Il processo unitario è in pieno svolgimento. L’Italia si sta formando attorno al regno di Sardegna con i Savoia. Cavour, il maggior realizzatore dell’unità, è il protagonista di una politica ora audace ora accorta, statista finissimo che non avrà però la fortuna di vedere composto il mosaico di una figura tanto vagheggiata cui, alla sua scomparsa, mancheranno le tessere del Veneto e di Roma. L’Italia si unisce ma non riesce a fondersi. Le difficoltà sono enormi. L’1 e il 12 marzo 1860 Parma, Modena, Legazioni e Toscana esprimono a grandissima maggioranza la loro volontà di unione col Piemonte. Si tratta ora di contemperare usi, costumi, senso della legge. La strada scelta è quella della ‘piemontizzazione’, cioè del regno guida al quale ogni altra regione dovrà ispirarsi. La cosa non poteva piacere a tutti e toccò alla satira corrodere il principio di ‘piemontizzazione’. Essa lo fece attaccando il massimo esponente di questo concetto, quel Cavour che, pur tanto meritorio, non riusciva a credere che non bastava riunire l’Italia per avere l’unità degli Italiani e che il Piemonte non poteva accentrare ogni espressione della vita politica, culturale, artistica e diventarne la misura senza creare forte malcontento e tensioni che sfociarono in un manifesto rifiorire di tendenze municipalistiche. Cavour sarebbe potuto diventare per la penna dei caricaturisti colui che vedeva l’Italia come un forziere cui attingere per trasferire in Piemonte quanto di più bello e di più prezioso potesse trovarvi. Eccolo, nella vignetta caricarsi sulle spalle la fiorentina cupola del Brunelleschi per adornare l’amato Piemonte. "L’Arlecchino", Firenze, 18 agosto 1860. |