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Caduto nel luglio del 1921 l'ennesimo governo Giolitti, l'incarico di dar vita a una nuova compagine ministeriale fu affidato a Bonomi, che oltre la presidenza del Consiglio tenne per sé
anche il Ministero degli Interni.
Il suo obiettivo era infatti quello di iniziare la faticosa opera di ricostruzione della democrazia imponendo anzitutto una tregua tra le forze politiche più accese ed estremiste, la cui azione era considerata di grave turbamento a qualsiasi progetto egli volesse por mano. Dopo una serie di delicate ed estenuanti trattative Bonomi riuscì a far attuare un 'patto di pacificazione' tra fascisti e socialisti, attraverso il quale riteneva di poter meglio porre sotto controllo l'ordine pubblico. Inoltre, il capo del governo fece di tutto per accreditare l'opinione di un'equidistanza dei vertici dello Stato dall'uno e dall'altro movimento, le cui infrazioni sarebbero state punite con eguale inflessibilità. In realtà il 'patto di pacificazione' fu una risoluzione più formale che sostanziale, che non ebbe il minimo effetto soprattutto dove lo squadrismo poteva contare su un potere quasi assoluto, come in Romagna.
Inoltre era difficile rinnegare in così breve tempo l'alleanza verificatasi tra fascisti e liberaldemocratici nelle recenti elezioni (maggio 1921), in cui Mussolini aveva ottenuto un successo cospicuo, e sconfessare lo sforzo continuo sostenuto dalle forze moderate per inserire il fascismo nell'ambito delle istituzioni liberali. Di fatto, come protestarono i socialisti, l'attività di Bonomi fu a senso unico, rivolta solo a indebolire le sinistre senza incidere affatto sull'avanzata violenta del fascismo. Come indica questa vignetta dell'"Asino", Bonomi aveva sì due pistole puntate contro entrambi i movimenti, ma solo quella rivolta contro i socialisti era carica.


"L'Asino", 7 gennaio 1922