| All'inatteso, quanto violento ed ingiustificato attacco del Vaticano, il Sindaco Nathan oppose una calma e misurata difesa, sotto forma di lettera ai Direttori dei giornali cittadini:
«Preg.mo signor Direttore, Per gli atti dell'Ufficio mio devo rispondere al Consiglio, alle competenti Autorità; interviene per il discorso del XX Settembre un rescritto del Sommo Pontefice all'Eminentissimo Cardinale Vicario per stigmatizzare le parole mie al cospetto della cittadinanza, dell'Italia, di tutto il mondo. Il rispetto verso di Lui, verso tutto il consorzio civile, impone spiegazione. Egli, dal Vaticano fulminando chi sta al Campidoglio, non rende più evidente il tema del discorso, il contrasto tra la Roma del passato e la Roma del presente? Son colpevole – come egli dice – «nell'anniversario del giorno in cui furono calpestati i diritti della Sovranità Pontificia»; «di lanciare offese ed ognor maggiori alla Religione cattolica»; ho «alzato la voce per lanciare contro il Vicario di Cristo in terra lo scherno e l'oltraggio»?! O non ho messo invece dinanzi agli occhi dei cittadini uno specchio fedele perché tutti vi vedessero riflessi gli eventi del passato, quelli verificatisi attraverso altro Governo, altra volontà, altri insegnamenti, altre aspirazioni? Non sono io autore od inventore del bando per esiliare dalle scuole e dai seminari tutta la stampa periodica; non io ad immaginare condanne solenni alla democrazia cristiana, ai modernisti, ai Sillonisti, a quanti muovono affannosamente alla ricerca di una fede che concili intelletto e cuore, tradizione ed evoluzione, sapere e religione; non io a fondere insieme dogma, rito e religione in guisa da negare la consolazione della fede a chi ai mutabili precetti e volontà degli uomini non potette umiliare cieca sottomissione; non io a creare la ignoranza che abbandonandosi alla superstizione brutalmente respinge il sapere; non io a mancare di rispetto alle altrui credenze, diritti imprescrittibili dell'individuale coscienza, né tampoco venir meno ai riguardi dovuti al Pontefice, all'uomo chiamato ad altissimo ufficio, che nei limiti consentiti da cuore ed intelletto sacrifica tutto l'essere suo per amor del bene, secondo i dettami della sua coscienza. No. Come il Sommo Pontefice dall'alto della Cattedra di S. Pietro ha dovere di dire la verità quale a lui appare ai credenti, così il minuscolo Sindaco di Roma dinanzi alla breccia di Porta Pia, per lui iniziatrice di una nuova auspicata era politica e civile, ha uguale dovere innanzi alla cittadinanza. Offende le orecchie di Chi afferma «calpestati i diritti della Sovranità Pontificia»; ma non è l'uomo, non sono le sue parole, è il fatto che offende, opprime, preoccupa, esaspera: il fatto avvenuto in passato, il fatto che si avanza fatale, con passo più sicuro, a misura che l'albeggiante giorno della nuova Italia rischiara la strada agli ansiosi trepidi viandanti; il fatto che guida le genti, iscritto fra i dettati della legge che governa l'universo dalla mano del progresso: fatto che sovrasta a Pontefice e Sindaco. Tutto si muove, si evolve, si allarga e gli uomini volgono gli occhi in su alla ricerca della fede, illuminata dal sapere. Se ho offeso i doveri dell'ufficio mio, spetta al Tribunale; se ho offeso i doveri dell'ufficio mio, spetta il giudizio alla cittadinanza; se ho offeso la Religione, la coscienza tranquilla, senza intermediario, risponde innanzi a Dio. Roma, 24 settembre 1910». ERNESTO NATHAN Sindaco di Roma | |