La Massoneria ha consentito a civiltà morte di rimanere in vita, ma non è uno statico museo di tradizioni morte, in virtù di un’opera di tesaurizzazione di conoscenze e di valori antichi e secolari, di una reintegrazione delle conoscenze smarrite, in un’opposizione alla degradazione della cultura moderna (U. Eco). Frammenti di vita che altrimenti potrebbero andar perduti, come lacrime nella pioggia; non casualmente, il progresso è in gran parte recuperare ciò che abbiamo dimenticato (Leopardi). In particolare, anche attraverso il filtro della Massoneria bolognese, si può ritenere che la morale, che pure si fonda su valori individuali, si riverbera in valori sociali, tant’è che lo stesso tempio massonico è un luogo di socialità di valori che forse altrimenti non si sarebbero incontrati. Quasi sempre il massone bolognese li ha coltivati, non imponendo a nessuno la sua fede, tentando di far cultura al più alto livello, intervenendo negli sviluppi dell’arte della conoscenza e, a volte, tentando di condizionarne gli esiti. Del resto l’unico modo di valorizzare il passato è proprio quello di saper essere innovatori, cercando d’immettere il ricordo e le immagini dell’antico entro un circuito rinnovato di stimoli e di pensieri. Ricordando che da centinaia d’anni la cultura del nostro paese e dell’intero Occidente, ha tratto spunti e riflessioni dalla Massoneria, lo snodo problematico consiste nel fatto che non si deve conservare e trasmettere il passato soltanto, ma è soprattutto necessario coltivarne e rinnovarne le speranze di cui si è nutrita l’istituzione massonica. Ha scritto acutamente Ruggero Campagnoli: Dico Massoneria al singolare, non perché ignori la molteplicità delle massonerie: lo dico consapevolmente per distogliere l’attenzione dalla fenomenologia controversa delle varie obbedienze massoniche, e per riportarla appunto nel loro comune denominatore ideale.
E se le parole di Pascoli: “I massoni sono pacieri e non guerriglieri” fossero aderenti alla realtà, allora i figli della vedova dovrebbero cominciare all’interno del proprio mondo a smussare, a coagulare, ad unire, tentando di superare antiche e recenti polemiche e divisioni, in nome di una Massoneria, ampia, complessa, diversificata ma pur sempre inscindibile corpo unico. Certo la Massoneria raccoglie uomini di fedi e di culture diverse e di ruoli sociali differenti, ma forse proprio in questo modo è riuscita a creare una costellazione delle società da essa fiorite, che non a caso sono state uno dei fattori genetici più fecondi del Risorgimento, contribuendo decisamente al processo di modernizzazione del nostro paese e della politica italiana.
In questo quadro si è tentato di esaminare in Bologna massonica, da me curata per i tipi della Clueb di Bologna, quel mare magnum per molti versi ancora insondato che è la storia della Massoneria nella cittàfelsinea, ribadendo la sua centralità nel panorama massonico del nostro paese, dove non si è mai rivelata inessenziale e marginale.
Lo scopo è stato pure quello di lavorare ad una storia costruita da una multiformità di “storie”, i cui confini, talvolta, sfociano gli uni negli altri aprendo nuove opportunità di ricerca e d’interpretazione, per contribuire a far gettare via alla Massoneria il suo burqa. Non si tarderà a notare come queste ricerche nei proteiformi e delicati universi massonici si avvalgano anche di spunti ed elementi propri della storia delle idee, della mentalità, del costume, della letteratura attraverso le corde culturali più svariate. Un particolare sguardo è stato indirizzato alle logge, autentico cuore pulsante della massoneria bolognese. È nella loggia che si dà il bando al quotidiano, all’attualità, ai commenti da post-telegiornale, alle frasi fatte, alle chiacchiere da dopolavoro. La profanità è de facto priva di idee, è una sirena ammaliante che si offre nella sua profanità, un usa e getta del pensiero, materia per consumatori di massa. Se la politica, in quanto arte del quotidiano, in senso aristotelico, nella quale ognuno potrebbe contrapporsi all’altro, è preclusa, non lo è – come sapientemente dimostra Antonio Panaino – la dianoetica, cioè la scienza del pensare anche attraverso la realtà contingente, nel tentativo di spaziare col pensiero per cogliere l’universale. E tutto ciò è ancora più significativo oggi allorquando si assiste ad una politica spesso senza dignità, senza intelligenza, senza radici culturali: una politica, a volte, da portineria, fatta di battute teatrali, di polemiche di giornata, capace di presidiare il nulla. La loggia non è un gioco di società, non è una specie di club, non è un talk show esoterico, ma una comunità pneumatica, un’officina filosofica, un esercizio dello spirito, un progresso interiore. È nella loggia che si viene iniziati e il segreto dell’iniziato risiede sostanzialmente nel saper morire e poi nel saper rinascere. Ma fin dai tempi di Hiram, ogni diritto nasce dall’espletamento di un dovere e il lavoro in officina è come la rotella di un vasaio, che una volta messa in moto gira ancora a lungo e lentamente il suo moto si affievolisce e si spegne, se la ruota del pensiero non continua a vibrare, se la pigrizia mentale, l’abitudine, l’improvvisazione, la superficialità non addormentano l’animo e la mente. Di gran rilievo è perciò la partecipazione sistematica ai lavori di loggia, perché non si tratta di una funzione burocratica, ma – come si rileva dalla Charta di Bologna – dell’insostituibile dimensione collettiva del lavoro iniziatico. In tal senso la storia della Massoneria può essere utilizzata sinanco ai fini didattici, come da anni mi sforzo di fare, come magistralmente hanno già dimostrato i colleghi Anna Maria Isastia dell’Università La Sapienza di Roma e Antonio Panaino dell’Università di Bologna.
Bologna ha una tradizione massonica di alto profilo. Basti pensare al fatto che è bolognese il documento normativo più antico al mondo della proto-massoneria medievale, cioè la cosiddetta “Charta di Bologna” del 1248 (Bonvicini 1989), che venne redatta otto anni prima dell’atto di affrancazione dei servi della gleba del Comune di Bologna, detto “Liber Paradisus”, che restituì dignità piena a circa seimila persone, e che risale al 1256. Sin dal mille era viva e vegeta a Bologna la “Società dei maestri del muro e del legno”, la separazione dei maestri del muro e quelli del legno avveniva nel 1257, mentre di alcune logge si ha notizia certa già intorno al 1192-1196, attraverso proprio gli “Statuta et ordinamenta societatis magistrorum muri et lignamiis”, comunemente ormai indicata come “Charta di Bologna”. Risaliva al 1114 la nascita di un nucleo di maestranze di costruttori bolognesi, come si evince da un bolla di papa Pasquale II, accolte nella chiesa di S. Vitale. Non casualmente una formella bolognese del 1100 ritraeva un maestro muratore e un apprendista con grembiuli e strumenti di lavoro.
La Società dei muratori era situata a Bologna, nella seconda metà del milleduecento, nel quartiere di Porta Stiera, attuale via S. Felice e la Charta venne redatta in latino l’8 agosto 1248, presso un notaio bolognese per volontà del Podestà De Cario ed è attualmente conservata presso l’Archivio di Stato di Bologna. L’importanza di questa Charta è fuori discussione, perché ancorché poco frequentata, è di quasi sessant’anni precedente lo statuto della Casa Matha del 1304 dei pescatori ravennati del 1304 (un celebre massaro dell’Ordine di Casa Matha fu Giordano Gamberini, Gran Maestro della Massoneria di Palazzo Giustiniani), il Preambolo Veneziano relativo alle Mariegole dei Taiapiera, dei tagliatori di pietra (1307), lo statuto anch’esso veneziano Marangoni di case, edificatori di case del 1335, un secolo e mezzo precedente il Poema Regius di stampo anglosassone del 1390, di quasi due secoli il Manoscritto di Cooke del 1430-1440, di quasi duecentoventi anni lo Statuto di Strasburgo del 1459; della Carta di Colonia del 1535 e di circa cinque secoli le Costituzionidi Anderson del 1723 e il Manoscritto di Carmick del 1756. Ad ogni buon conto lo scenario generale è complesso e difficile da decifrare con chiarezza, se consideriamo anche gli ordinamenti dei Maestri comacini, i Sistemata degli edili bizantini, le Gilde germaniche, le Compagnie degli scalpellini e dei muratori, i Doveri muratori di Compagnonnage, le Craft anglosassoni, le Confraternite, le Schole, le Fratrie, le Fraglie di varie arti e mestieri.
La Charta, dopo la sua redazione, subì costanti e significativi aggiustamenti ed integrazioni, in specie negli anni cinquanta del duecento e nel 1336 che rimarrà sostanzialmente invariato sino alla soppressione napoleonica del 1797. D’altronde ad ulteriore beneficio storiografico è del 1272 un piè di lista, una Matricola conservata sempre presso l’Archivio di Stato felsineo, di 371 nomi nativi di maestri muratori, di pregevole interesse. La cifra peraltro di 371 è rilevantissima a testimonianza dello straordinario fervore edilizio del periodo, a fronte di circa 8000 focolari dell’epoca, e di una popolazione di 30000 abitanti, fra cui vi erano alcune migliaia di studenti e di monaci. Indubbiamente la Società dei maestri del muro era anche politicamente, culturalmente ed economicamente molto potente, a maggior ragione che ogni maestro era tenuto a redigere un quaderno personale, che testimoniava della capacità di ogni membro di conoscere la lettura, la scrittura, la matematica e la geometria. Si tenga altresì presente che già dalla metà del dodicesimo secolo si data l’esistenza di una loggia libero muratoria bolognese con a capo mastro Alberto (Vianelli 1985), che si potrebbe definire di tipo comacino, collegata com’era con i Comacini dell’Appennino bolognese attorno al santuario di Montovolo (Palmieri 1912).
In effetti la corporazione figlia della Charta di Bologna era una struttura assolutamente elitaria, pur non avendo il carattere itinerante tipico del modello comacino, homo vagans per eccellenza, rivolta esclusivamente ai maestri, che si sceglievano per cooptazione, singolarmente indipendenti ma fortemente coesi all’interno della schola. Si tenga presente che però questa corporazione, pur indiscutibilmente figlia della Società dei maestri muratori, sin dalla matricola del 1272, mostra di non essere composta solo da muratori, ma anche da giuristi, frati, insegnanti, speziali, farmacisti, nobili, artigiani mercanti, pittori, architetti e non pochi erano maestri provenienti da Como e zone limitrofe. Di spicco era la figura dell’architetto costruttore, che già in sé incarnava pienamente il completo uomo di cultura che poi sarà tipico dell’umanesimo rinascimentale, giacché era nello stesso tempo anche scultore, decoratore, cesellatore, letterato e filosofo, scienziato naturalista a tutto tondo. Il fenomeno dell’accettazione di un maestro espressione di un altro mestiere, era assai comune pure in Francia, in Germania, in Inghilterra come clamorosamente dimostra il caso di Dante, accettato a Firenze, nella corporazione degli speziali.
Le logge dell’epoca si identificavano, a volte, anche con la costruzione di un palazzo o di una cattedrale, qualificandosi come un gruppo d’opera capace però di darsi non solo regole di lavoro e di disciplina, ma di giustizia e di doveri. Loggia quindi intesa come luogo d’incontro riservato governato da precisi rituali intrisi di simboli e di allegorie, con metodo iniziatico ed esoterico, per un reciproco scambio culturale e spirituale. Nella Charta di Bologna il maestro giura di rispettare gli ordini di obbedire, difendere, osservare tutti i precetti ed ordini del Massarius, dopo la “tegolatura”, l’iniziazione, spesso la trasmissione iniziatica di padre in figlio, di guidare la Società: se sarò chiamato al governo della Società io non rifiuterò, ma accetterò l’incarico e governerò e proteggerò con lealtà la Società e i suoi membri.
All’articolo III vi era poi l’obbligo di presenziare ai lavori di loggia, con riunioni mensili “come minimo due”, dovere fondamentale perché era indispensabile presentarsi nel luogo dove la società si riunisce e sia tenuto a presentarsi ogni volta e per quante volte gli sarà comandato od ordinato sotto pena di un’ammenda di sei denari.
Solo se impedito o malato o in servizio poteva correttamente giustificarsi altrimenti se si sarà giustificato falsamente, abbia la pena di dodici danari. Vi era poi l’obbligo di portare presso la salma di un maestro morto un cero di sedici libre, di far visita agli ammalati e prestar loro assistenza, l’obbligo di non alzarsi per parlare e per esprimere il proprio parere in una riunione se non su ciò che sarà proposto, di non disturbare né litigare nelle adunanze, un apprendista non poteva essere assunto meno di quattro anni. Nel caso di dissapori il massaro poteva far ricorso ad una giornata dell’amore, per ripristinare lo spirito di fratellanza. Le case dei maestri muratori erano fabbricati di cantiere, laboratori eretti per l’edificazione di chiese, come ad esempio le case erette nei pressi delle chiese di S. Procolo o di S. Pietro o nel trecento un laboratorium in via Peschiera, fra le due torri e piazza Maggiore.
È da queste premesse che comincia il viaggio attraverso la massoneria bolognese, un viaggio per scoprire se stessi, un viaggio per raccontare la vita a chi non sa intenderla, un viaggio per definire i nuovi contorni della realtà politico-culturale italiana, un viaggio per andare alla scoperta della propria anima, un viaggio per recuperare frammenti di vita altrimenti perduti, un viaggio per risvegliare il dubbio, un viaggio come gestazione introspettiva,come gravidanza spirituale, un viaggio per diventare grandi cercando di accrescere il bambino che si porta con sé, un viaggio per tentare di rompere ciò che divide gli uomini, un viaggio per scoprire il bene in ogni fede, un viaggio che mira al futuro con un cuore antico e, mentre i viaggiatori finiscono, il viaggio continua come un volo di farfalla e non finisce mai. E questo viaggio potrebbe librare la massoneria del terzo millennio negli organi più profondi della società civile: “La massoneria non può essere ripiegata su se stessa e nelle sue dinamiche interne, come un corpo estraneo alla società civile, altrimenti rischia di ritrovarsi marginalizzata come un contenitore incomprensibile o sterile, oppure, e questo sarebbe peggio, invischiato in interessi molto profani, sebbene ammantati di sacertà esoterica" (G. Raffi).
Da quel tempo fino ad oggi, la vita sostanziale della città di Bologna appare intrecciata col divenire dell’attività massonica la quale, di fatto, ha saputo spesso fondersi e confondersi virtuosamente con i suoi migliori gangli professionali e istituzionali.
Il documento è opera d'ingegno del prof. Giovanni Greco, Università di Bologna, ed è estratto da Hiram n.2 anno 2008. Ogni diritto è riconosciuto. La libera circolazione in rete è subordinata alla citazione della fonte (completa di link attivo) e dell'autore. © Giovanni Greco
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