Il celebre Gaon Saadja di Fayyum scrisse nell'anno 931, commentando il “Libro della formazione” (Sepher Yetzirah): “Allorché si dice ‘JaH ha due lettere' significa che JaH è la metà di JHVH. La ‘metà' si pronunciava dovunque e sempre, ma ‘l'intero' soltanto nel santuario ad un certo momento, nell'attimo della benedizione d'Israele”.
Il commento del Gaon Saadja di Fayyum al Sepher Yetzirah si trova nella sezione dedicata:
E nel Talmud si dice: “Dalla distruzione del Tempio in poi, al mondo basta usare soltanto due lettere per unirsi a Dio mercè l'invocazione del Suo Nome, cioè delle prime due lettere del ‘Nome intero' JHVH, le quali formano il suo ‘grande Nome' JaH” (Erubin 18b). In questa dichiarazione è enunciato il mistero del nome JaH nonché il suo significato metafisico e storico. Per comprendere questo adeguatamente è opportuno prima considerare la realtà interiore sovratemporale del ‘grande Nome', la quale è fondata su quella del nome JHVH, di cui JaH, s'è detto, è la ‘prima metà' e anche l'inizio e la fine, e dunque il compendio. Entrambi i Nomi, quanto alla radice, derivano dal verbo essere, ma non ne costituiscono forme d'uso, come il Nome di Dio Ehjeh: “Io sono”. E qui incomincia il mistero. Il Nome JHVH appare un legame, una scomposizione e un compendio tutt'insieme, dei tre tempi del verbo essere (nella terza persona maschile singolare): HaJaH (“fu”, HoVEH (“è”), JiHJeH (“sarà”). Il Nome JaH è da parte sua la sintesi delle lettere che formano i due tempi, del passato e del futuro: HaJaH (“fu”) e JiHJeH (“sarà”). Alla luce di questa logica delle lettere JHVH si rivela come l'essere eterno in tutti suoi aspetti e JaH in particolare come l'origine e lo scopo di ogni esistenza. Ci si potrebbe domandare perché Dio non abbia dato al suo popolo una parola grammaticalmente chiara come Ehjeh “sono”, quale Nome con cui invocarlo. La risposta apparirà evidente da queste pagine, ma ora basti dire che col Nome Ehjeh, benché sia stato concesso all'uomo di pronunciarlo, è Dio che afferma il proprio essere, mentre JHVH e JaH indicano Dio nella terza persona: nel loro caso è l'uomo che afferma l'essere di Dio: “Egli fu, Egli è, Egli sarà” (HaJaH, HoVeH, VeJiHJeH). JHVH e JaH indicano direttamente l'essere divino puro in quanto tale e non un suo aspetto manifestato nella creazione, com'è il caso di Adonai, “Mio Signore” (l'aspetto del padrone), Rahum il Misericordioso, Hanun il Clemente, Melec il Re, Dajan il Giudice, Zaddik il Giusto e via dicendo. Ma come l'essere di Dio riassume in sé tutti i suoi aspetti, anche i suoi Nomi JHVH e JaH comprendono tutti i nomi dei suoi aspetti. E siccome l'essere divino è sublimemente al di sopra di ogni paragone con l'essere creato, tutte le parole sfociano nell'ineffabile, JHVH e JaH superano tutte le forme grammaticali del verbo essere, per unire l'uomo il più direttamente possibile al mistero senza nome e altissimo. Ecco il profondo motivo per cui si distinguono tanto da Adonai come da El, Dio, quanto dai Nomi derivati Elohai, Elohenu, Elohim e in genere da tutti i Nomi d'attributi. Il valore spirituale di JHVH e di JaH non sta, come in questi altri Nomi, in un concetto linguisticamente razionale, sia pur esso “Dio” o “Essere”. L'essere è presente etimologicamente in JHVH ed in JaH ma non compare linguisticamente in primo piano, restando celato nel proprio mistero. La simbolicità divina si è trasposta tanto nel Nome quanto nelle sue singole lettere e sono le lettere stesse che, con la loro vocale e il segno della loro pronuncia, divengono simboli e mezzi per rivelare la realtà che esse nominano. Ogni vocale e ogni consonante e ogni segno dell'alfabeto ebraico appartiene al mistero della lingua sacra e rivelata, sono le rivelazioni linguistiche degli archetipi eterni di tutte le cose, degli aspetti dell'essere divino. L'accesso intellettuale e mistico-operativo a questi misteri è reso possibile dalla “scienza delle lettere” che è nel contempo quella dei segni numerici, essendo le 22 lettere o consonanti dell'alfabeto ebraico altresì, ciascuna d'esse, un numero. Questi numeri-lettere promanano, insieme alle vocali, dai “numeri primordiali” divini o sephiroth, uniti fra loro dai loro 22 “canali di luce”. Le dieci sephiroth sono le cause primordiali e immobili di tutte le cose, che diventano, mercé i 22 canali o eterni rapporti reciproci, archetipi mobili, donde provengono tutte le forme della creazione, la composizione di ogni creatura e le relazioni reciproche fra tutti gli enti. Con dieci “parole primordiali” Dio ha creato il mondo e con la infinitamente varia trasposizione delle 22 “lettere primordiali” Egli muove ogni cosa nel mondo da Sé a Se stesso, rivelando l'infinita ricchezza della Sua Sapienza e Realtà. In base alla forma, al suono e al valore numerico una lettera simboleggia questo o quell'archetipo divino o una pluralità di archetipi, e a seconda della vocalizzazione e della situazione in cui una lettera viene a trovarsi in rapporto ad altre lettere, il suo archetipo si svela in funzione di questo o di quel “rapporto”. Sicché ogni lettera possiede e manifesta la “sua verità”; ancora prima, la parola che contiene molte lettere, molte “verità”, comunica la sua “verità complessiva”, e ciò si può dire anche della frase in rapporto alle parole che la compongono e delle singole frasi relative ad un unico contenuto rispetto al loro insieme. Ma qui importa rammentare soprattutto che nella lingua sacra una lettera-consonante o vocale esprime una verità autonoma; le vocali poi si rivelarono prima del linguaggio articolato in sillabe delle consonanti, come comunicazioni dirette del “suono primordiale” emanante dalla presenza reale della realtà sefirotica, suono primordiale che è la “voce” di Dio creatore, illuminatore e liberatore. La voce di Dio è la lingua primordiale stessa, e ogni suono della natura, ogni colpo di tuono, ogni stormire di venti o mormorio d'acque, ogni grido d'uccello, brontolare di fiera, è un manifestarsi della lingua primordiale, del suono originario, della voce di Dia, che anche nell'uomo si rivelò dapprima con le vocali e quindi anche con le consonanti articolate in sillabe e appoggiate a vocali, sicché ognuna delle consonanti rivelò una verità autonoma. Anche il “grido del cuore” dell'uomo è una rivelazione del linguaggio primordiale, del suono originario e della voce stessa di Dio. Pertanto la Qabalah ravvisa in esso una delle forme massime e più efficaci dell'invocazione di Dio. I Nomi JHVH e JaH sono parole della lingua primordiale. Ognuna delle loro lettere e ciascuno dei loro suoni svela i rapporti eterni fra queste verità divine. Le quattro lettere di JHVH abbracciano tutte le realtà: le dieci sephiroth che sono tanto gli aspetti primordiali dell'essere divino quanto dell'Uomo Eterno e Massimo; i quattro mondi, dal divino all'umano; la universale inabitazione divina nel mondo, e la creazione che ne è il nucleo. Le due lettere di JaH celano innanzitutto la trascendenza di Dio: innanzitutto le supreme tri-unità; quindi le dieci sephiroth; infine la “inabitazione trascendente” cioè l'inabitazione divina in quanto come “cielo dei cieli” riposa sopra la creazione, senza essere operante, come JHVH su tutti i suoi piani, fino alla sua folgorante rivelazione nell'uomo. Vale per JaH la parola del-la Scrittura: “Dalla lontananza mi è apparso il Signore”, questa “lontananza” è la “superficie delle acque”, il piano su-premo della creazione donde JaH si manifesta attraverso la sua “vocale” a, attraverso la sua “voce luminosa” o suono primordiale che tutto illumina e libera. Questo suono primordiale, luce originaria pervade grado a grado tutti i piani dell'essere fino al cuore dell'uomo terrestre; mentre la grazia sconfinata di JHVH scaturisce direttamente come fonte possente di luce dalla sua inabitazione permanente nel cuore. Il Nome JHVH è quello dell'unione folgorante, il Nome JaH quello dell'unificazione graduale. Il suono primordiale divenne un suono del linguaggio e questo divenne segno geroglifico, lettera simbolica e sacrale, rivelatrice in sintesi della realtà divina universale e di infinite verità attraverso i Nomi più brevi e situati aldilà delle consuete forme linguistiche, come JaH e JHVH. Nella misura in cui all'uomo è concessa l'invocazione di questi Nomi divini, essa gli permette, con l'aiuto dall'alto, di comprendere tutte le contraddizioni apparenti della esistenza, tutti gli aspetti dualistici della realtà, tutte le svariate proprietà, immagini, figure e forme direttamente entro la loro essenza divina e unica, nella loro originaria unità (JaH) o Unità universale (JHVH); e in questa unificazione l'uomo stesso diviene tutt'uno con l'Uno. Ciò non comporta che i Nomi di Dio che rientrano, in quanto concetti intellettuali espressi, nell'ambito delle consuete forme linguistiche, come sarebbero Ehjeh, El o Adonai, non portino al medesimo risultato – che le loro vocali e consonanti non sieno a loro volta manifestazioni simboliche della voce e del verbo di Dio e che come tali non abbiano fondamentalmente la stessa efficacia delle “quattro lettere” o delle “due” che nelle prime sono comprese. La distinzione fra i Nomi “razionali” ed i Nomi “sovrarazionali” sta nel fatto che l'efficacia di questi ultimi nell'uomo è radicalmente più diretta e comprensiva di quella dei primi, la cui incidenza è dovuta, come la loro forma richiede, al significato razionale della parola e non alla simbolicità di ognuna delle loro lettere, e comunque, questo effetto si verifica, se si verifica, soltanto virtualmente; l'efficacia dei Nomi JaH o JHVH promana diretta-mente dal senso delle lettere, senza ovviamente escludere quello della parola stessa, che è il puro essere divino o essere universale. Nel loro caso, la Kavvanah o “attenzione” spirituale dell'invocante è rivolta alla forma simbolica di ciascuna lettera, sicché l'attività mentale della sua ragione sfocia direttamente in quella del suo spirito sovrarazionale e ipermentale, raccolto sulla realtà divina infinita che si cela nella lettera sì da unirsi ad essa, e tutto l'essere dell'uomo si raduna in questo raccoglimento del suo spirito e si unifica in questa unione con l'Uno. Il Nome di Dio è qui già preliminarmente libero dell'involucro verbale mediatore e razionale in cui resta prigioniero il pensiero umano e perciò anche l'io pensante in genere – come se lo Spirito divino lo compatisse liberandolo da quella prigionia. Nei Nomi JaH e JHVH quell'involucro del significato verbale e metaforico di cui si alimenta il pensiero umano insaziabilmente, è rotto a priori, e si libera così il nucleo puramente spirituale simboleggiato dalle lettere. A questo punto l'uomo non si alimenta più soltanto della razione discriminatrice ma anche dello spirito unificatore. Ma proprio perché questi Nomi divini unificatori sono liberati del loro involucro razionale e mentale, non possono essere intesi pienamente e integralmente senza una dottrina specialmente rivelata. Questa è la dottrina delle sephiroth, in connessione con quella della simbolicità sacrale delle lettere, delle parole e dei nomi rivelati; così qui si unisce la “via delle sephiroth”, contemplativa, alla “via dei Nomi”, all'invocazione di Dio.
JHVH e JaH Significato delle quattro lettere Il nome divino della fine dei tempi L'efficacia graduale del nome JaH
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