Verdier. Nella stessa maniera in cui l’unione di due corpi umani si effettua con l’aiuto delle braccia, così noi troviamo, nell’albero della vita, due Sephiroth su dieci la cui funzione consiste nel permettere agli amanti Tiphereth e Malcouth di congiungersi. Si tratta delle Sephiroth H'esed (Grazia) e Guebourâ (Vittoria ), le quali proprio per questa ragione sono chiamate Zeru’ot Olam (le braccia dell’universo). Con tali premesse è ovvio che anche le altre parti del corpo umano partecipano all’unione; appare, quindi, scontato che la circoncisione omologa l’organo genitale maschile allo Yesod divino, costituisce in altre parole, nella creatura un organo di santità che trasforma l’atto sessuale in un sacramento Il secondo termine della sessualità divina, la Femmina divina, con la quale Yesod consuma l’unione, è variamente designata, e la molteplicità stessa dei nomi renderebbe problematica, o, almeno confusa, la natura di lei, se non sapessimo, noi della Montesion, che le contrastanti denominazioni sono sempre riconducibili a varianti del nome Shekhinah. In alcuni passi è citata come Grande Madre o Matrona, allora essa è riferita alla Sephirâ Binâ, altre volte è indicata con Israele, Comunità d’Israele, Sion, Sposa, Regina, Amata e questo quando è riferita a Malcouth. Con tale abbondanza di nomi, il mistero ierogamico, consumato sempre e soltanto con la stessa Shekhinah, sembra, in effetti, consumato diversamente in Dio. Il coito cosmico-sephirotico che si consuma fra Yesod e la Shekhinah, va comunque considerato a vari livelli, da quello puramente teogonico, che costituisce l’atto iniziale che ha dato vita al mondo e che, ripetendosi nel tempo, ne assicura così la continuità, fino al livello mistico e storico, quando l’unione fra la Shekhinah e Yesod o più esattamente fra la Shekhina-Israele e Dio, viene ad indicare l’assistenza e la presenza divina nella storia del Popolo eletto. Ed è in quest’ultimo frangente che i saggi del Talmud e i Cabalisti parlano di un esilio della Shekhinah, di un’interruzione del rapporto sessuale in Dio, ogni volta che Israele si allontana dal suo Signore o, quando la distruzione del Tempio ha tolto alla Shekhinah stessa la sua dimora terrena elettiva. La preghiera, il sacrificio, l’osservanza delle prescrizioni, ma in modo particolare, come presto accenneremo, l’unione sessuale matrimoniale, sono gli atti umani che sollecitano la riunificazione dei due termini della sessualità divina e provocano il rinnovarsi del gamos. Che il rapporto fra Yesod e la Shekhinah, sia un vero e proprio atto coitale, consumato fino all’eiaculazione è confermato nella rappresentazione crudamente sessuale del gamos fra i due che ne fa’ lo Zohar nel II volume al foglio 162°: Abbiamo, però, affermato che lo Tsaddîq (il Giusto) Zaddiq è il nome dato alla sede del Patto, luogo da dove zampilla la fontana; e, proprio come l’orifizio di una botte di vino, attraverso il quale si attinge il vino è chiamato cima o testa della botte, così l’organo genitale in Dio e nel maschio, Yesod, è chiamato la testa del Giusto nell’atto in cui esso irrora il suo liquido seminale nella femmina, Shekhinah. Credo, Fratelli cari, di aver risposto in maniera sufficientemente esauriente e chiara alla prima parte del problema esposto all’inizio di questa istruzione: In cosa consiste il nucleo di questa Tradizione, se così non fosse mi riservo alle vostre domande al termine dello spazio concessomi. Quanto mi preme ora è tentare di dare risposta anche alla seconda parte della questione: dove risiede la sua forza.
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