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«Ancora un sacrificio!». Sono le parole attribuite al popolano piemontese, dolente per la morte del suo re, ma più ancora per l’inumazione di Vittorio Emanuele II al Panteon.
Superga, secondo Pasquino, sarebbe stata la sede naturale per le spoglie di un Savoia. II disegno è esplicito quanto la didascalia: vi sono descritte le virtù del buon piemontese, laborioso, fedele alla dinastia, eroe e protagonista del processo unitario. Ma tra le righe si può leggere una verità amara e più profonda: a quasi venti anni dall’Unità, mancava ancora nel popolo una coscienza nazionale. Se il resto del Paese aveva protestato per l’accentramento piemontese, Torino aveva espresso il suo malcontento per il trasferimento della capitale, con tumulti e agitazioni. Se è vero che nel 1860, a Napoli, il popolo gridava «Viva l’Italia!», per poi domandare cosa significasse ‘Italia’, nel 1878 il Piemonte chiedeva ancora un privilegio: quello di ospitare il feretro del re, senza comprendere che Roma era ormai il fulcro, il centro del Paese. E con Roma è evidente il paragone «... mi pare che tutto avrebbe potuto essere ugualmente grande se me l’avessero portato lassù... ». Non a caso queste parole concludono il commento alla vignetta: il Panteon è visto come simbolo della città eterna. Per contro la monumentale basilica che si erge sopra Torino, tradizionale mausoleo per i Savoia, è sentita come testimone dell’epoca in cui la città conosceva la magnificenza e la volontà di diventare di fatto una capitale europea.


"Pasquino", 20 gennaio 1878