Da quanto abbiamo esposto sorgono spontanee alcune domande:
1°) Quali furono i veri motivi che portarono alla rimozione dell'Ordine del Tempio?;
2°) Perché i Cavalieri, tanto potenti, non trovarono la forza di reagire e di impedire tale evento?;
3°) Quali motivi generarono il fenomeno del Templarismo nelle sue forme esteriori ed occulte?;
4°) Che é rimasto dell'essenza dei Templari nel Templarismo, e v'é ancora qualcosa - oggi nelle sue sopravvissute manifestazioni che possa veramente qualificarsi come una reale eredità dell'Ordine del Tempio?
Sul primo quesito rileveremo subito la degenerescenza cui andò soggetto l'Ordine man mano che si arricchiva, che le sue sedi si allontanavano dai luoghi dove era sorto, e che le ragioni per cui era stato fondato non esistevano più.
Tale degenerescenza aveva già modificata la tradizione alla fine del secolo XII. Non si trattava più di difendere i pellegrini e di combattere i briganti, ma di contrastare gli infedeli più che per la difesa e la gloria della Croce, per mantenere le conquiste effettuate.
Col passar degli anni ed il progressivo successo musulmano, l'Ordine, anziché arroccarsi in Mediterraneo ritenne più conveniente ritirarsi nelle ricche Commende costituite nel passato quali basi di accentramento e raccolta, per esercitarvi ricchi traffici, ponendo la Gran Maestranza, con la direzione di tutta l'attività - ormai prevalentemente commerciale e finanziaria - a Parigi, in quella Francia dove la nobiltà feudale, gelosa delle sue prerogative, vedeva nell'Ordine - al quale gran parte di essa apparteneva - un potentissimo alleato nelle cui fortezze rifugiarsi in caso di bisogno.
Alcuni storici, a questo proposito, accennano alla tendenza sviluppatasi nell'Ordine, di accogliere gli scomunicati, ottenendo per loro, dopo la loro ammissione, un decreto di assoluzione dall'anatema da parte del Vescovo della Provincia. É assai probabile che la gran parte di questi scomunicati fossero dei ribelli all'autorità papale e reale, e se Roma od Avignone potevano passar sopra ad una ribellione una volta tolta la scomunica in quanto il ribelle rientrava in seno alla Chiesa facendo atto di penitenza e sottomissione con la sua stessa appartenenza all'Ordine, non così poteva il Sovrano, dato che la revisione della scomunica avrebbe dato maggiore forza al ribelle che così sfuggiva al castigo, trovando rifugio e assistenza in una organizzazione potente, sostenuta dalla Chiesa.
Era quindi ovvio che uno Stato dove la Monarchia stava tentando di imporsi ai grandi feudatari, spesso ribelli tanto da impugnare le armi contro il loro Sovrano, non gradisse l'esistenza di una nobiltà organizzata in una sempre più potente e ricca confraternita che, praticamente, rappresentava uno Stato nello Stato; e che il Sovrano tentasse, nell'interesse della sua Casa, di porre un freno all'aumentare di tale potenza e ricchezza; anzi, di distruggerne la potenza impadronendosi della ricchezza. Da questo punto di vista, politico e dinastico, tutta l'azione di Filippo il Bello che va comunque fermamente condannata appare sotto un aspetto del quale non si volle tener conto.
Meno chiaro perché privo anche dei motivi politici appare il comportamento di Clemente V che, specie dopo i risultati dei processi extra-Francia, non avrebbe dovuto pronunciare la condanna dei Templari. E qui ci potrebbe soccorrer Dante, con i suoi versi: «Sicura, quasi rocca in alto monte - Seder sovr'esso una puttana sciolta - m'apparve con le ciglia intorno pronte; - e come perché non li fosse tolta - vidi di costa a lei dritto un gigante; - e baciavansi insieme alcuna volta». (Purgatorio XXXII, 146-153) e: «Nuovo Iasòn sarà, di cui si legge - nÉ Maccabei; e come a quel fu molle - suo re, così fia lui chi Francia regge» (Inferno XIX, 85-87); in cui nella prima citazione indica il connubio fra Clemente V e Filippo il Bello, e nella seconda si rifà all'esempio di Iasòne, che comprò il pontificato dal re Antioco di Siria (cfr. II Maccabei IV, 7-26; V, 5-10), esempio illustrato nel commento scartazziniano alla «Divina Commedia» dove si dice, citando G. Villani - VIII, 80: «Clemente V comprò il Papato facendo larghe promesse e concessioni a Filippo il Bello, fra le quali tutte le decime del Reame per cinque anni, fissò la Sede in Avignone, assecondò le colpevoli voglie di Filippo, soppresse l'Ordine dei Templari».
Al secondo quesito é da rispondere prendendo in esame la questione dell'eresia di cui i Templari furono accusati erroneamente e fraudolentemente in blocco. Non si può infatti escludere, dal punto di vista storico e dalle documentazioni raccolte, che il manicheismo, le cui dottrine avevano avuto larga diffusione in Francia nelle Corporazioni della Lana e dei costruttori di cattedrali, non abbia trovato tolleranza fra i Templari francesi che si interessavano di commercio e di costruzioni.
Gran parte dei «tisserands» francesi, così come tanti altri tessitori italiani e di altre nazionalità, o appartenevano alla piccola nobiltà, o con le cariche ricoperte nei Consigli e nelle Corporazioni furono nobilitati. I contatti con i «tisserands» che appartenevano in gran parte all'eresia catara (più noti in Francia come Albigesi) o che si interessavano di dottrine gnostiche, l'ingresso di molti di essi nei Conventi del Tempio quando per ragioni di reciproca convenienza, o per sottrarsi alle persecuzioni religiose, possono aver creato in seno all'Ordine, e particolarmente in Francia, gruppi di cavalieri di tendenze gnostiche e manichee. D'altra parte la lotta in Terrasanta, ed i frequenti contatti dei Templari con la setta ismaelita degli Haschischin che, specie sotto la maestranza di Rashidad Din Sinan, parteggiò spesso per i Crociati, provocarono indubbiamente una certa elasticità di vedute nei confronti di determinati problemi di ordine metafisico.
Ammessa tale infiltrazione eretica, o come si vuol meglio - da parte di alcuni «filosofica», Si può capire come i Cavalieri delle Provincie di altra lingua, legati agli interessi dei principi tedeschi e dell'Impero, e forse frenati dalle personali ambizioni dei loro maestri regionali che mai più si aspettavano la rimozione dell'Ordine, non si mossero in soccorso dei loro fratelli francesi e del Gran Maestro, preoccupandosi, invece, non appena Clemente V ordinò i processi extra-Francia, di non esser compromessi con coloro che, sia pur sotto tortura, avevano confessato crimini infamanti. Nessuno, infatti, si aspettava la rimozione dell'Ordine.
Per risponder al terzo quesito ricorderemo che il martirio dei Templari generò deprecazione verso la Monarchia francese ed il Papato d'Avignone, e simpatia verso i perseguitati. Dante, che ben si può definire «testimone» del suo tempo, bolla indelebilmente Filippo con tre versi: «Veggio il novo Pilato sì crudele, - che ciò nol sazia, ma senza decreto - porta nel Tempio le cupide vele (Purgatorio XX, 91-93) e Clemente V con i seguenti: «Del sangue nostro Caorsini e Guaschi s'apparecchian di bere ...» (Paradiso XXVII, 58-59), e: «Ma poco poi sarà da Dio sofferto - nel santo officio; ch'el sarà detruso - là dove Simon mago é per suo merto, - e farà quel d'Alagna intrar più giuso» (Paradiso XXX, 145-148).
La sua opinione dà la misura di quel che si pensasse a quel tempo. La nobiltà feudale francese, succube della sete di danaro e di potenza di Filippo, che era giunto a batter moneta falsa per finanziare la guerra di Fiandra (e, ancora, ci soccorre Dante, Paradiso XIX, 118-120: «Li si vedrà il duol che sovra Senna - induce, falseggiando la moneta, - quel che morrà di colpo di cotenna»), vide nella soppressione dell'Ordine la vittoria del potere accentratore. Le sette eretiche, a loro volta, videro nei roghi dei Templari un imminente pericolo per le loro dottrine. Sorsero così le voci delle maledizioni Templari: la morte di Clemente V avvenuta il 20 aprile 1314 e le disavventure cui andò soggetta la sua salma; la successiva morte di Filippo, nel novembre dello stesso anno, nel corso di una caccia al cinghiale, dettero ossigeno a tali voci, dando forma e sostanza, col passar degli anni, alla leggenda di un'eredità di vendetta lasciata da De Molay e dai suoi Cavalieri.
Interessi politici e scismatici specularono così su di una pretesa dottrina segreta dei Templari, mai esistita se non nella forma di un «filosofeggiare» di qualche gruppo isolato: di qui il sorgere del Templarismo nelle sue varie forme, da quella di rivendicazione dei diritti della nobiltà oppressa dal potere centralizzato, a quelle di affermazioni dottrinarie da parte dei seguaci di alcune eresie, per giungere alla Massoneria moderna, proclamante che l'eredità dei Templari é la lotta - sia pur simbolica contro la Tiara e la Corona.
Non v'é formazione pseudo templare dal 1400 in poi (prendendo in considerazione anche la leggenda di Kilwinning) che non abbia per sua base rivendicazioni di qualche genere. A questo proposito é interessante scorrere la lista dei Gran Maestri che avrebbero ricevuto la successione da Larmenius, per rendersi conto che si tratta di persone che avevano, o credevano di avere qualcosa da rimproverare alla Monarchia francese; né si può dimenticare la lotta fra Ugonotti e potere regio, la Notte di San Bartolomeo e la concessione delle piazze di sicurezza di La Rochelle, Cognac, Montauban e La Charité agli Ugonotti superstiti; lotta passata alla storia come il periodo delle guerre di religione, mentre si trattò proprio dell'ultimo tentativo efficace fatto dalla nobiltà feudale per mantenere la propria indipendenza (quando non degenerò in una lotta fra il partito dei Guisa e quello dei Borboni). La condanna del Giansenismo, ultima roccaforte delle dottrine sulla predestinazione, basate sul motivo fondamentale del dualismo spirito - materia (Dio - Satana), care ancor oggi a molti Massoni ortodossi e ad altre confraternite cosiddette «illuministe», non é certo completamente estranea al riapparire dell'Ordine del Tempio alla fine del XVII secolo, e la Maestranza di Filippo d'Orleans, che sostenne i Giansenisti, potrebbe esserne una prova.
Che il neo-templarismo del Ramsay si debba invece inquadrare in una funzione alquanto diversa appare chiaro quando si pensi che si trattava di un movimento al servizio degli Stuart e dei loro sostenitori. Che tal seme abbia poi generato, in Francia, gruppi speculativi gnostici e manicheisti, o il Templarismo joannita di Lione, o il simbolismo dei gradi cosiddetti «interiori» delle logge massoniche, non può far meraviglia, per quanto si é già detto.
Si era giunti ormai al disfacimento di tutto ciò che poteva essere tradizionale, ed i tentativi di ricuperare qualcosa di questa tradizione non potevano che fallire, mancando una trasmissione piena, efficiente, reale, quando non si trattava addirittura di improvvisazioni su leggende travisate, peggio interpretate, con l'aggiunta di mere invenzioni, come é il caso della Stretta Osservanza di von Hund e di quanto ne é derivato.
Da quest'ultima considerazione e da quanto discende da quelle prese in esame per le risposte al terzo quesito, si ha anche la risposta al quarto ed ultimo.
Poco, pochissimo é rimasto infatti nel Templarismo di quanto fu alla base dello spirito nobilissimo che animò i primi Cavalieri che, in povertà, si assunsero lo onere di difenderei pellegrini di Terrasanta. Dai tempi in cui due Cavalieri viaggiavano sullo stesso cavallo e si dividevano lo stesso mantello, all'epoca della ricchezza e della potenza dell'Ordine già molto si era perduto; oggi, quando tutte o quasi tutto si riduce a far rilucere al collo o sul petto l'orpello di una decorazione o ad indossare una sciarpa ricamata nel corso di cerimonie che nulla hanno a che vedere con la Regola di San Bernardo, se tutto non é ancora perduto, tutto é certamente stato travisato, contrariamente ad ogni autentica tradizione.
A nostro avviso, abbandonando a coloro che amano le speculazioni più o meno filosofiche o metafisiche, le ricerche e le interpretazioni simboliche che giustificherebbero pretese discendenze teoriche, ed attenendoci alla realtà, ci sembra che, pur con tutte le riserve possibili e con estrema prudenza, e ciò tenendo conto anche della degenerescenza subita - in funzione dei tempi - da tutti gli Ordini cavallereschi di tradizione e dell'allineamento generale da essi subito per cui, in sostanza, oggidì, si tratta di onorificenze più che di investiture, sia l'Ordine portoghese del Tempio di Gerusalemme, che quello italiano dei Cavalieri del Tempio, ambedue rifacentisi alla stessa discendenza, possano considerarsi, non i continuatori della tradizione Templare di cui non ci sembra assolutamente il caso di parlare, ma di quelle forme di Templarismo che possano tramandare i ricordi di un passato glorioso senza speculare su questioni sulle quali molto si é discusso e si discute ancor oggi senza prove. Fra i due, poi, sembra che, sulla base di quanto si richiedeva per esservi ammessi, il secondo, cioè l'Ordine dei Cavalieri del Tempio, scaturito dal Gran Priorato d'Italia all'epoca delle scissioni e dei ripensamenti, fosse quello che manteneva una forma, sia pur incompleta, di investitura, e quindi, più vicino ad una tradizione cavalleresca intesa in senso generale.
Indice
L'Ordine del Tempio
L'ordine del Tempio e la Massoneria
Gli Ordini Cavallereschi del Templarismo
Cronologia processo Templare
Riflessioni Conclusive
La
Tragedia del Tempio