Il Prima del Principio Per la stessa ragione per cui la lettera Beth è chiusa da tutti i lati e aperta davanti, così a voi non è permesso di ricercare ciò che è innanzi, ciò che era di dietro, ma solo il tempo attuale della Creazione. Talmud Cagh., 77 c Quindi (Cagh., II, I) "Chiunque riflette su queste quattro cose, sarebbe meglio che non fosse mai venuto al mondo: su ciò che è sopra, ciò che è sotto, ciò che è prima e ciò che e dopo." Pertanto "non ricercare quel che è troppo difficile, e quel che ti e nascosto non tentare di scoprire. Applicati a ciò che ti è permesso e non ti occupare delle cose segrete." Ben Sira (Ecclesiastico)
Come si legge nei versetti citati è meglio non indagare sulle condizioni precedenti il principio. Ma più che un divieto io credo che il Talmud cerchi con il suo dettato di evitare all'uomo un'ulteriore delusione: infatti, l'idea fondamentale della Qabalah che non deve mai essere ignorata, è l'assoluta inadeguatezza della creatura a penetrare il mistero dell'essenza intima di Dio e della possibilità, invece, di accedere alla sfera del numinoso attraverso le manifestazioni del divino. Questa regola, in qualche modo, vale anche nei confronti di certe manifestazioni del divino come, ad esempio, le condizioni precedenti l'apparizione della materia e dell'energia? Pensiamo di no. Ma tutto quello che possiamo tentare di descrivere è il primissimo istante successivo al principio e, come dice la scienza, possiamo andare a circa 10 elevato alla meno 43 secondi dall'inizio. L'universo, è sempre la scienza che parla, aveva allora le dimensioni di un granello di polvere che poteva sfuggire perfino alla vista di un microscopio non abbastanza potente. In quella fase iniziale tutta la materia era concentrata nell'unico minuscolo punto centrale. La temperatura era di 10 elevato a 32 gradi, vale a dire centinaia di miliardi di gradi, di gran lunga superiore a quella del punto centrale del Sole che raggiunge appena, si fa per dire, i 15 milioni di gradi. Questa lunga storia complessa e articolata, con spettacolari esplosioni, temperature incredibili, tempi lunghissimi, è senza dubbio straordinaria e affascinante, ma ci sembra che proprio nuova non sia, anzi di averla già letta da qualche parte. Infatti, nel Commento alla Torah, Moshe ben Nachman (Nachmanide 1194-1270) descrive il racconto del principio dell'universo in questi termini: “In realtà tutto quanto è stato fatto sotto il sole o nelle regioni superiori non venne all'esistenza direttamente dal nulla, come dal suo principio primo, ma Dio produsse dal nulla assoluto e totale una sostanza primordiale (yesod) molto sottile in cui non c'era esistenza (mammash) trattandosi di una potenza produttrice (koach mamzi) preparata a ricevere la forma (surah) e a passare dalla potenza (koach) all'atto (po'al). Essa è la materia primordiale che fu chiamata dai greci hyle; dopo la materia primordiale Dio propriamente non creò più nulla, ma modellò e trasformò, producendo da essa tutte le cose, rivestendole delle loro forme e ordinandole. Sappi dunque che i cieli e tutto quanto c'è in essi sono costituiti da un'unica sostanza, così come la terra e tutto quanto contiene, consistono in un'unica sostanza (chomer echad) [...] [...] Ora questa materia primordiale che i greci chiamano hyle, nella lingua santa si chiama Tohu, parola che deriva dall'espressione dei maestri: Be-tohe (ossia): quando si stupisce riguardo alle realtà passate [...] Infatti se un uomo avesse voluto attribuire a [questa materia primordiale] un nome, sarebbe rimasto attonito e si sarebbe determinato a chiamarla con un altro nome, poiché essa non aveva ancora rivestito per nulla alcuna forma così che egli fosse in grado di attribuirle il nome. La forma poi di cui è rivestita questa sostanza primordiale nella lingua santa si chiama Bohu, parola che è composta da bo e hu (ossia "in essa c'è [sostanza]") [...] [...] Ora con questa materia prima creata che è come un piccolissimo punto privo di sostanza furono formati tutti gli esseri che sono nel cielo e sulla terra. (Dal Commento alla Torah: introduzione e commento a Genesi 1-3. Testi scelti, tradotti da Mauro Perani e Saverio Campanini, in Nachmanide esegeta e cabalista di Moshe Idel e Mauro Perani, Giuntina, 1998) In sostanza, ci sembra di capire che anche per Nachmanide tutta la materia dell'universo fosse concentrata in un punto piccolissimo, che, come dicono i maestri, era come un grano di senape che è un modo tradizionale per indicare la più piccola dimensione dello spazio. Quella materia non aveva sostanza, ma la capacità di ottenere sostanza e forma. Quella pseudo-sostanza senza consistenza, al punto da apparire eterea, formò tutto ciò che è esistito, che esiste e che esisterà. Dalla concentrazione iniziale in quella sede minuscola, la sostanza si espanse, espandendo così l'universo. Nachmanide aveva avvertito che non dava libero sfogo alla sua immaginazione, ma che attingeva a situazioni di tipo particolare e diverso. Infatti, dichiarava esplicitamente che la sua descrizione poteva risultare incomprensibile ai lettori che non hanno ricevuto la saggezza nascosta: Ammonisco tutti coloro che guardano in questo libro di non cercare spiegazioni alle mie allusioni riguardo alle questioni nascoste della Torah, perché vi garantisco che il lettore non afferrerà le mie parole con il ragionamento. Per ricavare dalla Bibbia tutte le verità nascoste occorre dunque H'ocmâ nistarah che letteralmente significa la saggezza nascosta che è un'espressione che indica la Qabalah e cioè lo studio esoterico. La data della Creazione Andiamo oltre e, come abbiamo visto, a cominciare dalle scoperte di Lemaitre gli scienziati fanno risalire la creazione, anzi meglio l'età del mondo, a circa 15 miliardi di anni. Ma per la tradizione ebraica il Berescith barà, secondo il computo del Calendario ebraico, risale a 5768 anni fa. Il divario con la visione scientifica sembra incolmabile. Ma la Qabalah ha spiegato che 5768 anni fa è stato creato qualcosa che la scienza non ha scoperto e che forse non scoprirà mai cioè l'anima umana soffiata nella narici di Adamo. Ciò premesso, la Qabalah, pagato il suo contributo al racconto biblico, non si lascia intimorire dai calcoli della scienza, perché da sempre ha sostenuto che il computo degli anni, così come li consideriamo noi di 365 giorni per ogni anno, incomincia soltanto dal primo Uomo, da Adamo. Prima si parla di giorni, la Bibbia dice fu sera e fu mattina il giorno uno, fu sera e fu mattina il secondo giorno, e così via fino al sesto giorno, ma non sono giorni umani. In effetti, la parola "giorno" può indicare qualunque periodo di tempo. Infatti, è verosimile ritenere che la parola ebraica che indica giorno, ioni, corrisponda alla parola italiana eone, che è un termine abbastanza raro e che indica un periodo di tempo di solito molto lungo. Spesso viene utilizzato per indicare quei periodi di 2100 anni circa che segnano il passaggio da una età astronomica ad un'altra, passaggio dovuto al fenomeno della precessione degli equinozi. In perfetta linea con la visione scientifica anche la Qabalah riconosce che il concetto di tempo è da considerare qualcosa di profondamente relativo. Ogni punto dell'Universo, ha detto Einstein, ha un suo orologio che batte a una velocità diversa da quella di qualsiasi altro punto. Il tempo è espansibile, è comprimibile, come un pezzo di gomma: se ci si muove a una certa velocità, rallenta, se ci troviamo in presenza di una massa, resta condizionato dalla sua grandezza e così via. Inoltre, possiamo dire che il tempo, anche a livello psicologico, è un'esperienza soggettiva. Supponiamo che ci sia un osservatore qui in Terra - quindi condizionato dal nostro campo gravitazionale e dalla massa della Terra - che sta misurando un certo tempo e che alla fine dei suoi calcoli stabilisce che il tempo da lui misurato è di 15 miliardi di anni e cioè quello che per gli scienziati è l'età del cosmo intero. Ma se quest'osservatore si astrae, si alza dalla terra, diventa una coscienza che può guardare al cosmo come se fosse dentro a un bicchiere, il tempo, scientificamente parlando, scorre diversamente tanto da poter essere di soli sei giorni. Di tutto ciò era sicuramente convinto Rabbi Isacco d'Acco, un cabalista di 600 anni fa, molto prima di Einstein e che della dilatazione del tempo non ne sapeva molto, ma che tuttavia si diede anch'egli a calcoli e ragionamenti, i quali, però, partivano da un'altra prospettiva e che possiamo più o meno riassumere in questo modo: Tutti sanno - egli diceva - che un giorno per Dio sono come mille anni umani perché c'è un versetto dei Salmi che lo dice; di conseguenza, anche secondo le tradizioni cabalistiche prece denti, se un giorno di Dio vale mille, i sei giorni della Creazione fanno seimila anni. Ma la Qabalah insegna che ci sono stati dei cicli precedenti, e questo che noi viviamo è il settimo e ultimo di una serie di cicli ognuno dei quali è durato sette mila anni. Quindi prima di questi sei giorni - che sono scritti nel Genesi - sono passati 42.000 anni. Ma un momento, 42 mila anni di chi? Certamente non umani, perché Adamo come Uomo compare solo nell'ultimo ciclo, quindi sono 42 mila anni divini. Ora, se un giorno divino sono mille anni umani, un anno divino sono 365 mila e rotti anni umani. 42 mila anni divini fanno 15 miliardi e rotti di anni. La stessa cifra a cui 600 anni dopo sono arrivati gli scienziati in vari modi e a cui Rabbi Acco era arrivato con un ragionamento di due minuti. A questo punto credo proprio di dover accogliere il suggerimento del Sepher Yetzirah: Trattieni la bocca dal parlare e il cuore dal riflettere, che non significa solo stare in silenzio, ma sospendere il flusso del pensiero discorsivo e rifugiarsi nella meditazione. Per facilitare l'operazione vale forse la pena di osservare il cielo e basta, senza nemmeno provare, come Dio disse ad Abramo, a contare le stelle, ben sapendo di non poterlo fare. Più che con la complicità della scienza, che probabilmente domani avrà già modificato le sue idee, mi piace pensare che con la H'ocmâ nistarah, la saggezza nascosta di Nachmanide o di Isacco d'Acco forse abbiamo avuto la conferma che nelle stelle c'è la risposta alla creazione, allo spazio e al tempo e anche se la bocca si precipita a parlare ed il cuore a riflettere, tanto per continuare a citare il Sepher Yetzirah, non possiamo tenere conto della disposizione talmudica che suggerisce di fermarsi alle intestazioni delle sezioni di quegli episodi biblici che abbiamo innanzi indicato, ma consapevoli del divieto dobbiamo continuare la ricerca senza avvertire delusioni per la nostra pochezza ma per collocarci nel posto che ci compete. • Indice della Sezione •
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