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Nonostante la conclamata, ferrea alleanza tra l'Italia e la Germania, profonde differenze di valutazione divisero a lungo - si può dire fino alle avvisaglie della guerra mondiale - i due Paesi.
Uno dei più evidenti punti di attrito fu la politica razziale, cavallo di battaglia di Hitler le cui criminali conseguenze sono ancor oggi sotto gli occhi di tutti.
In Italia una profonda e coerente politica della razza non fu invece mai condotta dal fascismo, che solo per compiacenza ed emulazione nel 1938 aderì alle pressioni tedesche dando inizio alle persecuzioni antiebraiche e contro le minoranze etniche - Slavi e Altoatesini soprattutto - presenti nel Paese.
Nel 1931 gli Ebrei presenti in Italia erano, secondo un censimento, appena cinquantamila e il loro numero si accrebbe moderatamente con l'esodo dalla Germania dei perseguitati. L'"Enciclopedia italiana", di solito strettamente aderente alle enunciazioni del regime, non riportava in quegli anni sotto la voce 'razza' alcun riferimento all'esistenza di una specifica razza italiana: addirittura, la voce 'antisemitismo' fu redatta da un ebreo. Questa l'atmosfera precedente al 1938, della quale la vignetta del "Guerin Meschino" è un'esplicita testimonianza.
Alla pretesa tedesca di leggere la storia e la cultura in chiave rigorosamente ariana, attribuendo alla stirpe germanica ogni grande svolta dell'umanità, il giornale italiano rispondeva schierando ironicamente le glorie italiche come Dante, Colombo, Galileo e Leonardo in un immaginario plotone di uomini di cultura che, agli ordini di un sergente nazista, marciano col passo dell'oca. Solo qualche anno più tardi, purtroppo, il fascismo riterrà di inventare, al fianco del genio della razza tedesca, anche il genio della razza italiana.


"Guerin Meschino", 10 febbraio 1935