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Gli
Angeli
nella mistica ebraica
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L’universo, dice il Talmud, è abitato da due categorie di
esseri: gli Elyonim (“quelli di sopra”) e i Tachtonim (“quelli
di sotto, gli uomini”). Della prima categoria fanno certamente
parte quelle creature spirituali intermediarie tra Dio e gli
uomini che nella Bibbia sono comunemente denominate angeli o
messaggeri (greco aggeloss, ebraico malkhim) o spiriti (gr.
pneumata, ebr. ruhoth).
Questi intermediari tra Dio e l’uomo, questi esseri superiori,
frequentemente ricordati nelle narrazioni bibliche, si ritrovano
in tutte le religioni e mitologie e spesso nell’ambito di esse
acquistano le sembianze di spiriti antropomorfi, benevolmente
consapevoli delle vicende terrene, talora messaggeri di vendetta
o infernali apportatori di calamità. Divisi in differenti
categorie, ciascuna delle quali con compiti particolari, come ad
esempio gli “utukku” babilonesi delegati a tormentare una parte
speciale del corpo umano, oppure occupati a combattersi l’un
l’altro nel perdurante antagonismo del bene e del male, come
nello Zoroastrismo, angeli e demoni che siano, hanno, sotto la
loro molteplice diversità, la comune caratteristica di essere
creature spirituali, che prestano un servizio immediato a Dio e
vagano tra la dimora celeste e la terra per compiere il loro
ufficio di protettori o di malevoli insidiatori.
Gli Angeli nella Bibbia
Possiamo senz’altro affermare che la Bibbia reca una
testimonianza primaria e autorevole sulla storia degli angeli,
sulla loro vita e sulla loro natura, anche se, in essa,
l’argomento non è oggetto di una esposizione sistematica o di un
trattato rigidamente tecnico, ma si presenta piuttosto come il
risultato di un felice miscuglio del certo, dell’estremamente
probabile e del discretamente probabile.
Cominciamo dunque con il precisare che, come nelle altre
tradizioni, anche per gli angeli biblici nessun dubbio circa la
loro spiritualità, che, per quanto non espressamente affermata,
sembra presupposta dal fatto che il loro corpo è soltanto una
parvenza (Tob. 12,19).
Inoltre dalla Scrittura apprendiamo che gli angeli non
appartengono alla sfera terrestre, tanto da essere indicati come
“santi” (Deut. 33,2) e da venire chiamati “figli di Dio” (Giob.
1,6; 2,1) che però non perdono la loro natura finita e
imperfetta, la quale li distanzia incommensurabilmente da Dio
(Es. 15,11) e fa sì che l’uomo sia poco meno di loro (Sal. 6,6).
Infine anche gli altri aspetti innanzi indicati sono presenti
negli angeli biblici.
Infatti, nel paradiso terrestre già compare un tentatore sotto
forma di serpente (Gen. 3, 1-15) sul quale il testo sacro non
fornisce ulteriori elementi atti a precisarne la personalità, ma
lascia supporre trattarsi di un essere superiore decaduto.
Poco oltre, a dimostrazione della funzione di servizio degli
angeli vediamo che, in seguito alla caduta dei progenitori, «Dio
pose ad Oriente del giardino dell’Eden i Cherubini, che
roteavano da ogni parte una spada fiammeggiante» ( Gen.3,24).
Fin qui, dunque, niente di nuovo nell’angelologia biblica, anzi
appare di non facile soluzione il problema dell’influsso
esercitato sull’angelologia giudaica dalla dottrina degli
spiriti (e più precisamente della demonologia) degli
Assiro-Babilonesi e dei Persiani.
La risposta che possiamo dare al riguardo è che mentre da una
parte nulla impedisce di pensare che si tratti di una
derivazione dall’Oriente, dall’altra in queste concezioni
orientali dobbiamo vedere l’eco di una tradizione oggettivamente
generale e comune a tutta l’area culturale di cui trattasi.
D’altra parte che l’angelologia giudaica non sia una semplice
eredità derivata agli Ebrei dal tempo dell’esilio, lo dimostra
chiaramente il fatto che degli angeli già si parla nei più
antichi libri della Bibbia scritti anteriormente all’esilio
medesimo.
Cercando di meglio e ulteriormente caratterizzare le creature
angeliche che compaiono nelle Scritture, possiamo constatare
che, dal Genesi in poi, vale a dire nei vari Libri della Bibbia,
c’è una notevole uniformità di presentazione della figura degli
angeli. Infatti, il tipo angelico, almeno in apparenza, non muta
mai.
I Cherubini posti davanti al Paradiso, affinché roteando intorno
la spada fiammeggiante custodissero la via dell’albero della
vita (Gen. 3,24), si vestono delle stesse misteriose
caratteristiche delle angelofanie d’Ezechiele.
Tutto quello che si sa lo si sa fin da principio e i loro modi
sono sostanzialmente sempre gli stessi, benché nel corso degli
eventi biblici dispieghino ora una specie di attività ora
un’altra: costituiscono l’innumerevole coorte che circonda il
trono di Dio (Dan. 7,10), è loro compito rendere gloria a Dio e
cantare le sue lodi (Is. 6,3), sono pronti a combattere per lui
(Gios. 5,14) e trasmettono agli uomini quanto Egli comanda (Gen.
22,11).
Ciò premesso dobbiamo notare che le Scritture non parlano di
queste creature del mondo invisibile; ex professo non ne parlano
mai allo scopo di fare qualche “rivelazione” sulla loro
misteriosa esistenza, ma li menzionano ogni qual volta entrano
nella storia umana o nella storia del popolo di Dio.
Nulla è più casuale o imprevisto dell’intervento degli angeli in
questa o in quella parte della storia sacra. Non è mai una cosa
che si possa prevedere. Non c’è una serie di avvenimenti dove a
un dato punto occorre la presenza di un angelo.
La stessa cosa che in una data occasione viene compiuta
attraverso il ministero angelico, in un altro momento viene
lasciata al suo svolgimento naturale.
Alla luce di quanto precede si può trarre una prima conclusione
e cioè che nella Bibbia il mondo angelico appare come una
potenza completa, autosufficiente, inaccessibile, che il corso
degli eventi umani non può in nessun modo intaccare, mentre
questo corso può da essi essere influenzato.
Una particolare situazione, alla quale vale la pena di prestare
attenzione e riflessione, riguarda il fatto che la Scrittura non
sempre distingue con chiarezza tra intervento angelico e
intervento divino: il visitatore celeste che è chiamato “angelo”
passa facilmente a ruoli divini e ciò particolarmente nella più
antica Angelofania della Bibbia.
Così ad esempio il messaggero celeste che parlò ad Agar, la
moglie schiava di Abramo, è nello stesso tempo angelo e signore
di vita: E la trovò nel deserto presso la fonte di acqua che è
nella strada di Sur nel deserto, l’angelo del Signore che le
disse: «Agar, serva di Sarai, di dove vieni? E dove vai? Ed ella
rispose: Fuggo dal cospetto di Sarai, mia padrona. E l’angelo
del Signore a lei: Torna dalla tua padrona e sottomettiti». Ed
aggiunse: «io moltiplicherò grandemente la tua posterità che
sarà tanto numerosa da non potersi contare». (Gen. 16,7-10)
Viceversa, sempre nel Genesi, troviamo manifestazioni angeliche
nettamente distinte dal divino.
Così, forse nella maniera più chiara e netta, è nel sogno di
Giacobbe: Vide in sogno una scala che poggiava sulla terra e con
la cima toccava il cielo: e gli angeli di Dio salivano e
scendevano per essa, mentre il Signore appoggiato alla scala gli
diceva: «Io sono il Signore Dio di Abramo tuo padre e il Dio di
Isacco. Io darò a te e alla tua stirpe la terra in cui riposi».
(Gen. 28, 12-13) Infine, per quanto riguarda la loro presenza
“storica” nelle Scritture, è da notare che vi sono anche dei
grandi vuoti, così, ad esempio, non si fa cenno agli angeli nel
lungo periodo che precede il diluvio, né essi si presentano come
soccorritori di Noè. Il mistero angelico come tale comincia con
la storia dell’uomo, con la storia del popolo di Dio.
Nel racconto della creazione non se ne fa il più lontano accenno
e il fatto che dello “spirito maligno” si parli molto tempo
prima di qualsiasi altra potenza del mondo invisibile, mostra
chiaramente che gli scrittori ispirati non si sono mai prefissi
altro compito che non fosse la storia dell’uomo e delle sue
vicissitudini. Gli spiriti, dunque, non sono il tema della
Bibbia, la quale, pur rivelando molte cose del mondo angelico,
lo fa solo incidentalmente e nella misura in cui interessa il
bene eterno dell’uomo.
Tenendo conto di questo carattere relativo dell’angelologia
nella Bibbia, non possiamo attenderci che frammenti di storia
angelica, anche se, forse, si tratta di frammenti preziosi e
istruttivi.
Assai numerosi sono i passi scritturali dove si parla degli
angeli, i quali sono presentati come esseri personali, potenti e
intelligenti, distinti dagli uomini e da Dio. Lo spazio a
disposizione e la natura di questo lavoro non ci consentono di
citare o spiegare tutte le varie allusioni della Scrittura agli
angeli; ciascuno lo può fare da sé, se vuole. Ma qui, per
concludere questo aspetto “informativo” del tema possiamo, in
linea generale, dividere i riferimenti della Scrittura agli
angeli in quattro classi: quelli “storici”, quelli “liturgici”,
quelli “teologici” e quelli “profetici”.
Per l’angelofania storica possiamo fare riferimento a tutti quei
passi dove si vedono gli angeli compiere un’opera, portare un
messaggio, prestare il loro aiuto, offrire al Signore le
preghiere degli uomini (Tob. 12,12; Zac. 1,12; Gen. 28,12),
proteggere gli uomini (Gen. 24,7; 48,16; Es. 23,20; Sal 33,8;
90, 11-13; Tob. 5,27; Giudit. 13,20) e le stesse nazioni
(infatti si parla di angelo degli Ebrei, dei Persiani, dei
Greci: Dan. 10,4-21).
Della loro opera si vale pure la giustizia divina per colpire i
peccatori (Gen. 19,11; 2 Sam. 24, 16-17; Prov. 17,11). Per i
riferimenti liturgici considereremo i momenti in cui gli angeli
appaiono nella loro funzione di adoratori di Dio. Il riferimento
teologico si può rintracciare in quei brani dove si accenna agli
angeli in relazione a una realtà del mondo soprannaturale.
E per finire, possiamo ritrovare l’aspetto profetico nei momenti
in cui all’angelo si affidano misteriose future attività.
Pluralità, Denominazioni e Gerarchie Angeliche
Sebbene ricorra sovente l’espressione “l’angelo di Dio”, non
appare tuttavia dubbia la pluralità degli angeli (Gen. 18,12).
Gli angeli formano la corte dell’Altissimo (Is. 6, 1-4; Ez. 1;
Tob. 12) sono numerosissimi e costituiscono le armate poste al
suo servizio (Gen. 32, 2- 3; Dan. 7,10).
Oltre che angeli, queste creature spirituali sono indicate anche
con altre denominazioni e cioè: “figli di Dio” (Giob. 1,6),
“santi” (Zacc. 14,5), “esercito di Dio” (Gios. 5, 4-14), oppure
“esercito del cielo” (1 Re 1,22.19), “Cherubini” che sono quelli
che fanno la guardia al Paradiso terrestre (Gen. 3,24);
“Serafini” che sono quegli esseri alati che Isaia (6,2)
contempla nella celebre visione analoga all’apparizione di
Ezechiele che vede quattro esseri vivi in forma umana.
Nonostante i diversi appellativi, prima del Libro di Daniele,
non si trovano nella Bibbia nomi di angeli. Si conoscono
soltanto i nomi di tre angeli: Michael (Dan. 10,13-21; 12,1),
Gabriel (Dan. 8,16; 9,21), Rafael (Tob. 12,15). L’allusione a
Michael come “uno dei primi principi” (Dan. 10,13) e a Rafael
come “uno dei sette che stanno innanzi al Signore” (Tob. 10,13)
ha fatto pensare a una gerarchia angelica, ma, al riguardo, a
differenza di quanto avverrà nel Cristianesimo, nella Bibbia non
si riscontra alcuna chiara indicazione, anche se poi nel Talmud
e nei M i d r a s h i m, – la tradizione orale – senza pervenire
alle classificazioni degli angeli in gruppi differenti, alcuni
di essi come Michael e Gabriel sono indicati come “i più
eminenti fra tutti gli angeli” e pur avendo delle funzioni ben
precise, talora vengono menzionati come cooperanti allo stesso
compito, il che fa pensare a un lavoro di équipe e quindi a un
suo coordinamento. Tuttavia il Talmud non arriverà mai a
costituire ben nove categorie angeliche divise in tre differenti
sfere, la prima dei consiglieri divini che comprende Serafini,
Cherubini e Troni, la seconda dei governatori celesti che
comprende Dominazioni, Virtù e Potestà e infine la terza dei
messaggeri celesti costituita da Principati, Arcangeli e Angeli.
Presto tutte queste categorie, fra l’altro, avranno anche uno
stretto rapporto di parentela con le energie planetarie.
Infatti, si dirà che se l’Astrologia permette di comprendere
l’esistenza e il ruolo di certe energie, l’Angelologia insegna
che gli angeli sono entità spirituali che permettono di ricevere
queste forze planetarie.
E fin qui il discorso è ancora accettabile, anche se
discutibile, quanto meno perché nella più classica visione
astrologica ebraica e cabalista le potenze planetarie sono già
degli intermediari della energia superiore e quindi gli angeli
sarebbero ulteriori intermediari. Ma a prescindere da queste
considerazioni, purtroppo dall’ampliamento della scena celeste
fino a renderla piena e affollata è stata originata tanta
letteratura occultistica che spesso ha sminuito gli angeli da
“esseri degni di stare presso il Trono di Gloria”, a creature
più o meno particolari, un po’ “tuttofare”, ora come “geni
planetari” dominatori e controllori di ogni frazione dello
spazio e del tempo, ora come protagonisti più o meno
apocalittici di vicende che maghi e maghetti di ogni tipo sono –
a loro dire – in grado di controllare e di dirigere.
Gli Angeli nel
Talmud.
Metatron
Tutto questo esula dal nostro tema dell’angelologia biblica,
pertanto lasciamo ad altri la responsabilità delle gerarchie
angeliche e noi torniamo al Talmud, al quale abbiamo appena
accennato, per completare la figura angelica così come si
proietta nella letteratura post-biblica (Apocrifi e
Pseudoepigrafici compresi) culminata nel Talmud stesso e nei
Midrashim. Al riguardo, diciamolo subito, l’angelologia
talmudica nel suo insegnamento di fondo, sostanzialmente, non si
discosta dalla visione biblica, anche se si compiace di ampliare
la scena celeste, ma lo scopo è tutt’altro che disprezzabile.
Infatti, il motivo fondamentale di questa angelologia non è
tanto quello di trovare ulteriori intermediari tra Dio e il
mondo, ma il vero scopo è piuttosto la glorificazione di Dio,
perché nella sua esperienza quotidiana, la gente d’Oriente, con
il suo amore per il pittoresco, per i colori smaglianti, è
abituata a vedere il sovrano circondato dai più alti onori e
dalla massima riverenza e naturalmente quanto più sfarzosa è la
corte del sovrano e più numeroso il seguito, tanto maggiore è
l’ammirazione che egli desta. Per quanto riguarda la gerarchia
angelica anche il Talmud tace.
Tuttavia nel Midrash Rabbah (Grande Midrash, una specie di
commento sul Pentateuco e sui cinque Rotoli che si leggono
durante il servizio sinagogale nel ciclo liturgico annuale),
esattamente nel Numeri Rabbah 11,10, troviamo una mini gerarchia
angelica, in cima alla quale si trovano i quattro arcangeli che
corrispondono alle quattro divisioni dell’esercito di Israele:
Come il Santo che benedetto sia, creò quattro venti [cioè i
quattro punti cardinali]e quattro vessilli [per l’esercito di
Israele] così pure creò quattro angeli per circondare il suo
Trono: Michael, Gabriel, Uriel e Rafael. Michael sta alla destra
di esso e corrisponde alla tribù di Reuben; Uriel sta alla
sinistra e corrisponde alla tribù di Dan, che era stanziata al
nord; Gabriel è davanti e corrisponde alla tribù di Jeudah, come
pure a Mosè ed Aaron che si trovano ad est; Rafael è dietro e
corrisponde alla tribù di Efraim che era ad ovest. Michael e
Gabriel sono i più eminenti, i grandi principi, ma vi sono anche
altri principi senza nomi particolari. Questa qualifica finirà
poi con il diventare singolare e si parlerà del cosiddetto
“principe del mondo” che si identificò con una figura di
particolare interesse, l’angelo Metatron, del quale non è
superfluo occuparsi perché ebbe una speciale posizione nella
dottrina esoterica, dal periodo tannaitico in poi, e che arrivò
a identificarsi addirittura con la figura divina.
Gli scavi di
Qumran, infatti, hanno portato alla luce, fra
l’altro, anche il
Libro di Enoch,
sia in ebraico che in aramaico, e di cui era sopravvissuta,
nella sua interezza, solo una traduzione etiopica. Com’è noto si
tratta di un testo eminentemente apocalittico e di grande
importanza per la Qabalah e in esso compare Metatron, il
Principe dell’Universo, che possiede le chiavi di tutto ciò che
esiste.
Proprio in questo Libro si parla di un gruppo di angeli che
vedono il volto del loro re e sono appunto chiamati “Principi
del Volto”, e tra essi spicca Metatron che finirà con
l’assumere, lui solo, l’appellativo di “Principe del Volto”.
Nel Talmud si parla di questo angelo in tre punti (Chaghigah –
Offerta festiva -15a; Sanhedrin – Tribunali - 38b; A.Z. Abodah
Zarah – Idolatria - 3b).
Premesso che esiste un’antica leggenda cabalista secondo la
quale quattro saggi entrarono nel “Pardes”, cioè ebbero le loro
visioni mistiche e giunti innanzi al “trono di gloria” ebbero
reazioni diverse: uno addirittura si suicidò, il secondo
impazzì, il terzo diventò apostata e solo uno, rabbi Aqibà,
dicono gli scrittori cabalisti, entrò e uscì in pace; nel primo
trattato si fa riferimento a Elisha ben Avuyah – l’apostata
detto Acher (“altro, diverso”) – che nella sua visione vide
Metatron seduto, mentre tutti gli angeli sono obbligati a stare
in piedi alla presenza di Dio, dal che dedusse, ed ecco
l’apostasia, forse vi sono due poteri, frase che poteva minare
alle basi il monoteismo ebraico.Un’analoga posizione
sovrannaturale si riscontra anche nell’episodio in Sanedrin.
Metatron deriva probabilmente dal latino Metator, precursore, e
l’angelo di questo nome sarebbe quello che “precedeva” gli
Israeliti nel deserto (Es. 23,20).
Un tempo dovette essere tenuto in gran venerazione se venne
fatto uno speciale divieto di rivolgergli preghiere. Un sadduceo
disse a Rabbi Idith : È scritto: E a Mosè egli disse: Sali al
Signore (Es. 25,1). Si sarebbe dovuto dire Sali a Me!» Rabbi
Idith rispose: Chi parlava era Metatron, il cui nome è quello
stesso del suo Signore, poiché è scritto: Il mio nome è in lui
[cioè nell’angelo] (Es. 23,21). In questo caso – disse il
Sadduceo – noi dovremmo pregarlo. No – fu la risposta del
Dottore – poiché il contesto dichiara: Non scambiar[ m i ] con
lui [questa è l’interpretazione della espressione ebraica che,
letteralmente sarebbe: Non ribellarti contro di lui]. Se è così
perché il verso continua: poiché Egli non perdonerà la vostra
colpa. Infine nell’ultimo episodio del Talmud (A.Z, 3b) Metatron
compare come colui che coopera con Dio nell’insegnare ai
giovani, cioè Metatron diventa un depositario di tradizioni, ma
mentre Dio dedica le ultime tre ore del giorno a questo lavoro,
Metatron vi si dedica tutto il resto del giorno.
Ci siamo un po’ attardati su Metatron, non solo perché, come si
è accennato, egli è la figura centrale dell’angelologia
talmudica,ma anche per sottolineare lo sforzo del Talmud che
tenta di conciliare tradizioni diverse che possono, come nel
caso di Elisha ben Avuyah diventare pericolose o sconcertanti.
Gli Angeli caduti
Dopo Metatron, per meglio caratterizzare l’esercito angelico nel
suo complesso, e forse per completare l’aspetto informativo ed
esteriore, dovremmo anche affrontare la storia degli angeli
caduti, di cui nella Bibbia non troviamo molto, ma che figura
nella letteratura apocalittica e manca nel Talmud e nel Midrash.
Al riguardo, senza aprire un nuovo capitolo, è forse sufficiente
precisare che anche nella storia degli angeli del male non
troviamo elementi particolari che escono dalle linee generali
che abbiamo più di una volta indicate.
Negli scritti del periodo rabbinico questi angeli altro non sono
che un’invenzione per esprimere la collera divina e loro
funzione è quella di mettere in esecuzione le deliberazioni
prese da Dio per punire la malvagità degli uomini. Una
particolare menzione merita la figura del Satan, che, pur
appartenendo alla sfera del male, non è proprio la figura
diabolica della tradizione occidentale, ma ha dei compiti ben
precisi.
Infatti, innanzitutto è l’accusatore e cioè colui che presenta a
Dio le colpe degli uomini, è cioè il pubblico ministero del
Tribunale celeste.
Ha poi il compito di tentatore e infine a lui è demandato il
compito di comminare la pena di morte. Esistono anche vere e
proprie figure demoniache e malefiche nelle quali non si fa
molta fatica a riconoscere la sopravvivenza di antiche divinità
cananee.
Queste figure sono abbastanza frequentemente connesse al deserto
e ai mali che vengono da esso. Il deserto è, infatti,
normalmente considerato la sede elettiva delle forze demoniache.
Si parla dei seirim, i “demoni-capri”, il cui nome significa
“pelosi” che ricevevano sacrifici dagli ebrei. Si parla anche
dei seadim che sono demoni “neri” dei quali è detto che gli
ebrei prevaricando sacrificarono i loro figlioli e le loro
figliole.
Un unico passo (Is. 34, 14) ci parla di
Lilith,
indicato come “spettro notturno” che abita nel deserto. In
effetti, corrisponde al demone babilonese Lilitu,
originariamente demone della tempesta e poi della lussuria.
Nel rituale di espiazione (Lev. 16) appare il demone Azazel il
cui nome suggerisce qualche rapporto con il capro (azaz =
“essere forte e orgoglioso”).
A tale demonio viene inviato, ai limiti del deserto, il famoso
capro espiatorio.
Interpretazione esoterica dei Cherubini e dei Serafini
Ora che abbiamo in qualche modo facilmente ricostruito con una
più o meno attenta lettura dei Testi, la sede e soprattutto i
suoi lettori ci stimolano a qualche riflessione o a qualche
considerazione che guardi un po’ più “dentro”, più “dietro” alle
cose. In questo può soccorrerci l’esoterismo che si basa su una
corretta interpretazione del testo biblico – cioè la Qabalah – i
cui metodi di indagine andremo ad applicare alle più importanti
figure angeliche che compaiono nella Bibbia, vale a dire i
Cherubini che vengono posti a guardia del paradiso terrestre
(Gen. 3,24) e i Serafini che, in un certo senso e come vedremo,
rappresentano il loro aspetto complementare.
A ben considerare, queste due categorie di angeli sono indicate
come quelle di primaria importanza e d’altra parte non è
difficile vedere riassunte in esse tutte le possibili funzioni
che abbiamo visto assegnate a queste creature spirituali.
Infatti, i Cherubini chiaramente dimostrano il ruolo “servente”
degli angeli, la funzione di assolvimento di compiti
particolari, l’aspetto semplice ed esterno, mentre i Serafini
sono per loro natura un po’ più, per così dire, partecipi di
sfere e di attività più articolate e complesse, interne o
addirittura “misteriose”.
Abbiamo parlato di principi e tecniche cabaliste da applicare e
ora, senza fare grandi divagazioni, è forse opportuno indicare
qualcuno di questi principi anche per poter meglio seguire
l’iter mentale del cabalista nel suo lavoro speculativo, il che
peraltro non presenta particolari difficoltà. Infatti, andando a
indagare su due categorie o meglio su una manifestazione duale
stiamo già rispettando un principio cabalistico, e non solo
tale, secondo il quale la dualità è la base del mondo creato, la
realtà ha natura dualistica, tutto è costituito da coppie di
opposti. In ogni cosa esistente è presente una polarità che
viene riassunta e resa archetipale nell’opposizione uomo-donna,
maschile e femminile: ogni essere vivente, che sia angelico o
terrestre, nei mondi superiori o in quelli inferiori ha una
controparte.
Addirittura – dicono i Maestri – all’interno della stessa
divinità c’è una polarità di questo genere, che, per quanto sia
difficile da individuare in termini di maschile e femminile, può
essere facilmente distinta e concepita come “interno” ed
“esterno”.
La presenza delle due dimensioni divine, rivelata e nascosta,
viene ricordata in ogni benedizione ebraica, che segue sempre il
modello: Benedetto sei Tu Ha-Shem che ha . . ., cioè, durante la
benedizione si passa dalla seconda persona singolare, che indica
la presenza rivelata dell’interlocutore, alla terza persona
singolare, che indica il suo non essere presente.
Prima di chiudere questa apparente divagazione dal tema, ricordo
che un ulteriore principio fondamentale nell’esegesi biblica è
quello secondo il quale: Chi afferra un pezzo, una parte
dell’essenza, ha afferrato l’essenza intera.
Ecco perché la Qabalah sovente si sofferma, per pagine e pagine,
anche su una sola singola lettera. È questo, oggi, un principio
di grande attualità nel cosiddetto approccio olistico al mondo.
Del resto è appena di ieri la scoperta del DNA o del “genoma”,
la parte dell’essenza che è l’essenza stessa della vita. C’è
infine un altro principio che guida non solo l’esegesi biblica,
ma anche l’Halakà (la parte normativa della Legge orale,
l’elemento principale del Talmud) e altri aspetti dell’Ebraismo
secondo il quale: Tutto segue la qualità degli inizi.
Quindi, quando un elemento, quale che sia, è posto all’inizio di
una serie, quest’elemento è il seme di tutto ciò che poi si
svilupperà, esso contiene in sé un germe che, se opportunamente
analizzato, dimostra che possiede già l’edificio intero.
Così dovrebbe essere anche per questi semplici angeli posti a
guardia del giardino dell’Eden. Ciò che avvenne in quel giardino
è storia nota: la solita, ma forse logora, contrapposizione
bene-male fa da sfondo ai primi eventi umani, e pone le basi di
un’etica tradizionale, millenaria.
L’uomo, posto davanti a un modello dualistico, che non lascia
alternative, finisce con lo scegliere il male con conseguenze
disastrose: Adamo ed Eva, fra Dio e il Serpente, sembrano
protagonisti, per così dire, di “seconda classe”.
Con il sostegno delle sottili tecniche di decodificazione della
Qabalah, cerchiamo di cogliere il significato profondo delle
vicende e, come primo approccio, leggiamo con attenzione il
senso letterale dei primi versetti del famoso capitolo 3 del
Genesi, dove in verità non troviamo riferimenti che
caratterizzano
il serpente
come soggetto portatore di “malvagità”, ma di lui si dice solo
che era arun, “astuto, nudo” il che, prima facie, non sembra
definire qualità negative o cattive.
Ma l’astuzia indubbiamente c’è e si manifesta in quel sottile
modo di formulare domande (Gen. 3):
1) Dio vi ha proprio detto: Non mangiate di nessun albero del
giardino? Rashi, il grande commentatore della Torà, così traduce
la domanda: È vero che Dio ha detto, Forse Dio ha detto. Sembra
quasi che il Serpente voglia che sia l’interlocutrice a
qualificare le disposizioni definendole restrittive, severe, non
proprio prive di sanzioni. Ma Eva puntualmente sposta l’accento
dalle sole proibizioni:
2) Del frutto di qualunque albero del giardino noi possiamo
mangiare;
3) ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino Dio ha
detto: Non mangiatene e non lo toccate, altrimenti morrete.
A questo punto il Serpente, come si suole dire “cambia le carte
in tavola”, prospetta tutt’altra realtà e dice una frase che, se
io avessi avuto la fortuna di essere lo stampatore o
l’impaginatore biblico, avrei messo tutto in grassetto e in
caratteri cubitali: Non morrete! – dice il serpente. Ma, Dio sa
che il giorno in cui mangiaste di esso, i vostri occhi si
aprirebbero e diverreste come Dio, conoscitori del bene e del
male. Non c’è dunque nulla di proibito, tutto è consentito,
bando alla paura per acquistare “virtude e conoscenza”, per
realizzare la divinità che potenzialmente è in ogni essere
capace di conquista.
L’affermazione è allettante, non è facile resistere, anche Rashi
ne conviene: le parole del serpente le piacquero ed ella
credette in lui. L’albero era buono, “per farla diventare come
Dio”, piacevole a vedersi “come le aveva detto il serpente”
perché faceva acquistare intelligenza “faceva diventare
conoscitori del bene e del male”.
Poi ne diede anche a suo marito. Le conseguenze sono note: ipso
facto, dalla beatitudine paradisiaca alla rovina:
(16) Alla donna (Dio) disse: Farò grandi le sofferenze tue e
della tua gravidanza, partorirai figli con doglia e avrai
desiderio di tuo marito; egli dominerà su di te.
(17) E all’uomo disse: Poiché hai ascoltato la parola di tua
moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato di
non mangiare, il suolo sarà maledetto per causa tua; usufruirai
di esso con dolore per tutto il tempo della tua vita.
18) Ti produrrà spine e pruni e mangerai l’erba dei campi.
19) Mangerai pane con il sudore del tuo volto finché tornerai
alla terra, dalla quale sei stato tratto: polvere sei e alla
polvere tornerai.
Insomma il rigore, la severità, l’aspetto punitivo di Dio non si
fanno attendere e danno via libera alle previsioni più nere, se
non addirittura alle maledizioni. Tuttavia resta da chiarire un
aspetto che, a dir poco, appare inquietante.
Dio, infatti, aveva detto ad Adamo: ma non mangiare dell’albero
della conoscenza del bene e del male, perché, nel giorno in cui
tu ne mangiassi, moriresti (Gen. 2,17).
Ma Adamo ed Eva non muoiono, almeno non nello stesso giorno: la
predizione non si realizza. Almeno in questo il Serpente non
aveva ingannato nessuno, anzi aveva avuto anche ragione.
Ma c’è di più. Quel famoso versetto che prima avremmo voluto
mettere in grassetto e scrivere a caratteri cubitali è ancora
lì, in tutta la sua importanza, forse anche il suo mistero e
qualche preoccupazione la crea:
(22) Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, in quanto conosce
il bene e il male; è da evitare ora che stenda la mano, prenda
anche dell’albero della vita, ne mangi e viva in perpetuo.
Cosa significa è diventato come uno di noi? Il Serpente ha già
risposto: Dio sa che il giorno in cui mangiaste di esso, i
vostri occhi si aprirebbero e diverreste come Dio, conoscitori
del bene e del male.
Quindi il Serpente non solo non ha imbrogliato Adamo ed Eva, ma
ha indicato una delle possibili vie per diventare come Dio.
È ora il momento di tentare una decodificazione degli eventi e
anche di tornare all’argomento principale, cercando di inserire
negli eventi quelle che abbiamo visto essere le due categorie
principali di angeli: i Cherubini e i Serafini.
Dei primi, i Cherubini, parla la stessa Bibbia, nel verso
conclusivo del più volte citato capitolo 3 del Genesi:
(23) Ecco, l’uomo è
diventato come uno di noi, in quanto conosce il bene e il male;
è da evitare ora che stenda la mano, prenda anche dell’albero
della vita, ne mangi e viva in perpetuo.
In un solo caso si parla di due volti maturi: uno dei due
cherubini era nientemeno che Metatron a cui si accoppia un altro
angelo detto Sandalphon, dal greco synadelphos che significa
“confratello” e che è uno degli angeli più alti.
Entrambi sono nomi che il credente non osa pronunciare, al pari
del Nome divino, sostituendoli con “Mem-Teth-Teth” e “Sandal”.
Con questi due angeli siamo a livelli elevatissimi, tanto che
vengono anche chiamati il “Ministro del Volto” e il “Ministro
della Nuca”, ed essi rappresentano proprio il confine tra il
mondo angelico e quello divino.
Per completare la letteratura di riferimento dobbiamo ora citare
un altro importantissimo testo: la visione di Ezechiele, (cap.1)
dove i cherubini sono quattro creature viventi, come quelle
dell’Apocalisse (4: 6-8). I simboli dell’uomo, del leone, del
toro e dell’aquila sono di origine babilonese e rappresentano le
quattro divinità principali che presiedono ai quattro “canti
della terra”.
In Ezechiele, la collocazione dei Cherubini è in un luogo
celeste, posto al di sotto del Trono di Dio:
(22) Sopra le teste
delle chajjoth [esseri viventi] appariva come uno strato
impressionante di ghiaccio che si stendeva proprio al di sopra
delle loro teste.
(23) Sotto lo strato erano ritte le loro
(23) Il Signore Dio allora lo mandò via dal giardino di Eden,
affinché coltivasse la terra da cui era stato tratto.
(24) Scacciato l’uomo, collocò a oriente del giardino di Eden i
Cherubini che roteavano la spada fiammeggiante per custodire la
via che portava all’albero della vita.
A questo discorso possiamo aggiungere che incontriamo i
Cherubini anche in un altro luogo: sull’Arca dell’Alleanza,
quella “cassa” (m. 1,25 x 0,75 x 0,75) di legno d’acacia
ricoperta d’oro, costruita per contenere le Tavole della
testimonianza. Sul coperchio d’oro fuso si trovavano, infatti,
due statue di cherubini con le ali incrociate.
Anche qui i cherubini appaiono nel loro aspetto benefico di
“guardiani della soglia” cui è demandato il compito di
“custodire” cioè non solo di conservare, come è nel significato
letterale, ma anche di evitare che questa via di accesso possa
essere perduta o guastata.
Qrubim (il loro nome in ebraico è quasi lo stesso che in
italiano) deriva dalla radice qaruv (chet-resh-vav-vet) molto
difficile da capire; infatti, non si trova in nessuna parola
ebraica, ma soltanto nella parola “cherubini”.
I Maestri fanno risalire questa parola all’aramaico dove
indicherebbe giovane o bambino. Infatti – anche se le opinioni
non sono univoche – i cherubini che erano sull’Arca avevano il
volto di bambini, talvolta si parla addirittura di un volto
maschile e uno femminile, sempre infantili. Ali, l’una presso
l’altra; ciascuno di loro ne aveva altre due che coprivano il
corpo.
(24) Udii il rumore
delle ali quando procedevano: era come lo scroscio di grandi
masse d’acque, come fragoroso tuono divino, come il fragore di
un esercito accampato. E quando si fermavano, ripiegavano le
loro ali.
(25) Una voce si percepiva sopra lo strato che sovrastava le
loro teste allorché si fermavano e ripiegavano le loro ali.
(26) Al di sopra dello strato che era sulle loro teste appariva
una specie di pietra a forma di trono, e sopra questa specie di
trono, come una sembianza dall’aspetto umano, in alto.
(27) Vidi un fulgore come di chashmal avvolto come in una
sembianza di fuoco che lo attorniava: ciò dal punto che sembrava
essere dai lombi in su; invece dal punto che sembrava essere dai
lombi in giù vidi come un fuoco cinto di splendente luminosità.
(28) Come l’aspetto dell’arcobaleno che è nella nube in un
giorno di pioggia tale era l’aspetto della luminosità
tutt’intorno: era l’aspetto dell’immagine della gloria del
Signore.
Ezechiele avverte tutta la inadeguatezza del linguaggio umano
tanto che per non tradire la sua visione deve ricorrere a una
ricchezza di particolari che d’altra parte lo costringono a una
attenzione unica per evitare materializzazioni della Divinità,
che le parole in grassetto (sopra, appariva e trono) collocano
al di sopra delle creature celesti. Il canto di lode dei
Cherubini è: Benedetta la gloria del Signore dal luogo della sua
dimora. (3,12)
Passiamo ora all’altra categoria di angeli, i Serafini, (dalla
radice saraf “bruciare”, e che quindi, evidentemente, bruciano
coloro che si avvicinano troppo, là dove non è loro consentito).
Al contrario dei Cherubini, i Serafini – come abbiamo già
accennato – sono molto misteriosi e vengono menzionati soltanto
una volta in tutta la Bibbia, nella visione del profeta Isaia
(6,1): «Nell’anno della morte del re Uzzja [re di Giuda] vidi
il Signore seduto su un seggio alto ed elevato, e i lembi del
suo abito ricoprivano il Santuario. Al di sopra a lui stavano in
piedi i Serafini, ognuno dei quali aveva sei ali; con due si
copriva la faccia, con due si copriva le gambe e con due volava.
E l’uno rivolto all’altro proclamava: Santo, santo, santo è il
Signore Tsevaoth Tutta la terra è piena della sua gloria».
Ciò premesso, cerchiamo di cogliere gli aspetti differenziali
fra le due categorie angeliche. Tutto quello che sappiamo, e in
verità non è tanto, anche se è fondamentale, riguarda il luogo
dove essi si trovano e la frase di lode che indirizzano al
Creatore.
I Cherubini, ripetiamolo, si trovano sotto il Trono di Dio e
dicono: Benedetta la gloria del Signore dal luogo della sua
dimora.
I Serafini invece sono incredibilmente “al di sopra del trono” e
dicono: Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta
la terra è piena della sua gloria.
Esaminiamo ora separatamente le due situazioni
I Cherubini dalla loro posizione non possono che cogliere
l’aspetto “superiore”: il Creatore, il divino, i piani e i
livelli diversi, la separazione, in una il trascendente di cui,
benedicendo, cantano la gloria nella sua inaccessibile dimora.
In altri termini, ancora più simbolici, i Cherubini sono gli
angeli che portano il messaggio tradizionale della religione:
Dio ha creato il mondo e l’essere umano, e ha posto delle regole
specifiche, sia naturali che etiche.
L’essenza di Dio rimane remota, superiore, e qui in terra gli
esseri umani devono confrontarsi con la scelta continua fra
“bene - male”, “permesso - proibito”, “puro - impuro”, “lecito -
illecito”, “benedizione - maledizione”, “premio - punizione”. Se
la scelta è sbagliata scatta il castigo.
I Serafini, misteriosi già nella loro natura, con un
presentatore d’eccezionale importanza qual è Isaia, che non a
caso né a torto, dopo Mosè, è considerato il più grande di tutti
i profeti, collocati in un punto di osservazione assolutamente
particolare, dopo aver santificato il Signore degli eserciti,
riempiono la Terra, tutta la Terra, della gloria del Signore.
Tutte le preghiere, tutte le liturgie più importanti, ebraiche o
cristiane, ribadiranno con forza questa Presenza.L’ebreo
credente, puntualmente e sin dalle prime parole dello Shmà
Israel (Ascolta Israele, la più importante professione di fede,
sarà accorto a dichiarare: Tutta la terra è piena della sua
gloria. Ma non basta. Nel canto di lode si dichiara una
“triplice santità” che non può essere solo rafforzativa e
riferita unicamente al “Signore degli eserciti”, la cui santità
certamente non abbisogna né di essere quantificata e né
qualificata essendo unica e incommensurabile.
Resta quindi il problema della comprensione e
dell’interpretazione dell’espressione. Sull’importanza della
“triplicità” in Qabalah non possiamo dubitare.
Tre i pilastri dell’Albero della Vita, tre le dimensioni del
Libro della
Formazione, il più antico testo cabalistico, Mondo,
cioè Spazio, Anno, cioè tempo e Anima, cioè umana
consapevolezza. Noi stessi, poco fa, nel
Giardino
dell’Eden ci siamo trovati alle prese con una storia
che necessitava di una triplicità di soggetti: il Serpente,
l’Uomo (nel suo aspetto bipolare) e Dio.
Ciò premesso sembrerebbe che la triplicità è spesso un tutt’uno
organico, pur se variegato. Così appare anche la “triplicità”
del Giardino, per la quale non ci sentiamo di escludere dalla
radice della santità nessuno dei tre poli.
Infatti sulla santità di Dio non è dato discutere. Ma se è parte
di una triplicità particolare, posta in un luogo altrettanto
particolare,da cui ha inizio la storia di tutte le storie, i
giudizi e le pene, le virtù e i loro opposti e qualunque altro
valore, che ne è degli altri due “protagonisti” della storia?
Credo che non abbiamo molte scelte: nell’affermazione-lode dei
Serafini dobbiamo cogliere una certezza: ognuno dei tre poli di
questa triplicità è Santo.
Dunque, è santo il pilastro sinistro dell’Albero della Vita,
solitamente legato agli aspetti negativi dell’esistenza; è santo
il mondo, anzi i mondi, che pure hanno distrutto l’Unità con la
loro molteplicità; e infine, come e perché escludere il Serpente
dalla radice della santità?
Mi rendo conto che l’affermazione più che coraggiosa è insolita,
ma dobbiamo dire che è valida solo in virtù del punto di
osservazione della realtà che è vista dall’alto (i Serafini si
trovano al di sopra del trono).
Evidentemente quel che possiamo dire, per sminuire le
affermazioni ove risultassero eccessive, è che non si tratta
però di eguali livelli di santità. La frase va letta e penetrata
con attenzione. Nella lingua ebraica non vi sono vocali, ma solo
consonanti e non vi è nemmeno punteggiatura tanto che la
Scrittura potrebbe essere considerata un’unica espressione,
quasi una sola parola.
Ora Santo, santo santo - Qadosh, qadosh qadosh necessariamente,
e non solo da un punto di vista grammaticale, comporta dei punti
di “separazione”. Infatti se il primo “Santo” è Dio stesso,
dobbiamo separare gli altri livelli di santità.Dato che
l’etimologia del lemma per “santo” in ebraico corrisponde alla
parola “separato”, ne deriva che la prima santità lo è ancora di
più della seconda e della terza. Inoltre, la seconda e la terza
santità, essendo diverse dalla prima, formano quasi un “gruppo”
a sé.
Riassumendo, il primo Santo è Dio stesso: il Creatore, il
Separato che non viene influenzato dagli avvenimenti del mondo.
Il secondo santo è l’Uomo - Adamo ed Eva - il terzo è il
Serpente.
D’altra parte, al di là dell’affermazione che noi stessi abbiamo
definito “insolita”, non dobbiamo dimenticare che non è proprio
una novità assoluta: infatti, nell’antico Oriente si
attribuivano al serpente poteri misteriosi e soprannaturali e lo
si adorava sotto forma di una immagine di rame. Anche gli Ebrei
nei periodi di superstizione e di idolatria adorarono questa
immagine (nechàsh nechosheth – “immagine di rame”, I Re 18:4),
forse ritenendola capace di guarire i malati.
Il racconto di Num. 21 (6-9) confuta tale superstiziosa
credenza: la guarigione e la salvezza vengono soltanto
dall’Eterno.
Il serpente di rame (nechàsh nechosheth, Num 21:8 s) che Mosè
innalzò nel deserto, secondo l’esegesi rabbinica è appunto un
segno che invita a levare lo sguardo all’Eterno. Ma, certo è
che, quanto meno anch’egli è una creatura di Dio che
sostanzialmente, come dice la Qabalah, nella storia che ci
interessa svolge una missione divinamente voluta e, nel nostro
tema, è un “messaggero”, cioè un angelo che porta con sé un
messaggio di Dio.
Non possiamo però passare sotto silenzio il suo “zelo” eccessivo
nel portare a termine la missione alla quale aggiunge
decisamente del suo per rendere la prova di Adamo ed Eva
estremamente difficoltosa.
D’altra parte però è vero che Adamo ed Eva scelgono il consiglio
del Serpente, ma che cosa avrebbero potuto fare di diverso?
La loro è quanto meno una scelta verso un qualcosa che appariva
senz’altro molto incoraggiante e positivo. Il consiglio del
Serpente viene dato in termini tali che estrapola il positivo,
come si direbbe oggi viene dato in termini di “pensiero
positivo”.
Il Serpente dice: Non morirete[…], vi si apriranno gli occhi
[…], diventerete come Dio. Dio invece si esprime in termini che
la moderna psicologia leggerebbe come negativi, legati a paure,
proibizioni, repressioni: Non mangiare […] nel giorno in cui ne
mangerai certamente morirai. La frase dei Serafini ritorna a
essere chiarificatrice se non rivelativa. Il fatto che il
secondo e il terzo “santo” si trovano insieme dall’altra parte,
separati dal primo, ma uniti nello stesso gruppo, corrisponde
perfettamente a quanto avviene nel giardino.
É giunto ora il momento di concludere con i Serafini i quali,
dopo quanto abbiamo detto dei Cherubini, l’altra categoria
angelica di cui ci stiamo occupando, rappresentano l’aspetto
immanente del divino, cioè di quell’aspetto presente in ogni
cosa creata, anche nelle più basse, dunque anche nel Serpente, o
meglio, soprattutto nel Serpente. Infatti esiste addirittura una
stretta correlazione linguistica tra il nome dei Serafini e uno
dei nomi biblici del serpente.
Al singolare Serafini diventa “Saraf” (Sin Resh Pe) che potremmo
scrivere con l’iniziale maiuscola, per distinguerlo dal termine
“saraf” con l’iniziale minuscola, che significa “serpente
velenoso”, “serpente il cui morso brucia”. Nei Serafini possiamo
distinguere un duplice aspetto.
Da prima attestano la presenza divina e la santità in ogni cosa.
È possibile conoscere e sperimentare Dio anche nelle cose
terrene, perfino in quelle proibite. In seconda e più profonda
istanza i Serafini sono i maestri dell’esoterismo, delle scienze
occulte, degli aspetti più riposti della spiritualità, spesso
anche in contraddizione con gli insegnamenti rivelati dei
Cherubini.
I Serafini sono dinamici e, nel vivere e ricercare l’immanenza,
scendono anche al di sotto dei Cherubini, perfino al di sotto
dell’essere umano. Scendono o cadono fino ai livelli più bassi
della creazione, fino al regno del male al punto di assomigliare
a dei serpenti velenosi.
Qui il loro consiglio può diventare ambiguo. Arrivano perfino a
suggerire la trasgressione pur di individuare una via per
giungere al Bene Assoluto, un mezzo per percepirlo e contattarlo
in ogni situazione. È un consiglio pericoloso che può anche
andare oltre quanto voluto o desiderato. Ma d’altra parte se
Prometeo non trasgredisce e non ruba il fuoco agli dei, la
realizzazione e la conquista non saranno facilmente
raggiungibili.
Non a torto qualcuno ha detto a chiare lettere che il regno dei
cieli è dei violenti.
Quindi, anche se sfioreranno momenti negativi e pericolosi, in
virtù della loro origine elevata, i Serafini scesi (o “caduti”)
diventati sra-fim (“serpenti velenosi”) metteranno le ali e
torneranno a volare per ritornare ai loro luoghi superni, al di
sopra a lui.
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