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UN NOVECENTO
DA RIDERE

di ALESSANDRO FRIGERIO

 

La democrazia è una battaglia quotidiana tra la società civile e le stanze del potere, dove le armi principali sono la critica, la partecipazione e l'intervento. Uno degli aspetti più interessanti, e al tempo stesso uno dei più fecondi della democrazia è la satira, forse il migliore indicatore del grado di libertà di pensiero e di opinione raggiunto da un Paese. Molte riviste si sono esercitate lungo un secolo, il XX, a mettere in ridicolo le debolezze e i vizi italici nell'intento, forse più che di correggerli, di renderli il più possibile manifesti. Perennemente sospesa tra il dubbio se attaccare solo il potere o anche i suoi compagni di strada, se prendere di mira le istituzioni seguendo la regola del buon gusto oppure impugnando la clava della volgarità, se ridicolizzare con raffinatezza i singoli potenti o scegliere di svelare i linguaggi oscuri della politica, la satira italiana ha complessivamente goduto di una buona salute. Il primo filone della sua storia novecentesca è costituito dal lascito della polemica anticlericale del XIX secolo. Negli anni immediatamente successivi alla presa di Roma si era avuto, infatti, un grande sviluppo della satira anticlericale, con testate come il Pasquino a Torino, L'uomo di pietra a Milano, La rana a Bologna, e ancora con i milanesi Lo spirito folletto e Don Pirloncino. Gli argomenti per sbeffeggiare la Chiesa sono quelli che affondavano nella cultura popolare e nello spirito ghibellino italiano: la sete di potere degli alti prelati e dell'istituzione ecclesiastica in genere, l'avidità di denaro e ricchezze, la simonia. Con il nuovo secolo la satira anticlericale incomincia però a perdere smalto. Certo, merita una segnalazione una rivista come L'Asino, di Goliardo e Ratalanga, entrambi feroci e tenaci polemisti anticlericali.
Del resto il successo del loro foglio fu notevole. Lo dimostrano oltre che la messe di processi, multe e sequestri cui L'Asino andò incontro nei primi anni del Novecento, anche la nascita una testata clericale che si tentò invano di contrapporgli: Il Mulo. Fondato a Bologna nel 1907, "il Mulo clericale - come ha scritto Enrico Gianeri in una sua Storia della caricatura - decadde più miseramente del suo antagonista. Per la causa stessa che difendeva, fu trascinato in un contorto neutralismo e in una mascherata austrofilia, subì sequestri e processi e si ridusse ad un foglietto insignificante dall'aria di famiglia del giornalucolo parrocchiale. Si spense nell'indifferenza nel 1923". Tuttavia, il progressivo spegnersi della satira anticlericale era dovuto all'essenza delle cose. La solidità dello stato unitario era ormai definitivamente acquisita e con essa l'impossibilità di un ritorno del potere temporale del papato. L'abolizione ufficiale del non expedit nel 1919 e la firma dei Patti Lateranensi del 1929 istituzionalizzarono i buoni rapporti tra Stato-Chiesa togliendo vigore ai lazzi antiecclesiastici. E la satira anticlericale incominciò ad affievolirsi, spesso non andando oltre l'abusata immagine del curato che accarezza le rotondità dell'onnipresente perpetua.
Tanto più che con l'avvento del fascismo gli spazi per la libertà di sberleffo nei confronti delle istituzioni (e quindi, dopo il 1929, anche della Chiesa) diverranno - per usare un eufemismo - sempre più "stretti". Vi è che nei primi due decenni del Novecento diventano altri i bersagli preferito dalle matite degli illustratori. C'è in primo luogo la grande politica internazionale. L'Italia è un paese giovane e proteso entusiasticamente verso il futuro. La Triplice Alleanza ci ha aperto la porta di servizio per accedere al consesso delle grandi potenze. Ma l'Italia grande potenza ancora non lo è, e mai lo sarà. Tuttavia i vignettisti si esercitano nel raffigurare l'Italia come una giovane e bella fanciulla oggetto di attenzioni troppo interessate di Germania e Austria-Ungheria.
A trarre tutti quanti fuori dall'equivoco ci penserà la Grande guerra, che contribuirà a far uscire alla luce del sole la vena nazionalista e patriottica della nostra satira. I bersagli preferiti sono il Kaiser e Francesco Giuseppe, ma anche i "pescicani" che ingrassano speculando sulle forniture belliche. Tra le testate più note citiamo qui Il 420, settimanale antitedesco fondato a Firenze nel dicembre 1914. Ai primi numeri collaborarono caricaturisti del calibro di Sacchetti, Yambo e Mario Fiorini (quest'ultimo cadrà di lì a poco sul Podgora).
A partire dai primi mesi del 1918 anche l'Ufficio Propaganda dell'esercito si rese conto dell'efficacia persuasiva della satira e decise di istituire delle riviste cui andarono a collaborare alcuni tra i migliori caricaturisti e umoristi italiani. La più nota è stata senza dubbio La tradotta, a cui collaborarono Sacchetti e Brunelleschi, ma anche La trincea, che si avvalse delle tavole di Aroldo Bonzagni, e ancora la Ghirba e il Signor sì. Dopo la guerra tornarono alle stampe il Pasquino e, dal 1921, il vecchio L'Asino. Ma nel rinnovato ed euforico clima culturale sorsero soprattutto nuovi periodici satirici, come il Satana, poi diventato Beffa, o il Serenissimo, creato nel 1921 da Pio Vanzi, ex direttore del Pasquino. Accomunati dalla collaborazione di schiere di battaglieri caricaturisti e da una vocazione schiettamente antifascista, tutte questi fogli diedero il meglio di sé durante il delitto Matteotti. E gli effetti non si fecero attendere: le redazioni e le tipografie furono devastate, fino a quando, con le leggi liberticide del 1925, il concetto mussoliniano di "libertà di stampa" non portò alla loro definitiva soppressione.
Tra i migliori esempi di satira antifascista non può non essere segnalata la testata campione, il settimanale Il becco giallo. Il becco giallo venne fondato nel gennaio del 1924 a Roma da Alberto Giannini, giornalista prima socialista quindi schieratosi per l'intervento nella prima guerra mondiale. Nei suoi pochi anni di vita - chiuse infatti i battenti nel 1931 dopo essere "fuoriuscito" in Francia nel 1927 - la rivista si distinse come uno dei più feroci fogli satirici antifascisti. Nel programma pubblicato sul primo numero era scritto, con ironica malizia: "Noi siamo per il fascismo: per questa meravigliosa forza che, scaturita dalle millenarie propaggini dell'immortale razza italica, è apparsa in camicia nera nei chiari cieli d'Italia apportatrice di salvezza". Ma si aggiungeva più avanti: "E appoggiamo, perciò, con tutte le nostre energie l'opposizione la quale al regime fascista di dittatoriale violenza che ha invertito tutti i valori morali e col terrorismo ha asservito l'Italia ad una banda di predoni, resiste eroicamente sfidando ogni giorno le più brutali aggressioni e lotta per la libertà soppressa, per la millenaria giustizia italiana conculcata, per la riconquista delle guarentigie costituzionali, per ridare prestigio all'Italia nel mondo".
Le contraddizioni del proclama ai lettori era il metodo usato da Giannini per riassumere le stesse contraddizioni della politica e del genio italico. Bersagli preferiti del settimanale saranno naturalmente un Mussolini supermascelluto, raffigurato volta a volta come scimmia, lupo, equilibrista, o Napoleone in sedicesimo. Ma anche il re, vittima consenziente - spesso raffigurato in atteggiamenti meschini -, della dittatura in camicia nera. Oggetto di caricature sarà anche tutta la schiera dei gerarchi e degli intellettuali organici di regime, da Farinacci a Gentile.
Ma anche il vecchio Giolitti, effigiato nei panni del politico di lungo corso attento ormai solo a restare a galla, fautore di una opposizione all'acqua di rose che di fronte alle sopraffazioni fasciste si trincera dietro il neutro consiglio di "portare pazienza". Il becco giallo dovette subire fin dai primi numeri di vita sequestri, assalti alla redazione e all'abitazione del suo direttore, violenze e minacce di ogni genere. La libertà manifestata dal settimanale satirico, è stato scritto in una bella antologia, non fu l'usufrutto di un diritto riconosciuto, ma, al contrario, la conquista di una autonomia di giudizio come consapevole sfida al regime di giorno in giorno più che mai totalitario.
Alberto Giannini si difese in tribunale, con duelli all'arma bianca, ma alla fine, nel gennaio 1926 la sua rivista fu ufficialmente soppressa. Trasferita la redazione in Francia, riprenderà le pubblicazioni nell'agosto del 1927. Nel 1930 diventerà l'organo fiancheggiatore di "Giustizia e libertà" fino alla cessazione della pubblicazione l'anno successivo. Nel 1934 Giannini, con una giravolta apparentemente incredibile - ma in realtà dettata da esigenze economiche e, del resto, in sintonia con la sua indole controversa - fonderà nel 1934, sempre a Parigi, Il Merlo, periodico allineato su posizioni filofasciste. Il fascismo, dal canto suo, espresse qualche prodotto satirico con il milanese Matamoro e con il Corriere della Serva, i cui intenti erano quelli di opporsi polemicamente alla assai più vivace stampa antifascista dei primi anni Venti.
Più orientati verso l'umorismo - i tempi non consentivano altro - furono il Marc'Aurelio, fondato a Roma nel 1931, e con la collaborazione del vignettista Galantara, il Fuorisacco, dal 1932 supplemento della Gazzetta del Popolo (vi si affermò come disegnatore Giuseppe Novello, ironico e garbato fustigatore della borghesia italiana tra le due guerre) e il Bertoldo, fondato a Milano nel 1936 e diretto dal caricaturista e umorista Giovanni Mosca e da Vittorio Metz. Ma in genere gli sberleffi avevano poco di politico: le paure e i divieti facevano sì che gli unici argomenti concessi fossero il fuoriuscitismo, l'eterna massoneria e i nemici di turno dell'Italia fascista. Il resto - giusto il giudizio di Enrico Gianeri - erano "motivetti prefabbricati: donne in crisi, coppie sterili, vitaioli e grassi borghesi". Finita la seconda guerra mondiale sembrò non ci fosse più molto da ridere. Tuttavia la satira risorse con grande vivacità. Tra i primi fogli dell'Italia liberata ci fu il Don Chisciotte, nato nel 1944 a Salerno, e il Cantachiaro, fondato a Roma nello stesso anno e diretto prima da Ferruzzi poi dalla coppia Garinei-Giovannini. Quindi poco a poco ripresero le pubblicazioni Il becco giallo, il Travaso, il Pasquino e il Guerin Meschino.
Rigorosamente antifascisti e filorepubblicani, questi periodici affilavano la loro arguzia traendo spunti dal riciclaggio degli ex fascisti nelle istituzioni, dal disagio dei reduci, dal mercato nero e dai facili e sospetti guadagni dei nuovi ricchi. Ma fu il gusto troppo a lungo represso per la politica a scatenare i migliori furori satirici. sia a destra che a sinistra. Significativi dei due schieramenti furono il Pettirosso, edito dall'Avanti dal 1944, che si impegnò in una intensa campagna antimonarchica, e L'uomo che ride, anticomunista e schierato su posizioni di destra.
In questo fervore non poteva non mancare una forte rinascita della tradizione anticlericale, scatenata non appena si prefigurò la potente alleanza tra cattolici, clero e borghesia nel voler fare barriera contro le forze della sinistra. Del resto non poteva essere altrimenti nei primi turbolenti anni del secondo dopoguerra, con il Fronte popolare e la DC a fronteggiarsi in una battaglia senza esclusione di colpi.
Sono questi gli anni d'oro del Mercante (1946), del Pollo (1946) e del Don Basilio (1950-1954), mentre da parte clericale si diede alle stampe (immemori del fiasco del Mulo) un On. Palmillo (1947) che voleva imitare maniere e linguaggi degli avversari.

Nel  novembre 1954 nacque il Candido, fondato da Giovannino Guareschi e Giovanni Mosca come strumento di satira anticomunista ma anche di sberleffo contro in nuovo potere. Tant'è che alle stoccate al PCI e al popolo comunista (i famosi "trinariciuti") fecero da pendant l'accusa di vilipendio per una vignetta su Luigi Einaudi e l'arresto di Guareschi per una polemica con De Gasperi in merito alle responsabilità per i bombardamenti alleati su Roma. Meritano infine una noticina anche L'uomo qualunque di Giannini, che per pochi anni riuscì a cavalcare la protesta e il malcontento della borghesia italiana, e Fra Diavolo (1945-1947), giornale di vivace polemica nato a Milano che ebbe tra i suoi collaboratori Montanelli. Negli anni Cinquanta e Sessanta la caricatura e la satira si spostarono sempre più sui grandi rotocalchi, perdendo così di vita autonoma. Il boom economico e il benessere tolsero smalto alle matite più graffianti. Rinchiusi nel proprio "particulare" gli italiani smisero di ridere di sé. In fondo perché essere ancora cattivi e graffianti una volta che il bersaglio grosso della retorica fascista e dei cialtroni di regime era venuto meno? La pax repubblicana e l'accettata impossibilità di una alternanza politica illanguidirono in quei decenni anche gli animi più pugnaci.
Ma era proprio all'ombra di quella operosità che si stavano preparando gli scandali dell'Italia del malaffare che sarebbero esplosi di lì a poco. Ha scritto Oreste Del Buono che la satira politica degli anni Settanta non faceva ridere granché. Erano gli anni di Leone presidente della Repubblica, del compromesso storico, del terrorismo. Di argomenti e di soggetto succulenti per le matite più sarcastiche ce n'erano in quantità. Ma secondo Del Buono, in quegli anni la satira non faceva ridere perché i suoi autori, per temperamento e per attitudini psicofisiche erano refrattari al riso. "I nostri autori attuali - quando Del Buono scriveva queste parole si era alla fine dei Settanta e nel gota della satira c'erano gli stessi nomi di oggi, Forattini, Altan, Chiappori, Vincino... - lavorano solitari. L'abitudine allo scherzo, all'allegria di gruppo non c'è... nella maggior parte dei casi i nostri autori attuali sono di una permalosità rara. Loro che sono sempre pronti a cogliere e mettere alla berlina la tara psicologica o fisica dei bersagli prescelti non tollerano di essere oggetto di una qualsiasi presa in giro.
Occorre trattarli con le molle". Incapaci di divertirsi, spesso infelici, privi del benché minimo senso del ridicolo a livello personale, come avrebbero allora potuto far divertire i lettori? Certo, non erano mancati interessanti esperimenti nel periodo più torbido della contestazione. Nei primi anni Settanta erano uscite due riviste di umorismo e satira politica, Ca Bala' e L'Arcibraccio. Lotta Continua aveva pubblicato per un certo periodo fumetti "alternativi", con Paperino, Topolino e Superman, nelle vesti rispettivamente di un proletario rivoluzionario, di una spia al servizio del commissario Calabrotti, e di un superagente dell'imperialismo americano che poteva essere vinto solo dalla marxite.
Ma in ogni caso si trattò quasi sempre di esperimenti legati in modo molto marcato alla sinistra extraparlamentare, carichi di un ideologismo troppo esasperato per il palato del grande pubblico.
Da allora - poco più di vent'anni - non sembra essere cambiato molto. Nel 1982 è nato il mensile Il Vernacoliere, caratterizzato dalla scelta linguistica di utilizzare il vernacolo livornese per gli articoli satirici fondamentali e per la maggior parte delle vignette e dei fumetti. Scelta che costituisce però anche un forte limite alla circolazione della testata (anche se nel 1995 si è aggiudicato il premio internazionale di satira politica "Forte dei Marmi").

Ma per il resto i grandi nomi sulle pagine di quotidiani e settimanali a diffusione nazionale sono sempre quelli. Alcuni hanno affilato gli artigli, altri hanno preferito limarli. In questo panorama risaltano quindi con tanta maggiore enfasi alcuni prodotti editoriali che nel loro piccolo sono riusciti a rinverdire i fasti della vecchia satira d'antan, quella, per intenderci del Bertoldo di Giovanni Mosca, del Becco Giallo di Alberto Giannini, del Candido di Giovannino Guareschi. Uno di questi è stato, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta il settimanale Il male. "Il male - è ancora Del Buono a parlare - ha rappresentato una fragorosa svolta nella satira politica italiana e anche soprattutto nel giornalismo italiano.
Nato come tante cose importanti, dal Pci all'Inter, da una scissione e da un incontro di svariate tendenze, esperimento di tensione continua, Il male vuole privilegiare la coesistenza e la contrapposizione, la contraddizione e la complicità […] di un gruppo di autori che animano la riunione di redazione o i loro rapporti di una fruttuosa guerriglia intestina". Una scelta questa che ha dato i sui frutti anni dopo con Cuore, prima supplemento dell'Unità e poi, per un eccesso di infedeltà alla linea del partito, svincolatosi con il sottotitolo di "settimanale di resistenza umana".
Le sue vicissitudini sono troppo note per tornarci sopra in questa circostanza. Tanto più che la sua storia si inserisce nel solco della migliore tradizione satirica italiana del Becco giallo e del Bertoldo. Vale invece la pena cogliere l'approdo della satira sullo schermo televisivo con Blob, il programma di ritagli e frattaglie televisive dalle alterne fortune che ha fatto della satira verso il potere e, soprattutto verso il potere rappresentato dalla televisione, la sua ragion d'essere. Infine, ma valga solo come accenno, la fine del Novecento ha regalato alla satira un nuovo mezzo: Internet. Sono ormai diversi i siti che si prendono la briga di sbeffegiare on line l'esthablisment costituito. Da Clarence, il portale che per primo ha avuto il coraggio di ridimensionare l'esaltazione telematica in cui stiamo vivendo (non a caso i due autori sono dei naufraghi di Cuore), a siti come Giuda, che vuole continuare la tradizione della satira politica di sinistra anti-papalina.
O ancora da Giorgione, che si definisce il primo sito satirico filosovietico a Il peccato, rivista on line di una non meglio definita satira teologica. Se questo è il futuro, una cosa però ci lega ancora al passato. E cioè che la vignetta o l'articolo satirico continueranno ad essere i segni più evidenti di uno stato di insofferenza capace di parlare al potere più di tanti studi e di tante dotte indagini sociologiche. Lunga vita, quindi, alla satira.

 

 


Bibliografia

  • Cento anni di satira anticlericale. Nei giornali dal 1860 al 1955, a cura di Anna Maria Mojetta, Sugarco Edizioni, 1975

  • La satira politica dall'Unità d'Italia alla Repubblica, a cura di Silvio Locatelli, Istituto Geografico De Agostini, 1982

  • Il becco giallo, a cura di Oreste Del Buono e Lietta Tornabuoni, Feltrinelli, 1972

  • Storia della caricatura, di Enrico Gianeri, Editrice Omnia, 1959

  • Enciclopedia della satira politica. Le mille vignette più famose sull'Italia d'oggi, a cura di Claudio Sabelli Fioretti, Panorama, s.d.