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Agli inizi dell’agosto 1911 si diffuse la voce che il Banco di Roma stesse trattando con una società di banchieri austro-tedeschi per la vendita dei propri interessi in Tripolitania. In realtà si trattava di una notizia infondata, diffusa ad arte per accelerare la decisione, già latente, di un intervento italiano in forze nella situazione africana.
Ma ciò fu sufficiente per spazzare via ogni residuo tentennamento da parte di Giolitti, pur ostile fin dai tempi del Crispi a ogni avventura coloniale.
La Libia rappresentava, nelle parole della propaganda interessata, una sorta di terra promessa, dalle cui ricchezze si sarebbe potuti trarre proventi tali da risolvere anche le difficoltà interne del Paese. Giolitti non credeva a questa versione, ma valutò anche il peso politico che tale propaganda avrebbe potuto avere se rivolta contro di lui, e accettò la guerra.
Il 26 settembre il governo italiano inviò a quello turco, che controllava la regione africana, un ultimatum, cui il 29 seguì la dichiarazione di guerra.
Mentre aveva inizio la spedizione, l’opinione pubblica di sinistra smascherò le manovre del Banco di Roma, direttamente controllato dal Vaticano, accusandolo di voler coprire con una guerra sanguinosa i propri errori economici: la conseguenza sarebbe stata che papa Pio X (Giuseppe Sarto, il Bepi della vignetta) avrebbe sfruttato a proprio esclusivo vantaggio gli ipotetici profitti della conquista. Oltre tutto, un’avventura imperialistica di questo calibro avrebbe creato un pericoloso precedente per altre iniziative dello stesso genere.


"L’Asino", 1° ottobre 1911