Mentre il fascismo progrediva senza eccessive opposizioni, l'unica forza che avrebbe potuto opporvisi in maniera organica e decisiva, quella socialista, veniva dilaniata da frazionamenti e scissioni interne di esito deleterio per la storia degli anni successivi. La crisi maturò negli ultimi mesi del 1920, preceduta dalle deliberazioni del II congresso dell'Internazionale comunista tenuto a Mosca tra il luglio e l'agosto. Nonostante l'opposizione di qualche rappresentante italiano, tra cui soprattutto Serrati, a Mosca era prevalsa la linea leninista di creazione di partiti comunisti ben differenziati da quelli socialisti contro ogni suggestione unitaria. Si preannunciava dunque anche in Italia la formazione di una nuova forza politica destinata a rilevare l'ala sinistra del PSI: ciò non era neppure nelle previsioni di Lenin, il quale pensava a una rigenerazione del partito attraverso l'espulsione dei riformisti. Il dibattito interno al partito fu in quei mesi piuttosto acceso e confuso, con l'elaborazione di numerose mozioni congressuali spesso contrapposte frontalmente. Al congresso nazionale di Livorno, che si tenne nel gennaio del 1921, la spaccatura divenne pubblica: da un lato i comunisti unitari di Serrati, dall'altro i riformisti di Turati e infine i 'terzinternazionalisti' di Bordiga. Questi ultimi, messi in minoranza, decisero la scissione, riunendosi separatamente e dando vita al Partito comunista d'Italia, i cui dirigenti di spicco furono Bordiga, Potano, Gramsci, Terracini, Bombacci e Fortichiari. Di questi contrasti e della situazione frammentaria che ne derivava non poterono che gioire le forze conservatrici, come testimonia questa vignetta di Golia. "Numero", 23 gennaio 1921
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