| Che cosa sia l’arte, quali ne siano le origini, a quali esigenze obbediscano gli artisti... Sono quesiti a cui hanno cercato di rispondere centinaia di filosofi, di saggisti e di critici - da Aristotele sino ai giorni nostri. La letteratura al riguardo consiste di diecine - forse centinaia - di migliaia di pagine. Tuttavia, non si può certo dire che si sia giunti a una conclusione unanime. Si sa soltanto che una certa energia sollecita l’artista, e lo spinge a produrre. Ma qual’è questa energia? Anche se volessimo aderire a un concetto ormai vieto e superato, ossia all’idea che l’arte imiti la natura, l’interrogativo rimarrebbe. Perché mai l’uomo l’artista dovrebbe sentire il bisogno, disegnando o dipingendo, di imitare la natura? Perché la stragrande maggioranza degli uomini non avverte invece affatto tale esigenza, o comunque la spinta a creare, a esprimersi artisticamente? In antico, si pensava che l’opera creativa avesse origini poco o tanto soprannaturali, e che Apollo, o le Muse, infondessero al poeta, al pittore, allo scultore, la virus che gli consentiva di produrre poemi, o dipingere quadri, o far balzare figure e ornati dal blocco di marmo. L’artista era perciò considerato, essenzialmente, un “ispirato”, un individuo a cui deità superne infondevano “celesti ardori” - quasi un tramite fra gli abitatoti degli alti spazi invisibili ed il resto dell’umanità. Anche quando non si credette più al “dio dall’arco d’argento”, o alle Muse, l’idea che l’ispirazione artistica provenisse da livelli ignoti dell’essere non scomparve. Dante non pensava certo alle Muse quando si provò a descrivere ciò che sentiva quando poneva mano al calamo, e componeva poesie: ma anch’egli fece riferimento a un’istanza impersonale, e quasi divina, allorché scrisse che la sua possibilità di “significare” - cioè di esprimersi creativamente era condizionata dallo “spirare” (cioè, dal soffio ispirativo) dell’amore. E chi ha letto Dante con cura sa che l’amore, di cui il poeta parla, è un amore non terreno: un amore “con l’A maiuscola”; un amore se è consentito l’aggettivo - “paranormale”. Ma esiste un “arte paranormale”? In base a una documentazione ormai molto ampia, si può rispondere di sì. Curioso a dirsi, tale arte è più spesso chiamata “arte medianica”; e qui ritorna il concetto tradizionale di “mediazione”, al quale ci siamo riferiti a proposito del ruolo dell’artista. Tuttavia il termine fa pensare a ciò che modernamente s’intende quando si allude al cosiddetti medium, alle “sedute medianiche”, alla “medianità”. Tutti questi vocaboli furono introdotti allorché, nel secolo scorso, ebbe massima voga il movimento spiritico. Si pensò che certi individui potessero fungere da tramite, da “mezzo”, tra il mondo dei viventi e quello dei defunti. “Medianità” era la qualifica attribuita a costoro, e “medianiche” furono perciò anche chiamate le sedute. I termini sono, attualmente, ancora adoperati: anche da chi, senza minimamente pensare a eventuali interventi di “spiriti”, vuole indicare una condizione psicologica particolare, uno status caratterizzato sia da un parziale o totale offuscamento delle percezioni abituali, sia dal prodursi di quei fenomeni psichici o psicofisici paranormali (percezioni extra sensoriali, effetti psicocinetici), di cui si occupa la moderna parapsicologia. Nel vasto campo della medianità sembra locarsi, nei suoi diversi aspetti, 1’ “arte paranormale”. I soggetti la cui produzione può così definirsi hanno tre caratteristiche in comune: 1) hanno cominciato a insegnare o a dipingere improvvisamente, senza alcun preavviso o preparazione specifica, anche in età avanzata; 2) sono stati in certo modo “costretti” a farlo, come se una qualche forza estranea s’impadronisse ogni tanto della loro mente e delle loro azioni; 3) sono in genere convinti che ciò che li fa agire sia lo “spirito” di qualche trapassato. Perciò rifiutano quasi sempre di vendere le loro produzioni, che ritengono avere un origine di là da ciò che è terreno e umano. Questi soggetti si esprimono in modi diversissimi: anche ovviamente - quanto ai livelli ai quali si possono collocare le loro opere da un punto di vista puramente estetico. Una pregevolissima “presentazione” di circa trenta di essi - corredata da molte, splendide riproduzioni anche a colori - è stata curata da Paola Giovetti in un volume intitolato Arte medianica, apparso nel 1982 a cura delle Edizioni Mediterranee, e che costituisce a tutt’oggi l’opera più completa sull’argomento.
Ma come interpretare, in sostanza, il processo creativo in atto presso questi eccezionali “produttori d’arte” - la cui vita spesso sbalordisce per la sua apparente povertà e “incongruenza” rispetto alle straordinarie opere a cui danno vita? Non sembra potersi senz’altro applicare, a costoro, la classica interpretazione psicoanalitica, secondo la quale si dovrebbe pensare che anche certe manifestazioni della cosiddetta “arte medianica” dovrebbero come quelle artistiche in genere provenire da una larga partecipazione del sistema psichico secondario, ossia del preconscio. I prodotti dell’ “arte medianica” sembrano invece arrivare più o meno direttamente. automaticamente, dall’inconscio, disattendendo le anticamere della coscienza (ossia il preconscio, appunto), e giungere d’un balzo alla luce della coscienza. Non pochi di questi “artisti medianici” - è opportune ricordarlo - creano in condizioni di assoluta inconsapevolezza: non sanno che cosa apparirà sul foglio o sulla tela, cominciano da un qualsiasi punto, spesso si trovano in stati oniroidi, o addirittura sonnambolici. Qualche volta il “dono”, dopo un certo tempo, viene improvvisamente e inspiegabilmente a mancare, e colui o colei che per mesi ha accumulato quadri degni di mostre internazionali non riesce più a tracciare un semplice schizzo o bozzetto - senza sapere perché la “cosa” ha avuto fine, così come non ha mai saputo perché avesse avuto inizio... Se il lettore ha presente ciò che è stato indicato nella prima parte di questa esposizione, gli apparirà chiaro che in fondo, l’espressione “arte medianica” può benissimo essere accettata sia da un punto di vista semantico, sia da chi la consideri sotto il profilo psicologico. Negli esponenti di quest’arte si potrebbe forse ravvisare più da vicino, e per dir così dal vivo, il processo che in altri artisti è meno immediato, meno soggetto a ripensamenti e a correzioni. Qui è veramente come se la Musa - o chi per essa - s’impadronisse ex abrupto di un Tizio magari sino a quel momento del tutto impreparato e ignaro - e si esprimesse forzosamente attraverso di lui, con risultati spesso meravigliosi, sempre affascinanti. Considerata da questo punto di vista, 1’ “ arte paranormale” (o, se si preferisce, l’ “arte medianica”) potrebbe essere dunque un aspetto “estremo”, e rivelatore, di un processo che probabilmente, dal più al meno, è quello che avviene in ogni creazione artistica. Forse con 1’ “arte medianica” risaliamo verso la misteriosa magia dell’arte tout court, dell’arte come fenomeno creativo specifico, vanto e orgoglio dell’uomo. | |