Zoppicando tristemente verso il sole al tramonto del cinquantenario dell'Unità, il vecchio garibaldino lascia il posto al nuovo anno, che nasce con ben altra paternità. Solo per un attimo il popolo italiano, in occasione dei festeggiamenti per la ricorrenza, aveva ritrovato la propria radice laica e risorgimentale: subito aveva ripreso quota lo squallore compromissorio di ogni giorno, fatto di accomodamenti e cedimenti alle potenti forze delle gerarchie ecclesiastiche. Per chi avesse ancora nutrito dei dubbi, la protervia e la spregiudicatezza con cui il cattolico Banco di Roma si era servito delle più alte gerarchie dello Stato ai suoi propri fini non davano più adito a incertezze: il potere di Pio X (Bepi per l'umorista Galantara) era pari se non superiore a quello di Giolitti. Certamente esso disponeva di più occulte e sottili possibilità di affermazione. Padre del nascente 1912 era dunque proprio lui, il papa, che abbigliato da vecchia megera guardava sogghignando compiaciuto la propria creatura, sicuramente portatrice di altre spiacevoli sorprese per l'ormai consolidato Stato italiano. La guerra non accennava a finire e la situazione interna si deteriorava a vista d'occhio. Quali auspici trarne? Evidentemente, quelli di un futuro ancora meno roseo e soprattutto della riaffermazione nei fatti del primato del Vaticano su qualsiasi istituzione laica. "L'Asino", 31 dicembre 1911
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