La Formula Morte e Resurrezione ▪ Paura e castigo |
Paura e Castigo: Il sostegno del Dogma nel Vecchio Eone Il sentimento che accompagna la nostra consapevolezza di dover per forza lasciare questa terra è da sempre l’angoscia? Da dove e come nasce questa paura? Le filosofie orientali (induismo e buddismo) per prime, almeno per ciò che è attestabile e documentabile storicamente, insistettero nel considerare dolore e sofferenza come le più autentiche caratteristiche di questa nostra vita, sempre piena di bisogni e desideri da soddisfare, che solo a tratti sono in grado di colmare, se realizzati, i nostri amari vuoti, senza mai però assicurare una duratura felicità. La loro risposta fu l’ideazione di un metodo pratico (yoga) in grado di sopprimere le tendenze, le pulsioni, i desideri ecc., quindi di ridurre a silenzio il lamento doloroso dei bisogni. Ridussero le sofferenze riducendo le esigenze e reprimendo le tendenze. A farne le spese per primo non poteva che essere quella serie di impressioni, inclinazioni, percezioni, pulsioni, passioni, emozioni, idee e tendenze che chiamiamo IO. Ecco che giungiamo a porre in luce un primo indizio per rispondere alla nostra domanda iniziale: la paura della morte sorge in presenza di un forte senso dello ego, è addirittura radicata nell’ego, nutrita e partorita dall’ego e si sviluppa in maniera direttamente proporzionale al rafforzarsi dell’identificazione di sé con le proprie caratteristiche psico - fisiche. Al crescere dell’ego aumenterà la paura, per quell’ego, di dover cessare di essere. Più ci si radica nella propria identità, tanto più si avverte il senso della sua futura perdita, e quanto più opponiamo resistenza al cambiamento e ci attacchiamo con unghie e denti a noi stessi, tanto più daremo alla morte un connotato privativo, un paramento terribile e nero. Il senso di dolorosa separazione è altresì connesso con il grado di dipendenza dall’ambiente circostante, al crescere di quest’ultima aumenterà anche il primo. In precedenza accennavamo al non trascurabile fatto che la morte ha assunto i tratti che la caratterizzano anche per via di una certa esclusiva priorità e rilevanza di cui ha potuto approfittare. La morte viene considerata un evento atipico, un episodio a sé, avulso dal contesto, isolato e posto in posizione preminente, lo spauracchio che ci attende all’esaurirsi del nostro cammino. L’aver evidenziato la morte dallo sfondo del processo vitale, che è pur sempre unitario, è la principale causa della riflessione di questo fatto naturale come una pausa, una parentesi buia, un’interruzione repentina del flusso d’esistenza, quasi che la morte non appartenesse a questo processo. La paura, che prima abbiamo posto in relazione con l’ego come se ne fosse l’effetto o la conseguenza, ora può anche collegarsi direttamente a questo altro aspetto, fissandosi in una duplice relazione causa - effetto: da un lato l’ego è la fonte della paura, dall’altro quest’ultima favorisce la considerazione della morte come fatto a sé, isolato dal resto del contesto. Quindi se il senso dell’io è più marcato e accentuato, lo è anche la paura della morte che annullerà quell’io. La paura diventa il centro del rapporto tra ego e morte, la connessione tra l’Io, radicato all’origine della vita, e la Morte, estrapolata dal contesto, che lo sopprimerà. All’affermazione di sé conquistata alla nascita risponde la negazione di sé che ci attende alla morte, e Paura è il sentimento che unisce questi due punti estremi; questa sorge al nascere di quelli. Come si vede, le basi per una netta contrapposizione vita-morte sono state gettate e fissate, e la paura è la veste che ricopre quest’opposizione. Ma non è proprio sfruttando il terrore per la morte che si è potuto instaurare e rafforzare l’imposizione del Dogma come strumento di controllo politico delle masse? É da sempre che paure e speranze, superstizioni e timori, sono utili al dominio sul volgo, non c’è da stupirsi che l’autorità religiosa sfruttasse la situazione. Nel vecchio eone la morte è condizione della possibilità di una FUTURA resurrezione, posta sempre DOPO, OLTRE e AL DI LA’ della vita terrena. La PROMESSA di una SALVEZZA e di una vita eterna può esser garantita solo dall’adesione completa a certi principi, regole e dettami che tendono ad esercitare un controllo sui comportamenti dei singoli individui, ma la possibilità di goderne (la beatitudine) è sempre spostata in avanti, raggiungibile solo all’infinito. Da un lato la paura di morire è sfruttata come ausilio all'obbligo di certi precetti etici e morali, dall’altro è mitigata dalla SPERANZA di poter accedere al Regno di Dio, sempre che Egli lo voglia, e che il soggetto si sia comportato secondo i dettami. Notiamo quindi che un ruolo di importanza notevole viene, nel vecchio eone, attribuito alla Paura, che amplifica il tono severo della voce dell’Autorità a cui tutti devono sottomettersi. Ora, nel nostro retroterra culturale, la morte è "spiegata" come CONSEGUENZA di un CASTIGO che Dio riserva ad Adamo ed Eva per aver tradito un suo comando. Questa prospettiva della punizione ereditata per una "macchia" originaria, per un "errore" all’inizio, genera, intrecciandosi con altri motivi, una tra le peggiori conseguenze che potessero derivare da tale deformazione spirituale: la morte finisce per prevalere sulla vita, e dato che tutto ciò che ha trovato una forma in cui determinarsi o un corpo in cui incarnarsi è destinato a morire, ecco che ogni nascita finirà per esser soprattutto una CONDANNA a morte. La prospettiva che ne deriva sottrae all’Uomo una grossa fetta di libertà, infatti: 1) vincola la nostra emancipazione ad un decreto della Volontà Divina (Grazia), introducendo un elemento negativo, un Male, come intrinseco alla nostra costituzione (Colpa); 2) riduce la nostra Realizzazione ad una Redenzione, il che implica partire da una posizione svantaggiata e avere come massimo traguardo il ripristino dello equilibrio rotto in partenza, come ereditare un debito altrui e vivere solo per riuscire, forse, a pagarlo; 3) rimanda ogni possibilità (Speranza) di godere del frutto delle nostre fatiche ad altra dimensione, il premio (Salvezza) dunque non ci spetta in questa vita, né dipende del tutto da noi, è un bene non fruibile qui e ora. É questo intreccio di motivi a favorire quella cultura della mortificazione, della privazione e della restrizione che tanto contraddistingue la vita nel passato eone di Osiride. La vita terrena diviene così un supplizio in attesa di una salvezza post - mortem (comunque sempre affidata, in ultima battuta, al Volere Divino), una caduta o una prigione per lo spirito, obbligato ad allontanarsi dal proprio centro e abbandonare la propria dimora. Nel vecchio eone la paura per la morte contamina e sovrasta la vita, costringendo il soggetto a privazioni, limitazioni e meccanismi auto repressivi; la vita è ridotta a un tragico esilio dello spirito, condannato e costretto ad immergersi nella morsa attanagliante della Forma, nelle strette spire vincolanti della Materia finita e determinata. La morte perciò non solo viene prima posta in rilievo grazie al radicarsi di un ego che ne percepisca il valore privativo, ma arriva addirittura a scavalcare e prevaricare la vita, affidando a Dolore e Paura il compito di introdurcela e di caratterizzarla. La morte trionfa all’origine e al termine di questa vita dolorosa. Si rifletta inoltre sull’interessante questione, che avvalora in parte questa dottrina, del nome dato, nel Cristianesimo, alla personificazione della potenza generatrice femminile: MARIA. Questo nome è etimologicamente connesso alla radice verbale sanscrita "MR", che significa "morire, uccidere". Altre parole come "morte", "amaro", "mare", "madre", "materia" ecc., riconducibili allo stesso termine, sembrano enfatizzare l’idea che suggerisce che questa vita nella Materia sia già una sorta di Morte per lo spirito. Questa visione comporta come conseguenza una svalutazione dei ricchi contenuti dell’esistenza e una drastica riduzione del potere vitale della libertà, messa in grave pericolo dal senso di COLPA. Se le azioni umane vengono mosse secondo la fonte di Ricompensa - Punizione, e se ogni premio o castigo viene elargito o inflitto sempre e solo da un potere superiore a cui sottomettere il nostro volere, si ammetterà la presenza di un orribile meccanismo in grado di eliminare ogni traccia o residuo di libertà dalla nostra volontà. Questa deturpazione della libertà spirituale è in aperto contrasto con la Legge di Natura stessa, eppure è lo squilibrio a cui siamo assoggettati fin da subito, mediante un’educazione che nutre e coltiva i sentimenti di sofferenza, dolore, restrizione, colpa ecc. Il nero orrore con cui abbiamo vestito la morte ha finito per prevalere sul luminoso gioire della vita, invadendo col suo grave carico di depressione il gaudente fiorire della nascita, contagiando con la sua nausea il piacevole girovagare dell’anima… Cercheremo ora, dopo l’analisi su cause, effetti e conseguenze dell’ esegesi della nostra formula, di individuare il fulcro su cui muove la leva che rovescerà l’ottica del vecchio eone per poi vedere su quali livelli si attesterà la nuova lettura. |
Musica: "Gran sandece faz quen se" Cantigas de Santa Maria secolo XIII |