La regola d’oro del dovere del medico è fornita dal versetto Dt 32,10: "Il Tohu alle urla selvagge" è la prigione dell’amministrazione reale. La "terra deserta" è l’infermeria della prigione. Il malato in questione è Israele, l’Assemblea di Israele che Tetragramma protegge personalmente come la pupilla dei suoi occhi. Il medico si sforzerà di imitare questo comportamento della provvidenza e della misericordia divine. Da moltissimo tempo il clima esaltato di questo versetto aveva già attirato l’attenzione dei targumisti. Onquelos traduce (Dt 32,10): "Tetragramma sopperì ai loro bisogni in una terra deserta, in mezzo a regioni aride, in un luogo senz’acque. Egli li fece accampare intorno alla Sua shekhinah. Egli insegnò loro le parole della Torah e li custodì come si trova protetta la pupilla dei loro occhi". Cioè: Il centro dell’occhio corrisponde alla dimora della Shekhinah, i campi dei sacerdoti e dei leviti formano un cerchio attorno a questo centro, i quattro campi delle altre tribù li inquadrano e, infine,"l’angelo di Tetragramma si accampa intorno a coloro che Lo temono"(Ps 34,8). Il Targum palestinese, Gerusalemme primo, spiega questo clima nella seguente maniera (Dt 32,10): "Tetragramma li incontrò quando essi abitavano nel deserto, in un crepaccio, in un luogo in cui urlavano i demoni e gli uccelli bizzarri. In questa regione ardente egli pose su di loro le grandi sette nubi della Sua gloria. Egli insegnò loro la Sua Torah ed essi sono protetti così, associati alla sua Shekhinah nel Suo pensiero". Questo versetto offre l’occasione al targumista di trasformare il cantico di Mosè in un canto d’amore. Il targum frammentario di Gerusalemme, agisce nello stesso senso (Dt 32,10): "Tetragramma li trovò erranti in una terra deserta, in un crepaccio ove risuonavano urla selvagge. Egli fece venire sopra di essi le grandi nubi della gloria della Sua Shekhinah, insegnò loro le dieci Parole. Egli li protesse, si era occupato di loro sull’esempio della Shekhinah che protegge gli occhi". Nei Targum palestinesi, la parola tohu del versetto è interpretata come un "crepaccio" (seruta) del deserto nel quale urlano e imperversano i demoni. Questo crepaccio rappresenta il lato orribile e demoniaco del tohu e la scena ci rammenta le "fessure della roccia" (hagwéy séla) del Cantico dei Cantici (2,14): Alzati, amica mia, mia bella e vieni! Mia colomba, che ti tieni nelle fessure della roccia, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, giacché la tua voce è dolce ed il tuo viso è affascinante. Per spiegare questo amore, il targumista colloca la scena nel contesto dell’uscita dall’Egitto e dice a proposito dell’espressione "mia colomba": "Quando Faraone, lo scellerato, perseguitò il popolo di Israele, l’Assemblea di Israele era paragonabile alla colomba concepita nelle fessure della roccia. Dentro la roccia è il serpente che la terrorizza, fuori è l’avvoltoio che la spaventa. É in una tale situazione che si trovava l’Assemblea di Israele. Essa era circondata in tutte le possibili direzioni. Davanti a loro c’era il mar Rosso, dietro il nemico, il Faraone, che li perseguitava. Nei due altri lati c’erano deserti pieni di rapidi serpenti che mordono e uccidono con i loro veleni i "discendenti della donna". L’Assemblea di Israele aprì la sua bocca senza tardare e indirizzò una preghiera a Tetragramma. Un’eco proveniente dal cielo le rispose: O Assemblea di Israele, che sei simile alla fragile colomba che si rintana nella fessura della roccia e nelle cascate che discendono verso un fondo inaccessibile, mostrami il tuo viso - le opere che tu hai fatte - fammi sentire la tua voce - innalza il tuo canto melodioso facendo la tua preghiera in questo piccolo santuario - il tuo volto è abbellito dalle tue opere virtuose". Prolungando lo svolgimento di questa messa in scena della tradizione targumica dove il terrore del deserto chiama l’amorosa tenerezza, lo zohar dà una forma tecnica al versetto Dt 32,10 quando esso introduce un piccolo avverbio speciale dopo la parola tohu. Questa piccola parola è wadai, "invero", ma che significa nello zohar che bisogna interpretare la parola tohu in senso sephirotico. Non si tratta del tohu metafisico, che corrisponde alla sephirâ H'cmâ, ma piuttosto del tohu inferiore che si trova tra le sephiroth della costruzione, quelle che costruiscono il mondo. È la quinta sephirâ Guebourâ ove si trova il tribunale implacabile. Lo sguardo terrorizzato della colomba si spiega col fatto che in quel momento essa comprende la portata del giudizio che fu deciso e non vede alcuna via d’uscita alla sua disperata situazione. Tuttavia, essa può ancora proclamare nella sua preghiera il proprio pentimento, poiché il severo tribunale di Guebourâ è posto sotto l’autorità della sephirâ Binâ, che è soprannominata"il pentimento"e a questo titolo domina non solo la colonna di sinistra ma anche tutte le sephiroth di costruzione che sono in relazione col divenire dell’anima. In questo caso, una sentenza definitiva addolcita è pronunciata nel clemente tribunale della decima sephirâ, Malcouth, ma la colomba deve da parte sua accettare l’onorevole ammenda ed espiare la sua pena nella prigione che si trova in questo basso mondo, nel Tohu dalle urla selvagge di una infermeria penitenziaria. È in questo luogo che il medico pietoso e saggio la troverà. Forse, questo stesso medico avrà anch’egli affrontato il tribunale di Guebourâ e si ritroverà in questa prigione terrestre come prigioniero, come fu il caso del patriarca Giuseppe - che è nondimeno il prototipo sephirotico del Giusto - quando egli fu gettato nella prigione del re d’Egitto. Bisogna notare che il caso di questo piccolo frammento zoharico che cita l’Esh mesareph è assai singolare. Nello Zohar sulla Torah che fu stampato a Cremona nel 1559 - è questa edizione, soprannominata il grande Zohar, stampata in un solo volume, che utilizzavano quotidianamente nel diciassettesimo secolo i cabalisti di Germania e di Polonia e che serviva per la coordinazione di tutti i riferimenti dei Loci Communes Cabbalistici - troviamo questo frammento di testo alla fine del volume, il quale offre in qualche modo l’ultima parola del commento sul libro del Deuteronomio e, di colpo, l’ultima parola dell’intero Zohar. Detto altrimenti, questo frammento poteva apparire al lettore o allo studioso erudito del diciassettesimo secolo come l’ultimo messaggio del midrash di Rabbi Shim’on bar Yohai. La natura eccezionale di questo frammento è accresciuta dal fatto che i tipografi di Cremona misero in pagina in una maniera quasi teatrale questo "ultimo" racconto dello Zohar. É mediante dei distanziamenti ben proporzionati, una osservazione, tra parentesi e in caratteri più piccoli, a guisa di nota, che introduce questo frammento: "Io ho trovato ciò in un rotolo". Alla fine di questo stesso frammento appaiono subito, senza la mediazione di una preghiera, le formule che segnano la conclusione di un’opera: "Fine del paragrafo, fine del Libro". Si può essere sedotti da questi giochi di circostanze di tipografia a tal punto da enunciare la formula spesso ripetuta nel midrash: "L’ultimo, solo l’ultimo è il più amato?" Per evitare conclusioni indebite che si baserebbero su una circostanza occasionale, all’occorrenza quella di un’elegante tipografia, bisogna notare che questo effetto estetico sfuma alquanto nell’edizione Zohar di Sulzbach, che fu realizzata sotto la direzione di Knorr von Rosenroth alcuni anni dopo la pubblicazione della Cabbala Denudata seguendo il modello del "grande Zohar" di Cremona. In ogni caso, il contenuto letterario di questo frammento che termina lo Zohar poteva essere interpretato come un invito alla ricerca di un libro misterioso, appartenuto ad un celebre medico che era stato venerato, sia per il suo sapere che per la sua pietà, la sua giustizia e la sua dedizione ai malati più bisognosi. In qualche modo, nel diciassettesimo secolo, questo testo frammentario poteva divenire il punto di partenza di un sogno da eruditi per coniugare la scienza delle lettere insegnata dallo Zohar ad una scienza fisica e ad una pratica medica. In questo piccolo testo, si decifra il nome di un celebre medico che i compagni di Rabbi Shim’on bar Yohai avevano ammirato. Vi si ritrovano alcune parole del suo prestigioso libro che La stessa Lampada sacra aveva avuto modo di ammirare personalmente. Inoltre, questo libro fu portato ai compagni e a Rabbi Eliezer da un mercante ambulante arabo anonimo la cui figura è conosciuta come uno dei travestimenti preferiti dal profeta Elia durante le sue apparizioni. Questo medico associava la medicina magica alla vita di preghiera del cabalista, curava i malati poveri e, nell’eventualità, procurava loro delle medicine pagandole di persona. Gli studiosi dello Zohar sulla Torah, coloro che lavoravano con i riferimenti dell’edizione di Mantova così come quelli che trasmettevano la loro scienza con l’aiuto dell’edizione di Cremona, dovevano accontentarsi a questo proposito di alcune indicazioni tecniche assai insignificanti. Nondimeno essi hanno finito per fare di queste poche righe il riferimento principale del loro impegno in una vita di ricerca destinata ad estendere la scienza dello Zohar al dominio delle scienze applicate: fisica, medicina, alchimia. Il redattore alchimista dell’Esh mesareph dichiara a questo proposito, come abbiamo già detto: "Ciò che mi ha determinato, è quel che è trasmesso nello Zohar Heazinu f. 145 c 580 sul dovere del medico". Come ognuno sa, il testo dello Zohar sulla Torah che circolava dalla metà del sedicesimo secolo grazie alle edizioni principi di Mantova e di Cremona fu completato da una nuova raccolta di testi zoarici chiamata Zohar Hadash (1597, i cui materiali provenivano dai manoscritti che erano in possesso dei cabalisti di Safed. Tra i testi dello Zohar Hadash, abbiamo la possibilità di trovare delle istruzioni complementari sulla spiegazione del versetto Dt 32,10 ed una lezione più completa a proposito del libro di questo famoso medico. |