Nel maggio 1904 Giolitti pronunciò, nel corso di un memorabile discorso, la celebre formula «Chiesa e Stato formano due parallele che non si debbono incontrare mai», ribadendo l’assoluta autonomia di principio dello Stato sovrano nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche. Pochi mesi più tardi, tuttavia, la sua posizione sembrava già aver acquisito sfumature ben più morbide, dal momento che non esitò a formulare proposte di collaborazione ai primi cattolici usciti eletti al Parlamento italiano, che si consideravano esplicitamente un’emanazione del Vaticano. Troppo realista per rifiutare di petto una realtà complessa e politicamente promettente come quella cattolica, tentò invece di rendersela favorevole coinvolgendo i suoi esponenti più prestigiosi in quel programma riformista che, già rifiutato dalle sinistre, ritoccò soltanto abolendo quegli aspetti troppo palesemente laicisti che conteneva nella formulazione originaria. Ciò naturalmente non poté che far indignare gli eredi più accesi dell’ideologia risorgimentale e i numerosi anticlericali, che nelle manovre di Giolitti vedevano soprattutto l’inizio di un pericoloso asservimento dello Stato ai voleri della scaltra e consumata diplomazia vaticana. Più volte il capo del governo fu accusato di essere un voltagabbana e, fatto ben più grave, di mettere in pericolo le esili strutture statali con i suoi funambolismi tra Parlamento e Vaticano. Con il suo felice e sapido estro satirico così Galantara interpreta quello che, alla prova dei fatti, doveva essere per Giolitti il concetto di ‘parallele’. "L’Asino", 2 giugno 1907
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