Una delle conseguenze più pesanti dell'intervento militare italiano in Etiopia fu, sul piano sia interno sia internazionale, l'imposizione di pesanti sanzioni economiche decise nel novembre 1935 da molti Paesi nei confronti dell'Italia. Le cosiddette 'inique sanzioni' furono immediatamente accolte dall'opinione pubblica italiana come un pericolo mortale per l'economia, già dissanguata da una cattiva gestione e dalle spropositate spese militari di Mussolini. In realtà, quello che doveva essere un rigido embargo commerciale si rivelò un'intenzione più che un fatto compiuto, confermando tra l'altro clamorosamente le prediche del duce a proposito dell'autarchia. Paradossalmente, infatti, materie come il carbone e il petrolio erano escluse dal blocco commerciale: la loro mancanza avrebbe in effetti messo in ginocchio l'Italia, ma nessun Paese volle assumersi una responsabilità storica così gravosa. Inoltre, la Russia continuò regolarmente le proprie forniture di materie prime all'Italia, mentre gli Stati Uniti interpretarono molto elasticamente il decreto non essendo vincolati a eseguire i deliberati della Società delle Nazioni. Infine, la Germania rifiutò categoricamente di applicare l'embargo, giudicando utile che l'Italia concentrasse tutti i suoi sforzi nella guerra africana disinteressandosi delle sorti dell'Austria, già fagocitata dal Reich. Verificandosi tutte le condizioni per la sopravvivenza del Paese nonostante le sanzioni, il regime sfruttò abilmente questa carta come strumento propagandistico, accusando la Gran Bretagna di inettitudine e di scarso peso politico internazionale. "Guerin Meschino", 17 maggio 1936
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