‘Equilibrista’, ‘cuoco’, ‘buffone’, numerosi furono gli appellativi che Giolitti riuscì a guadagnarsi nel corso di una gestione del potere che sembrò a molti interminabile. In questo caso ci viene presentato come un giocatore di bussolotti, specializzato nel far comparire e subito sparire fantomatiche riforme. Già intenzionato a dimettersi dopo l’insuccesso elettorale del marzo, il presidente del Consiglio schiacciò il piede sull’acceleratore delle leggi sull’imposta di successione e sul reddito, riproponendo contemporaneamente l’annosa questione delle convenzioni marittime. Si trattava di temi scottanti, che coinvolgevano di riflesso la questione più spinosa dell’aumento dei bilanci del ministero della Difesa: secondo molti l’obiettivo di Giolitti era di frantumare ogni coalizione parlamentare per ripresentarsi, dopo una calibrata eclisse politica, come l’unico uomo politico in grado di guidare il Paese. Secondo le sinistre invece le mire del capo del governo erano di più corta gittata e si proponevano di ottenere surrettiziamente un aumento delle spese per gli armamenti mascherandolo dietro la cortina fumogena delle riforme e dei provvedimenti ambiziosi. Nei fatti entrambe le analisi si rivelarono esatte. Quella di Giolitti, perché la sua manovra riuscì in ogni particolare; quella delle sinistre, perché l’aumento dei bilanci di guerra fu il preludio alla sanguinosa e impopolare guerra libica. "L’Asino", 5 settembre 1909
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