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L’ombra di Stalin, assurto agli occhi dell’opinione pubblica ad arbitro dispotico delle sorti dell’Europa non ancora pacificata, è la protagonista di questa vignetta.
Liberata Roma nel giugno 1944, in sostituzione di Badoglio, Bonomi fu incaricato di dar vita a un governo più ampiamente rappresentativo delle componenti dell’antifascismo italiano. Tra i membri del nuovo gabinetto spiccava il nome di Palmiro Togliatti, esponente del Partito comunista, tornato di recente dall’Unione Sovietica a tessere le file della rifondazione della sinistra italiana.
Coadiuvato da Pietro Nenni, a capo del Partito socialista, Togliatti tentò di evitare ogni assestamento a destra del rinato governo democratico grazie alla sua consumata abilità politica e all’indubbia forza d’urto rappresentata nel Paese dai comunisti.
La sua presenza nella compagine ministeriale fu assai poco gradita alla grande borghesia, che dopo lo scossone del fascismo aspirava a riprendere le redini del potere in Italia. Oltretutto, le notizie sui misfatti staliniani provenienti dall’Unione Sovietica non deponevano certo a favore di un ingresso indolore delle sinistre nelle maggioranze governative: anzi, scatenarono una vera e propria ridda di polemiche che si conclusero solo nel 1948 con la vittoria elettorale della Democrazia cristiana di De Gasperi.
È ben comprensibile, in questa atmosfera, l’accusa rivolta dal vignettista al re di essersi lasciato mettere il guinzaglio (e proprio sulla più prestigiosa insegna del casato) ‘dall’orso sovietico’. In realtà la situazione era molto più complessa e sfumata e destinata a risolversi in tempi molto più lunghi del previsto, ma comunque sia con esiti assai diversi dalla satirica interpretazione della vignetta.


"L’uomo di pietra", 22 agosto 1944