Lo scritto che segue, che attinge a fonti diverse, fu presentato, nell'anno di vera luce 5998, per l'istruzione dei Fratelli Compagni della Montesion, dal carissimo Fratello Federico P. che in quell'anno ricopriva la carica di "Esperto Terribile".

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Oggi non si nutrono più dubbi sulle notevoli assonanze che esistono fra l'ebraico (quello del Sepher di Mosé per intenderci) e l'antico egizio da cui discende il linguaggio coopto. Si ammette oggi da parte dei filologi una uguale origine delle due lingue con le normali differenziazioni avutesi per le contaminazioni e le successive evoluzioni.

Il testo biblico che forma l'unica testimonianza dell'ebraico antico pur scritto in diversi secoli mantiene uno stile e una uniformità veramente sconcertante. Variano sì alcune forme sintattiche, varia la frequenza delle parole, ma le forme mantengono questa impressionante uniformità. Forse ciò è dovuto al lavoro di recupero dei testi fatto da Esdra e Daniele nel periodo post esilio, forse dal rispetto, o meglio adorazione, che gli antichi Ebrei avevano per la parola di Dio, al punto che i Cabalisti e gli studiosi ebrei, si servirono sempre ed esclusivamente dell'ebraico biblico per scrivere la teologia.

Da più parti si è anche sostenuto, ed ancor oggi è così, che quella lingua ebraica non avesse vocali, ma in verità molto sarebbe da dirsi su tale affermazione se solo ci si chiedesse, in buona fede, come l'Alfabeto degli Ebrei potesse mancare di caratteri propri a designare le vocali, quando si sa che gli Egizi, che furono maestri in tutte le scienze, possedevano questi caratteri e se ne servivano, secondo quanto riferisce Demetrio di Falera, per scrivere e solfeggiare la musica; quando si sa, a partire dal racconto di Horus-Apollo, che questi caratteri erano sette; quando si sa che i Fenici, così vicini agli Ebrei, impiegavano questi caratteri vocalici per designare i sette pianeti….

 

Quando si è sostenuto che l’ebraico antico veniva scritto senza vocali, non ci si è intesi affatto. In verità tutte le parole ebraiche possedevano vocali espresse o sottintese, cioè vocali-madri, o vocali consonantiche. All'origine di questa lingua, o piuttosto all'origine della lingua egizia da cui l'ebraico deriva, i saggi che presiedettero alla creazione dell'alfabeto che la lingua ebraica ha ereditato, riconducevano un suono vocalico a ogni consonante, suono quasi sempre spento, privo di aspirazione, che andavano dalla a alla o, oppure dalla a alla e senza il minimo inconveniente; mentre riservavano i caratteri scritti per esprimere i suoni più fissi, aspirati o eclatanti. Questo alfabeto letterale, la cui antichità è sconosciuta, non ci è pervenuto nei suoi caratteri materiali; ma ne è stato conservato unicamente lo spirito, per il tramite delle diverse imitazioni che hanno trasmesso i Samaritani, i Caldei, i Siriani, e gli stessi Arabi.      

L'Alfabeto ebraico è quello dei Caldei. I caratteri sono mirabili per l'eleganza della forma e la nettezza del disegno. Il samaritano, molto più diffuso, molto meno facile a scrivere, è visibilmente anteriore e appartiene a un popolo più rozzo. [Per le differenze e le assonanze ed i suoni consultare, in questa stessa sezione: Corrispondenze e suoni”].

Gli eruditi che hanno messo in dubbio l'anteriorità dei caratteri samaritani non avevano esaminato questa lingua con sufficiente attenzione. Essi hanno d'altronde temuto che una volta che si fossero accordati circa l'antichità del samaritano, questo avrebbe comportato una sorta di disconoscimento circa l'antichità del Sepher di Mosé: ma si tratta di un frivolo timore.. Il testo samaritano del Sepher di Mosé che possediamo, benché sul piano alfabetico sia anteriore all'alfabeto caldaico, non è tuttavia altro che una semplice copia del Sepher di Mosè, che la politica dei re assiri fece passare a Samaria. Se questa copia differisce, in parte, dal testo originale, è perché il sacerdote che ne fu incaricato, come si legge nel librò dei Re, o si conformò alle idee dei Samaritani, di cui voleva propagare lo scisma, oppure consultò manoscritti poco fedeli. Sarebbe semplicemente ridicolo sostenere che questo sacerdote fu l'autore di tutto il Bereshit; ma non è così assurdo ritenere che egli fu l'autore delle principali varianti che vi sono riportate; dal momento che l'interesse della corte assira di cui era il mandatario, era proprio quello di provocare un allontanamento, il più radicale possibile, dei Samaritani dagli Ebrei, nonché di alimentare la loro reciproca animosità con tutti i mezzi a disposizione.

Attualmente non è più possibile negare l'origine caldaica dei caratteri dell'Alfabeto ebraico, quale lo conosciamo oggi. Basta il nome stesso di questo Alfabeto per dimostrarlo. Questo nome, così scritto tyrwca hbytk, (chatibath ashurith) significa scrittura assira: epiteto conosciuto da tutti i rabbini e al quale, secondo il genio della Lingua ebraica, niente vieta di aggiungere il segno formativo e locale m, per ottenere tyrwcam hbytk, (chatibath mashurith) scrittura all'assira. Ecco la denominazione, semplicissima di questo alfabeto: denominazione nella quale, per abuso di parole assai singolare, quell'Elia Levita volle vedere assolutamente i Massoreti di Tiberiade, confondendo così, senza alcuna critica, l'antica mashora con la massora moderna, e l'origine dei punti-vocali con le regole infinitamente più nuove seguite nelle sinagoghe, relativamente al loro uso.

 

L’origine dei punti-vocali

Per una serie di avvenimenti che si riferiscono a principi troppo dislocati dal soggetto di questo documento per esservi esposti, il suono delle vocali scritte ebraiche si alterò materializzandosi, indurendosi per così dire, e subì una tale mutazione che i caratteri che li esprimevano, si confusero con le altre consonanti.

Se, come dicevano benissimo gli antichi, le vocali sono l’anima e le consonanti il corpo delle parole, la scrittura ebraica, e in generale tutte quelle che provenivano dalla stessa matrice primitiva, divennero a causa di questa lenta involuzione, una specie di corpo, se non morto, quantomeno in letargo, nel quale non risiedeva altro che uno spirito vago, fuggitivo, tale da gettare null'altro che qualche raro e incerto lucore. A quell'epoca, il senso delle parole tendeva a materializzarsi, così come il suono delle vocali, e pochi lettori erano capaci di coglierlo. Nuove idee ne mutavano o modificavano l'accezione, così come nuove abitudini ne avevano mutato o modificato la forma.

E tuttavia alcuni saggi, e tra gli Assiri questi saggi furono i Caldei, casta letterata e sapiente, che male a proposito è stata confusa con il corpo della nazione; alcuni saggi Caldei dicevo, si resero conto delle mutazioni successive che si operavano nella loro lingua e temendo, a giusta ragione, che malgrado la tradizione orale che si operavano a trasmettersi gli uni agli altri, il senso degli antichi testi finisse per perdersi interamente, ricercarono un modo di fissare il valore dei caratteri vocalici e, soprattutto, di dare alla vocale consonantica sottintesa un suono determinato che non lasciasse più la parola fluttuare a caso tra i diversi significati.

Ecco il modo immaginato dai Caldei per ovviare alla confusione sempre crescente, che nasceva dalla deviazione delle vocali-madri e dalla fissazione delle vocali vaghe. Essi inventarono un certo numero di piccoli accenti, oggi denominati punti-vocali, a mezzo dei quali attribuire ai caratteri dell'Alfabeto, sotto i quali erano posti, il suono che questi caratteri avevano nella lingua parlata. Questa invenzione decisamente ingegnosa ebbe il doppio vantaggio di conservare la scrittura dei libri antichi senza operare nessun cambiamento nella disposizione dei caratteri letterali, consentendo di annotarne la pronuncia introdotta dall'uso.

 Oltre a questi punti, la cui destinazione fu quella di fissare il suono delle vocali vaghe, e di determinare il suono vocalico che era inerente o sottinteso nelle vocali-madri, sia che ne avessero conservata la natura, sia che l'avessero perduta, passando allo stato di consonanti, i Caldei inventarono una specie di punto interno, destinato a dare più forza alle consonanti o alle vocali-madri, nel cui corpo era inscritto. Questo punto si chiama daghesh quando viene applicato alle consonanti, e mappik quando viene applicato alle vocali.

 

Questo fu il modo inventato dai Caldei per annotare la pronuncia delle parole senza alterarne i caratteri. É impossibile, in mancanza di documenti, fissare oggi, anche solo per approssimazione, l'epoca di questa invenzione; mentre è più facile, e senza discostarsi dalla verità, fissare dove questa invenzione venne adottata da parte degli Ebrei. Tutto porta a credere che questo popolo, il quale durante la lunga cattività a Babilonia aveva avuto modo di conoscere i caratteri assiri e la punteggiatura caldaica, abbia trovato nel suo seno uomini abbastanza illuminati per apprezzare i vantaggi dell'una e dell'altra scrittura e per sacrificare l'orgoglio e il pregiudizio nazionale che poteva tenerli ancorati ai loro antichi caratteri.

Il principale onore di questa operazione è da attribuirsi a Ezra, uomo di grande genio e di costanza poco comune. Fu lui che, poco dopo il ritorno degli Ebrei a Gerusalemme, ripristinò il Libro sacro della Nazione, riparò al disordine che le numerose rivoluzioni e le grandi calamità vi avevano apportato, e lo trascrisse interamente in caratteri assiri. É inutile ripetere qui quali furono i motivi e le circostanze delle aggiunte che ritenne conveniente inserirvi. Se Ezra ha commesso degli errori nel corso di una traduzione così importante, il male che ne risultò fu minimo: mentre il bene di cui divenne l'origine fu immenso. Poiché, se noi possediamo l'opera stessa di Mosè nella sua integrità, lo dobbiamo al lavoro di Ezra, alla sua ardita politica.

Ecco qual è stata la sorte del Sepher di Mosè. Questo libro prezioso, via via sfigurato di età in età, intanto per la degenerazione della lingua, e quindi per la sua perdita totale, abbandonato alla negligenza dei ministri del culto, all'ignoranza del popolo, alle deviazioni inevitabili della punteggiatura caldaica, si è conservato per virtù dei caratteri i quali, come tanti geroglifici, ne hanno portato il significato alla posterità.

 

Il recupero di Esdra e Daniele

Si è accennato al lavoro di recupero dei testi da parte di Esdra e Daniele, vediamo perché e come tale recupero si era reso necessario e come  si è sviluppato.

Mosè pur di origine ebraica ha un nome egizio e fu allevato nella famiglia faraonica. Fu quindi allevato secondo il costume sacerdotale nella conoscenza dell'origine della Parola, cioè della Parola Creatrice o meglio con la conoscenza di un linguaggio creatore conseguentemente sacro, secondo quanto è testimoniato nella Cronache VI°,22: "Fù ammaestrato in tutta la sapienza degli Egizi". Quale fosse questa lingua, questo linguaggio e come venisse usata, è Clemente Alessandrino a rivelarcelo: "Coloro che sono ammessi ad essere istruiti dai sacerdoti egizi subito vengono ammaestrati nella conoscenza dei principi e dell'uso delle tre scritture egizie; innanzi tutto la scrittura epistolografia (la scrittura comune), poi lo ieratico di cui si servono gli ierogrammati, e alla fine il geroglifico. Quest'ultima scrittura comprende due modi di interpretazione: l'uno in cui i segni della scrittura si prendono nel senso proprio e alla lettera, l'altro in cui gli stessi segni si interpretano in tre maniere differenti. Secondo la prima la metafora si interpreta per mezzo del nome proprio della cosa raffigurata nel carattere; secondo la seconda maniera il segno si interpreta in modo che si avvicina alla metafora; secondo la terza il segno si interpreta chiaramente con un altro oggetto seguendo un codice di enigmi definiti.

Così nella maniera letterale e imitativa, quando i sacerdoti egizi vogliono intendere il nome "sole", fanno di solito un cerchio, se vogliono intendere la luna, fanno una falce ecc.  Seguendo il metodo tropico, i sacerdoti egiziani, cambiando il significato abituale dei segni e sostituendolo con un altro accidentale, diversificano questi segni con aggiunte o modificano il loro aspetto in molte maniere. Con questo metodo volendo lodare i loro re scrivono racconti divini in "lingua teologica" con caratteri detti "anaglifi" (= immagini in vece di...).

 La terza maniera, allegorica, è questa: essi paragonano gli astri, eccetto il sole, a dei corpi di serpenti, a causa dell'obliquità dei loro movimenti e il sole al corpo di uno scarabeo, perché questo forma un oggetto a forma di globo e lo fa girare all'indietro.

 Si dice che questa specie di insetti vive sei mesi sulla terra e sei mesi sotto terra e che lasciando il suo seme nel globo genera, ma che non nasce mai femmina..."

Questo passo spiega così che è la lingua egizia geroglifica la lingua sacra dell'antichità e Mosè ne era a conoscenza. Da questa antica e occulta scienza egli generò i suoi libri che senz'altro scrisse e tramandò con i canoni suddetti.

Con l'esilio babilonese, il popolo ebraico entro in una specie di letargo dal quale invano tentarono di risvegliarlo i profeti, finché ne 559 Ac. Ciro concede il rimpatrio, ma solo nel 458 a. C. (circa un secolo dopo) Esdra, scriba e dottore della legge, così come ci narra Neemia, mostra al popolo riunito il libro di Mosè, LA LEGGE, ma lo deve tradurre in quanto il linguaggio originale è divenuto incomprensibile alla totalità della popolazione. Esdra e Daniele devono quindi inventare un nuovo alfabeto che rispecchi foneticamente la nuova lingua nata dalla contaminazione della lingua pre esilio con quella babilonese: questo è l'ebraico biblico che conosciamo.

I due dotti costruirono il loro alfabeto partendo dalla più piccola delle forme, il Till babilonese, vale a dire il chiodo: e con esso costruirono la Yud y e dai diversi assemblaggi di questa svilupparono tutte le altre lettere. [Sul significato e la grafia della lettera Yud, consultare in questa stessa sezione: La lettera Yud”].

L'ideazione grafica e la fonetica della lettera Yud vennero ambedue estratte dal geroglifico egizio /, che rappresenta la cannuccia tagliata da uno stelo di papiro con la quale gli scribi tracciavano la parola di Dio. Ma il fatto che il carattere ebraico Yud sia stato materialmente necessario alla formazione di ogni lettera dell'alfabeto ebraico, dimostra che questa idea venne ispirata dalla scrittura cuneiforme. Il genio dei creatori della scrittura ebraica consiste nel fatto che essi pervennero, mediante l'esiguo numero di 22 lettere, non solo ad esprimere il suono fonetico caratteristico della loro lingua, ma considerando la composizione dei vari segni, diedero una rappresentazione grafica delle diverse applicazioni delle forze della natura. Questa formazione dei singoli caratteri fece sì che le Scritture potessero mantenere i tre aspetti della lingua egizia, conservando così il significato occulto dei testi. Naturalmente questo significato simbolico veniva ristretto ai soli iniziati che conoscevano la chiave delle forme enigmatiche; questa chiave in verità non è mai andata perduta, anzi è giunta fino a noi, e messa in iscritto intorno al IV° secolo, sotto il nome di Qabalah.