Superate con successo le tornate elettorali del 21 e del 28 marzo, promosse dal Sonnino con un violento articolo (Torniamo allo Statuto!) in cui chiedeva il rafforzamento delle prerogative del re e che provocò lo scioglimento della Camera, Di Rudinì, capo del governo, evitò di porre fine agli scandali e agli abusi non permettendo la messa sotto accusa di Crispi e soffocando le polemiche promosse dai radicali di Cavallotti. Ciò gli alienò ulteriormente il favore dell’opinione pubblica, che già gli rimproverava gravi carenze nella politica economica e di non aver risolto in maniera adeguata la questione africana. A ciò si aggiunse un inaspettato aumento del prezzo del pane in seguito al calo delle importazioni di grano (dovuto in particolare alla guerra ispano-americana), che provocò tumulti popolari soprattutto nell’Italia centro-meridionale: Di Rudinì non seppe trovare altra via che una serie di provvedimenti repressivi che aumentarono ulteriormente la tensione. Presentatosi come uomo d’ordine, come il provvidenziale difensore delle istituzioni, non ebbe né la forza né la volontà di imprimere al Paese una salutare sterzata, riuscendo a scontentare tutti, borghesi moderati e proletari in subbuglio. Come indica la vignetta, dalla china della bancarotta politica ed economica cadono sul presidente del Consiglio i massi dei vari insuccessi e basterebbe soltanto quello firmato Africa per travolgerlo tra la risata sorniona del sole nascente. "L’uomo di pietra", 29 maggio 1897.
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