In questa vignetta de ‘L’Asino’ compare per la prima volta il famoso motto «Armiamoci!... e partite» destinato a punteggiare, quasi in una serie di ricorsi storici, ogni campagna bellica italiana. Essa rappresenta in fondo la sintesi di quanto già era emerso drammaticamente in occasione dell’avventura coloniale tragicamente conclusasi ad Adua nel 1896: al patriottismo esasperato di chi restava (e di chi avrebbe tratto vantaggio dalla guerra) si contrapponeva l’atteggiamento sostanzialmente indifferente, quando non apertamente ostile, di quelle masse che fornivano all’esercito il maggior contributo di sangue. Così, mentre il buon borghese sventola ‘La Tribuna’, un esercito di anonimi parte per recarsi al fronte, rassegnato e quasi incurante delle sue parole. L’occasione di una nuova campagna militare è fornita questa volta dalla rivolta dei Boxer in Cina: il governo italiano decide di inviare un corpo di spedizione che affianchi quelli delle altre potenze europee nel compito di salvare la vita degli Italiani e ristabilire l’ordine. Più tardi l’Italia otterrà la concessione di Tientsin. A questa ulteriore manifestazione di espansionismo, per la quale non c’era alcuna giustificazione industriale o commerciale, le sinistre reagiscono duramente con una serie di prese di posizione radicalmente antimilitariste, riuscendo a coagulare intorno a sé un cospicuo fronte che individua nei ‘guerrafondai’ gli artefici più attivi della crisi italiana. Proprio il 29 luglio 1900, quando comparve il numero in questione de ‘L’Asino’, Umberto I veniva ucciso a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci. Dieci giorni prima, il sovrano si era recato a Napoli per salutare due battaglioni che stavano imbarcandosi sui piroscafi Giava, Singapore e Minghetti in partenza per la Cina. "L’Asino", 29 luglio 1900
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