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Il simbolismo del "Flauto Magico" di Nicola Sgro (Musicologo) |
Il fervore di iniziative suscitate dalla ricorrenza della morte di Wolfgang Amadeus Mozart ha provocato anche il riesame di certi luoghi comuni diffusi da tempo sulla vita e sull'opera del sommo musicista. Tra questi luoghi comuni, accettati più per pigrizia mentale che per approfondimento del problema, vi è la pretesa "facilità", "popolarità" di un capolavoro assoluto qual è l'opera "Il Flauto Magico", il cui significato altamente morale ed esoterico è stato autorevolmente e ripetutamente evidenziato ma quasi a fare da contrappeso ai "limiti", alla "leggerezza dell'ispirazione musicale" ed infine alla pretesa "macchinosità" del libretto. La verità è che "Die Zauberflöte" (questo il titolo originale) è opera molto complessa, dalle infinite sfaccettature, dal profondo simbolismo, e piena di messaggi etici oscuri (talvolta) ma non certo incomprensibili, anzi, più efficaci e più esemplari proprio in forza delle loro implicazioni allusive, velate, quasi suggerite a bassa voce. Concepita come itinerario ideale, percorso alla ricerca della Verità, l'opera (volendo semplificare) può essere utilmente schematizzata come descrizione della iniziazione massonica. Mozart aveva aderito alla Massoneria fin dal 1785 trovando negli ideali di libertà, fratellanza, uguaglianza una non secondaria fonte di ispirazione per tanti suoi capolavori concepiti non soltanto per il teatro lirico, ma anche per composizioni strumentali, sinfoniche e cameristiche. Il significato simbolico del Flauto Magico, che verrà approfondito e chiarito nel corso dello svolgimento della vicenda, si rivela fin dall'inizio, dai primi accordi della Ouverture. I tre squilli di tutta l'orchestra farebbero riferimento ai tre colpi di chi bussa alla porta del Tempio della Luce. In tal senso la vicenda che vede il principe Tamino superare diverse prove ha origine fin dalla introduzione strumentale. Altri tre squilli (con anacrusi e ripercussione) dividono la prima dalla seconda parte dell'Ouverture introduttiva ribadendo, in modo più ampio, quella che è la simbologia ternaria che incontreremo più volte nel corso dell'opera. Vediamo, infatti, che Tamino, assalito dal drago, viene soccorso da tre dame; saranno ancora tre fanciulli a guidare Tamino fino alle porte del Tempio della Luce ed a lasciarlo dopo avergli raccomandato di avere "indomita costanza, fede, e di serbare il silenzio su ciò che vedrà". Tamino, impegnato a liberare Pamina, figlia della regina della notte, si trova adesso da solo a lottare contro l'ignoto. I tre fanciulli gli hanno dato un flauto magico il cui potere Tamino scoprirà quando deciderà di suonarlo. Intanto egli si trova di fronte tre porte che danno accesso a tre Templi. In mezzo sta la porta più grande (il Tempio della Luce), alla destra la porta del Tempio della Serenità e della Pace, a sinistra la porta del Tempio della Natura. Ha luogo a questo punto la scena più significativa, dal punto di vista etico ed esoterico, del Flauto Magico. Il principe Tamino è solo (potremmo dire che è solo con la sua coscienza) di fronte all'ignoto. I tre fanciulli lo hanno incoraggiato a lottare nella certezza della vittoria ed egli si sente abbastanza forte e deciso per affrontare l'ignoto. "Pensa che sei un uomo e spera nella vittoria". "Queste parole rimarranno sempre impresse nel mio cuore" dice Tamino ma nello stesso tempo si chiede: "Dove sono? Che cosa vedo? È questo, forse, il trono degli dei?". Tamino ritiene di dover seguire l'impulso del suo coraggio e, volendo salvare Pamina, anzi dicendo a se stesso che salvare Pamina è il primo dei suoi doveri, si volge verso la porta che sta sul lato destro e si appresta a varcarla. "Indietro!" dice una voce che proviene dall'interno; "Indietro?" risponde Tamino e allora "Si vada all'altra porta". Volgendosi verso la porta di sinistra, ancora una volta Tamino è fermato dalla voce interna che gli comanda "Indietro!". A questo punto non resta che tentare la porta centrale, l'entrata maggiore. E qui Tamino vede con stupore che la porta si apre ed appare un sacerdote (l'Oratore) che, con voce tranquilla e suadente, gli chiede: "Straniero dove pensi di andare? Che cosa cerchi in questo Tempio?". Tamino risponde con orgoglio: "Il seggio dell'amore e della virtù". "Parole degne di una mente elevata", dice l'Oratore, "ma come speri di raggiungere amore e virtù quando sei guidato da sentimenti di vendetta e di sdegno". "È vero", ammette Tamino, "ma i miei sentimenti di vendetta e di sdegno sono rivolti contro un empio". A questo punto una serena e significativa risposta dell'Oratore: "Una tale persona non troveresti mai tra noi", e Tamino subito chiede: "Non è qui che regna Sarastro?". "Si, Sarastro qui regna", e ancora Taurino chiede: "Regna egli proprio in questo Tempio?", ed alla risposta affermativa dell'Oratore Tamino conclude che: "Dunque anche qui la virtù è mendace", e quindi tutto ciò che appare all'esterno è falso. L'Oratore, mentre Tamino fa cenno di voler andare via, gli chiede se per caso non sia un po' precipitoso nel giudicare; gli dice di spiegarsi meglio e di riflettere se per caso non sia egli stesso, Tamino, in errore. Superfluo sottolineare l'alto valore morale ed il significato etico dello scontro tra l'ardore di Tamino e la saggezza dell'Oratore. La contrapposizione tra i due personaggi è esaltata genialmente dalla musica di Mozart che raggiunge in questo brano una delle più alte vette della sua efficacia psicologica; mai come in questo punto Mozart si rivela perfetto conoscitore dell'animo umano e dei suoi moti più segreti. La scena prosegue con Tamino che chiede all'Oratore se Sarastro sia il suo re e, avuta risposta affermativa, dice di non voler sapere oltre, dato che per lui Sarastro è il rapitore di Pamina, essendo stato accusato di tale delitto proprio dalla madre di Pamina, la regina della notte. L'Oratore continua a chiedere a Tamino perché egli odi tanto Sarastro, e Tamino risponde che proprio il pianto disperato di una madre prova che Sarastro è un tiranno disumano. E allora l'Oratore deride Tamino dicendo che forse è stato un po' ingenuo a fidarsi del "pianto femminile" ed aggiunge che si augura che lo stesso Sarastro possa spiegare personalmente a Tamino come effettivamente stanno le cose. Ma Tamino replica che se Sarastro ha rapito Pamina dal seno di sua madre egli è senz'altro un perfido tiranno. Al che l'Oratore ammette: è vero, Sarastro ha rapito Pamina; e Tamino di rimando: dimmi dove si nasconde; è mio dovere caro figlio, dice l'Oratore, osservare e tacere. Come si vede il conflitto è sempre tra ciò che appare e ciò che effettivamente è la realtà. Tamino cerca la verità, vuole perseguire il suo ideale di giustizia e liberare Pamina. Sarastro appare come un tiranno crudele che ha rapito la fanciulla, l'Oratore si nasconde dietro il silenzio ed intende osservare le reazioni di Tamino. A questo punto Tamino si pone la domanda che sintetizza il più alto valore simbolico: "O eterna notte, quando ti allontanerai? Quando i miei occhi potranno vedere la Luce?". E qui Mozart (ed è proprio il compositore che fa questa scelta, non è il librettista Schikaneder) affida la risposta al coro interno il quale solennemente dice: "Presto, presto giovane, o mai!". Siamo al punto focale del simbolismo massonico che chiede silenzio ed umiltà davanti ad eventi non facilmente comprensibili e nello stesso tempo affida più al sentimento, alla intuizione dell'iniziato la possibilità di penetrare il segreto della realtà. Tamino potrà conoscere la verità soltanto se saprà pazientare, osservare, valutare appieno il significato delle cose, esercitare su se stesso la volontà di capire, tacere, attendere ed infine liberarsi dal pregiudizio, dall'ira, dalla facile condanna di ciò che altri pretendono di denunziare e giungere al cuore delle cose attraverso la propria coscienza. La scena, strutturata in maniera geniale dal punto di vista musicale e condotta altrettanto genialmente sotto l'aspetto psicologico e spettacolare, prosegue con Tamino che chiede se Pamina sia ancora viva; "Pamina vive ancora" risponde il coro interno con la stessa solenne melodia. Tamino esulta, quindi ringrazia il cielo perché la sorte non è stata ingrata con Pamina e si ripromette di salvarla dalla prigionia e di manifestarle tutto il suo amore. Secondo i maestri che nel lontano agosto del 1960 tenevano il corso di perfezionamento al Mozarteum di Salisburgo (e mi è caro ricordarli: il maestro Lovro von Matacic ed il maestro Herbert von Karajan, con i quali collaborava l'allora giovane maestro Leopold Hager) questo passo è il più complicato e il più difficile, per il direttore d'orchestra, di tutta l'opera. "Studiatelo bene" ci diceva il maestro von Matacic, "perché se vi chiedono di assumere l'impegno di dirigere questa opera potrete dire tranquillamente di averla studiata in quanto i problemi direttoriali che vi pone sono i più complessi di quanti potrete mai incontrarne nel corso dell'opera". Per la verità vi è da dire che anche l'inizio della Ouverture (con i tre squilli e la parte "Adagio" e i successivi tre squilli che precedono la "Ripresa") fa un po' tremare il direttore d'orchestra (ed infatti costituiva materia di prova per chi avrebbe dovuto dirigere al concerto-saggio che concludeva il corso) ma non vi è dubbio che la scena dell'esultanza di Tamino sia, dal punto di vista musicale, una delle più impegnative sotto il profilo della concertazione e della direzione. La riprova del significato simbolico di questa scena, e del suo carattere altamente "riservato" agli iniziati, e quindi da decifrare in chiave di "comunicazione agli addetti ai lavori", mi è stata data, nel corso degli anni Sessanta, dall'aver assistito, per fortuna, ad uno dei film meno noti di quel genio dello schermo che è Ingmar Berg-man (il fatto che si debba allo stesso grande regista svedese una sublime edizione cinematografica del capolavoro mozartiano mi fa pensare che Bergman sia anch'egli un Fratello). Si tratta del film "L'ora del lupo", realizzato nella metà degli anni '60. Incentrato sul mistero dell'animo umano e sulla esplosione incontrollata della violenza che si nasconde nell'inconscio, il film propone una lunga sequenza dove le marionette (e credo si tratti delle famose marionette di Salisburgo) propongono ai personaggi del film l'esecuzione della scena descritta sopra. Qui il protagonista, la cui esplosione di rabbia lo renderà assassino, si trova con amici, in un salotto dove le marionette mimano l'azione di questa scena altamente simbolica del "Flauto Magico", ed uno degli amici commenta la scena per sottolineare la difficoltà di arrivare alla verità che si nasconde sotto apparenze ingannevoli. Momento di meditazione per chi scoprirà in se stesso che, nella eventualità che l'inconscio - bene o male che sia - prenda il sopravvento allo scoccare della "ora del lupo", la realtà può mutare aspetto in modo antitetico ed imprevedibile. Al di fuori delle considerazioni sul film di Bergman, che rimane uno tra i più pessimisti e sofferti della vastissima e significativa produzione del grande regista, l'insegnamento che si può trarre dall'accostamento della scena altamente simbolica del "Flauto Magico" e la sconvolgente realtà (descritta nel film stesso di Bergman) è che esiste, purtroppo, "l'ora del lupo" in cui si scatena la violenza sopita e repressa ma, per fortuna e più ottimisticamente, esiste anche l'ora in cui l'uomo ritrova se stesso al di sopra delle apparenze contraddittorie che potrebbero ottenebrare il suo giudizio. In tal senso Tamino supera il buio della notte e il suo animo si apre alla Luce. Ugualmente l'iniziato ritrova se stesso come giudice della realtà che lo circonda, l'uomo libero e di buoni costumi decide, quindi, secondo coscienza quale sia il comportamento da tenere al fine di perseguire gli ideali di giustizia, di uguaglianza nella libertà, di fratellanza ai quali intende ispirare le proprie azioni. |
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