Egli
sorridente, pettoruto, sereno, dopo essersi accomodate
le lenti sul naso, lisciata la grigia barbetta e
stropicciate le mani, così cominciò:
Miei reverendi Padri, Signore e Signori.
Bisogna, anzitutto, che io ringrazi coloro, fra i miei
colleghi della stampa cattolica, i quali intraprendendo
improvvisamente, sei o sette mesi or sono, una campagna
molto rumorosa contro di me, produssero un mirabile
risultato; quello che noi questa sera constatiamo e che
constateremo meglio domani: voglio dir lo splendore, col
quale, del tutto eccezionalmente, si manifesta la verità
in una questione, di cui lo scioglimento avrebbe potuto,
senza di essi, passare assolutamente inosservato. A
questi cari colleghi, dunque, le mie prime azioni di
grazie! Fra poco comprenderanno quanto questi
ringraziamenti siano sinceri e giustificati.
In questo discorso mi studierò di dimenticare tutto
quanto si è pubblicato di ingiusto e di offensivo contro
la mia persona durante il corso della polemica alla
quale ho già fatto allusione; o almeno, se sarò
costretto a rischiarare alcuni fatti di una tale luce
che, per molti, sarà inattesa, dirò la verità mettendo
da parte anche l'ombra del più lieve risentimento.
Forse, anche dopo le spiegazioni, di cui l'ora è alfine
suonata, questi colleghi cattolici non deporranno le
armi innanzi alla mia pacifica filosofia; ma, se il mio
buon umore, in luogo di calmarli, li irrita, io li
prevengo che niente mi farà abbandonare questa placidità
d'animo che ho acquistata da dodici anni e della quale
mi sento infinitamente felice.
D'altra parte, sebbene questo scelto uditorio sia
composto degli elementi i più disparati (poiché fu fatto
appello a tutte le opinioni indistintamente), esso non
possiede meno per questo, ne sono convintissimo, il
sentimento della più dolce tolleranza in fatto d'esame.
Diciamolo francamente; noi siamo qui fra persone di
buona compagnia. Noi tutti sappiamo discernere le cose
serie e le esaminiamo con la necessaria gravità e senza
escandescenze; ma, quando ci si presenta un fatto che,
sopra tutto, è divertente, non ce ne affliggiamo troppo.
Val meglio ridere che piangere, dice la saviezza delle
nazioni.
Ora mi rivolgo ai cattolici, e dico loro. Quando sapeste
che il Dott. Bataille, dicendosi devoto alla causa
cattolica, aveva passato undici anni della sua vita a
scrutare gli antri più tenebrosi delle società segrete,
Logge e Retro-Logge e triangoli luciferani, voi l'avete
altamente approvato, avete dichiarato la sua condotta
ammirabile. Egli ricevette una vera pioggia di
felicitazioni.
S'ebbe articoli pieni d'elogi anche da quegli stessi
giornali del partito, che non posseggono oggi
sufficienti fulmini per polverizzare miss Diana Vaughan,
trattandola ora da mito, ora da avventuriera e da
strega.
Possiamo, oggi, tornare su quelle acclamazioni che
accolsero il Dott. Bataille; ma esse, ad ogni modo, vi
furono e veramente clamorose. Illustri teologi,
eloquenti predicatori, eminenti prelati fecero a gara
nel congratularsi con lui: e non dico che costoro
avessero torto: mi limito a constatare puramente e
semplicemente un fatto al fine di permettermi di
soggiungere: Non vi stizzite, miei reverendi padri, ma
ridete, ridete di buon cuore, nell'apprendere che tutto
ciò che avvenne è precisamente il contrario di quanto
voi avete creduto! Non è stato affatto un cattolico che
si è dedicato a scrutare, sotto una falsa maschera,
l'Alta Massoneria del Palladismo; ma al contrario v'è
stato un libero pensatore che per sua edificazione
personale, non già per ostilità, venne a spiare nel
vostro campo non per undici ma per dodici anni; ed è il
vostro umilissimo servitore. (Movimenti diversi,
mormorii, risate).
Non il minimo complotto massonico in questa storia, e
voglio immediatamente provarvelo: lasciamo ad Omero,
cantante le gesta di Ulisse, l'avventura del leggendario
cavallo di legno: questo terribile cavallo non ha niente
a che fare nel caso nostro: la storia d'oggi è assai
meno complicata.
Un bel giorno il vostro servitore si disse che, essendo
partito troppo giovane pel campo della irreligione e
forse con troppo slancio, poteva probabilmente non
possedere il sentimento esatto della situazione: e
allora, agendo per proprio conto, e volendo rettificare
il suo modo di vedere, se ne fosse stato il caso, non
confidando da principio la sua risoluzione ad alcuno,
pensò d'aver trovato il mezzo di meglio rendersi conto
di tutto per sua propria istruzione.
Aggiungete a questo, se volete, un fondo di
mistificazione nel suo proprio carattere; non per nulla
si è figli di Marsiglia. (Risate).
Sì, aggiungete questo delizioso piacere che la maggior
parte degli uomini ignora, ma che è veramente grande,
questa gioia intima che si prova nell'aggiustare un bel
tiro ad un avversario, senza scelleratezza, per
divertirsi, per riderne un poco.
Ebbene, lo debbo dir subito, questa mistificazione di
dodici anni m'ha arrecato, fin dal principio, dei
preziosi insegnamenti: cioè, che veramente avevo agito
senza misura; che avrei dovuto sempre rimanere sul
terreno delle idee; che nella maggior parte dei casi
avevo avuto torto d'attaccar le persone.
Questa dichiarazione ho il dovere di farla, e debbo
anche confessare che non mi costa nulla. Nei dodici anni
passati sotto la bandiera della Chiesa, e benché mi
fossi arruolato per mistificare, acquistai la
convinzione che si ha molto torto di imputare alle
dottrine la malignità di alcuni individui. Questo fatto
partecipa della umanità stessa: chi è cattivo, resta
cattivo, come chi è buono agisce da buono, tanto se
resta credente quanto se perde la fede. Ovunque si
trovano persone oneste, ed ovunque persone disoneste.
(Segni d'approvazione).
Ho fatto dunque, per me, uno studio che ha prodotti i
suoi frutti; ed è in questo studio, che ho trovato
quella serenità d'animo, quella filosofia intima di cui
ho parlato in principio.
Cominciai la campagna con un po' di curiosità, ma
proponendomi, ben inteso, di ritirarmi dopo fatta
l'esperienza. Poi il dolce piacere della mistificazione
prese il sopravvento, dominò ogni cosa, ed io mi
intrattenei nel campo cattolico, sviluppando sempre più
il mio piano, divertente ed istruttivo ad un tempo, e
dandogli proporzioni sempre più vaste, a seconda degli
avvenimenti.
Fu così che arrivai ad assicurarmi due collaboratori;
due, non di più: l'uno un vecchio amico d'infanzia, che
cominciai da principio a prendere in giro, ed a cui in
seguito detti lo pseudonimo di dottor Bataille; l'altro
Miss Diana Vaughan protestante francese, piuttosto
libera pensatrice, dattilografa di professione e
rappresentante di una delle fabbriche di macchine da
scrivere degli Stati Uniti. - L'uno e l'altra erano
necessari per assicurare il successo dell'ultimo
episodio di questa allegra storiella che i giornali
americani chiamano «la più grande mistificazione dei
tempi moderni». (Grandi risate e rumori).
Quest'ultimo episodio, che doveva naturalmente terminare
in aprile, mese delle facezie e delle farse (non
dimentichiamo che la mistificazione cominciò appunto il
23 aprile 1885), quest'ultimo episodio è il solo che
deve essere spiegato oggi, ma soltanto per sommi capi;
perché se si dovesse raccontar tutto, mostrando il
rovescio della medaglia dal principio dell'avventura,
noi ne avremmo per parecchi giorni. Questo pesce
d'aprile è stato una gigantesca balena (scoppio
d'ilarità).
Però conviene rischiarare il punto di partenza con
qualche raggio di tenuissima luce. Fra gli adagi
dell'arte culinaria si cita sovente questo: «si diventa
cuochi, ma si nasce rosticcieri». La perfezione della
scienza di arrostire non s'impara: avviene lo stesso io
credo per l'arte di prendere in giro la gente: raggira
tori si nasce! Eccovi qualche confessione intorno agli
esordi miei in questa nobile carriera.
Dapprima nella mia città natale. Nessuno ha dimenticato
a Marsiglia la famosa storia della devastazione della
rada per opera di una banda di pescicani. Da più
località della costa arrivavano lettere di pescatori,
che narravano come essi fossero scampati ai più tremendi
pericoli. Il panico si impossessò dei bagnanti, e gli
stabilimenti balneari, dai Catalani fino alla spiaggia
di Prado, furono abbandonati per parecchie settimane. La
Commissione municipale si commosse; il sindaco espose
essere suo avviso che quei pescicani, terrore della
rada, erano verosimilmente venuti dalla Corsica seguendo
un naviglio che doveva aver gettato in mare qualche
resto avariato di carne affumicata. La Commissione
municipale votò un indirizzo al generale Espivent de la
Villeboisnet - s'era allora sotto il regime dello stato
d'assedio - in cui domandava d'avere a disposizione una
compagnia di chassepots per una spedizione sopra un
rimorchiatore.
Il bravo generale, che non desiderava che d'essere ben
visto dagli amministratori scelti da lui stesso per la
cara e buona città nella quale io ricevetti i natali
(risate), il generale Espivent, oggi senatore, accordò,
dunque cento uomini bene armati e con ampia provvigione
di cartucce. La nave liberatrice lasciò il porto,
salutata dai «bravo» dei marinai e della folla; la rada
fu esplorata in tutti i sensi, ma il rimorchiatore se ne
tornò con le pive nel sacco: non un maggior numero di
pescicani nella rada di quanti ve ne siano qui dentro!
(Risate generali).
Una inchiesta posteriore dimostrò che le lettere di
lagnanza giunte dai diversi pescatori della costa erano
assolutamente fantastiche: nelle località ove esse
furono impostate i pescatori, che in apparenza avrebbero
dovuto scriverle, non esistevano, e confrontando le
lettere si notò che sembravano scritte tutte dalla
stessa mano. L'autore della mistificazione non fu
scoperto: ora lo vedete innanzi a voi. Eravamo allora
nel 1873, io avevo 19 anni.
Spero che il generale Espivent mi perdonerà d'avere, con
una barca, compromesso un momento il suo prestigio agli
occhi della popolazione. Egli aveva soppresso il mio
giornale, La Marotte, giornale dei pazzi. L'affare dei
pescicani fu una ben innocente vendetta; non è vero?
Qualche anno dopo mi trovavo a Ginevra per sottrarmi ad
una condanna di stampa. La Fronde, e dopo il Frondeur,
erano successi a La Marotte.
Un bel giorno il mondo dotto fu sorpreso nell'apprendere
una meravigliosa scoperta. Forse qualcuno in questo
uditorio ricorderà il fatto: si trattava della città
sottolacustre che si scorgeva, dicevano, assai
confusamente, in fondo al lago Lemano fra Nyon e Coppet.
Da tutti gli angoli di Europa furono inviati
corrispondenti per tenere al corrente i giornali dei
pretesi scavi.
Una spiegazione scientifica era stata data appoggiandosi
ai Commentari di Giulio Cesare: questa città doveva
essere stata costruita nell'epoca della conquista
romana, in quel tempo in cui il lago era sì stretto, che
il Rodano lo attraversava senza che le acque si
mescolassero. Breve; la scoperta fece ovunque gran
chiasso; da per tutto, eccetto in Svizzera, ben inteso.
Gli abitanti di Nyon e di Coppet, rimasero molto
meravigliati dell'arrivo di alcuni viaggiatori che a
mano a mano giungendo, domandavano di vedere la città
sottolacustre. I barcaioli del luogo finirono per
decidersi a condurre sul lago i gitanti più insistenti.
Si gettava dell'olio sull'acqua per vederci meglio;
infatti vi fu chi giunse a vedere qualche cosa...
(Risate generali) dei resti di strade molto bene
allineate, dei crocevia, e che so io? ...
Un archeologo polacco che aveva fatto, apposta, il
viaggio, se ne tornò soddisfattissimo, e pubblicò un
rapporto, nel quale affermava di aver visto chiaramente
i ruderi di una piazza pubblica, con qualche cosa di
informe che poteva ben essere un resto di statua
equestre (Nuove risate).
Un Istituto delegò due suoi membri, ma questi, appena
giunti, ebbero un colloquio con le autorità, e avendo
saputo da esse che la città sottolacustre era una pura
mistificazione, se ne ritornarono come erano venuti e
non videro nulla! La città sottolacustre non sopravvisse
a questa spedizione scientifica! (Risa prolungate).
Il padre di questa città, che è qui presente, ebbe un
prezioso ausiliario, per la propagazione della leggenda,
nella persona di uno dei suoi compagni di esilio - c'è
bisogno che aggiunga che è anch'egli un marsigliese? -
alludo al mio collega ed amico Enrico Chabrier,
stabilito adesso come me sulle rive della Senna.
Questi due aneddoti, fra cento che ne potrei citare, ve
li ho raccontati al fine di stabilire che il piacere del
vostro servitore per la grande, brillante
mistificazione, risale a più di dodici anni.
Ed eccomi alla più grande mistificazione della vita mia,
a quella che finisce oggi e che sarà evidentemente
l'ultima, perché dopo questa, mi domando, quale collega,
sia pure della stampa di Islanda o della Patagonia,
accoglierebbe, dietro la raccomandazione mia o dei miei
amici, la confidenza di un avvenimento straordinario
qualunque?
Una voce: Evidentemente. (Risate).
Leo Taxil: Comprenderete facilmente che, con un bagaglio
così formidabile come il mio, di scritti antireligiosi,
non era molto facile d'esser ricevuti nel grembo della
Chiesa senza trovare una diffidenza ancor più
formidabile.
Mi bisognava, nonostante, arrivare là ed esservi accolto
perché, allorquando le diffidenze si fossero
completamente dissipate, almeno in alto luogo, io avessi
potuto organizzare e dirigere la fenomenale
mistificazione della diavoleria contemporanea.
Una voce: È vergognoso di dichiararsi così
mistificatore!
Leo Taxil: Per giungere al fine proposto mi era
necessario, indispensabile, di non confidare il mio
segreto a nessuno, assolutamente a nessuno, neanche ai
miei più intimi amici, nemmeno a mia moglie, almeno nei
primi tempi.
Era preferibile esser creduto matto da coloro che mi
avvicinavano: la minima indiscrezione poteva rovinare
ogni cosa: io m'ero arrischiato in un brutto giuoco:
dovevo intavolare una difficile, tremenda partita.
Una voce: Oh! sicuro!
Leo Taxil: L'ostilità degli uni, la contrarietà
spiacevole ed irritante degli altri, furono invece le
mie migliori carte, giacché, come non poteva essere
diversamente, io fui messo in stretta osservazione
durante i primi anni.
I miei antichi amici saranno colpiti da qualche
particolarità se io la ricorderò loro.
Dopo la pubblicazione della mia lettera, colla quale io
rinnegavo tutte le mie opere anticlericali, i gruppi
parigini della Lega anticlericale si riunirono in
assemblea generale per votare la mia espulsione.
Furono sorpresi nel vedermi comparire: i soci non
potevano persuadersene, ed in verità la mia presenza era
incomprensibile, poiché io non andavo a sfidare coloro
dai quali mi ero staccato, né dissi una parola per
cercare di trascinarli con me, come avrebbe fatto un
convertito nel suo ardore di neofita.
No; andai a quella adunanza col pretesto di fare i miei
addii (ed allora erano tre mesi che avevo dato le mie
dimissioni), ma, in realtà, per cercare e trovare
l'occasione di buttar là una parola che io potessi
ricordare quando fosse giunto il momento.
Nella maggioranza questi soci anticlericali erano miei
amici. Alcuni piangevano; io stesso ero commosso...
Un giornalista cattolico: Voi commosso? Andiamo, via!
Voi vi burlavate di loro come vi burlaste di noi!
Leo Taxil: Vi assicuro che non mi separai da loro senza
rammarico.
Dopo tutto prendetela come volete. Sebbene commosso, io
serbai il mio sangue freddo in mezzo ad una vera
tempesta; riportatevi ai giornali del tempo.
Per chiudere la seduta, il presidente mise ai voti
l'ordine del giorno seguente, che fu approvato
all'unanimità:
«Considerando che il nominato Gabriel Jogand Pagès,
detto Leo Taxil, uno dei fondatori della Lega
anticlericale, ha rinnegato tutti i princìpi che aveva
difeso, ha tradito il libero pensiero e tutti i suoi
correligionari; i soci presenti alla riunione del 27
luglio 1885, senza fermarsi sulle cagioni che hanno
spinto il nominato Leo Taxil al suo infame operato, lo
espellono dalla Lega anticlericale, come traditore e
rinnegato».
Allora protestai contro una parola, una sola parola, di
quest'ordine del giorno.
Vi sono certamente nella sala alcuni dei miei amici che
presero parte a quella riunione del luglio 1885.
Ricorderò loro le parole della mia protesta.
Dissi così, colla voce la più pacifica: «Amici miei, io
accetto questo ordine del giorno, meno una parola».
Il presidente m'interruppe gridandomi: «In verità ciò è
troppo audace!».
Io continuai senza turbarmi: «Voi avete il diritto di
dire che io sono un rinnegato, poiché io ho fatto
pubblicare, or sono quattro giorni, una lettera nella
quale io ritratto, rinnego chiaramente tutti i miei
scritti contro la religione. Ma vi domando di cancellare
la parola «traditore», che non si adatta affatto al mio
caso; non vi è l'ombra del tradimento in quello che
faccio oggi.
«Quello che ora vi dico, voi non lo potete comprendere
in questo momento, ma lo comprenderete più tardi».
Mi guardai bene dal sottolineare troppo quest'ultima
frase, poiché non bisognava far sospettare del mio
segreto. Ma la dissi assai chiaramente, perché potesse
restare nella mente di tutti, pur prestandosi a varie
interpretazioni.
E quando ebbi l'occasione di pubblicare un rendiconto di
questa seduta, posi grande attenzione nel tagliar fuori
quella dichiarazione: avrebbe potuto dare l'allarme.
Secondo fatto: Tra il giorno di aprile nel quale io feci
ad un prete la confidenza della mia conversione, ed il
giorno della seduta della mia espulsione dalla Lega, si
tenne in Roma un Congresso anticlericale, del quale io
ero stato uno degli organizzatori. Niente mi era più
facile che disorganizzarlo e farlo abortire
completamente.
Questo Congresso ebbe luogo in uno dei primi giorni di
giugno. Tutti i soci sapevano che fino alla fine io mi
ero adoperato con tutte le mie forze per la riuscita;
solo la morte di Victor Hugo, che accadde in quel tempo,
allontanò l'attenzione pubblica da questo Congresso.
Più tardi, quando si seppe che io avevo consultato dei
preti nel mese di aprile, si disse, si stampò che, con
la scusa di questo Congresso, io ero andato a Roma a
negoziare il mio tradimento, che ero stato ricevuto in
segreto al Vaticano, e fu anche inserito nella mia
biografia che io avevo ricevuto una forte somma; si
disse un milione (Risate).
Io lasciai dire, perché tutto questo mi importava poco,
e ridevo fra me. Ma adesso ho il diritto di dire che fu
tutto il contrario.
Tra gli inviti distribuiti per questa conferenza si
trova quello ad un vecchio amico che fece con me quel
viaggio, che mi accompagnò dappertutto, che non si
staccò mai da me. Egli è qui e non mi smentirà. Mi ha
egli lasciato un secondo? Mi sono allontanato dalla sua
compagnia per una ragione sospetta qualunque? No!
Questo non è tutto. Durante il medesimo viaggio,
ritornando in Francia, ci fermammo a Genova. Volevo far
visita a persona con la quale ero in stretti legami
d'amicizia, al generale Canzio Garibaldi, il genero di
Garibaldi.
In questa visita io fui accompagnato dall'amico di cui
vi ho parlato e da un altro che ancora è vivo e sta con
noi, il dottor Baudon, che è stato recentemente eletto
deputato di Beauvais.
Ambedue possono attestare che durante questa visita, io
mi ritirai un momento a parte con Canzio. E Canzio potrà
a sua volta affermare che io gli dissi: «Mio caro Canzio,
io vi devo dichiarare, ma sotto il suggello del segreto,
che da un po' di tempo io ho fatto una ritrattazione
completa e pubblica. Non vi stupite di niente e
continuate ad accordarmi la vostra fiducia».
Anche con lui non insistetti, e più tardi temetti di
avergli detto troppo. Canzio, per due o tre anni mi
mandò la sua carta da visita il primo dell'anno,
malgrado la nostra rottura. Poi giudicò senza dubbio che
la faccenda durava un po' troppo: si stancò, e non mi
dette più segno di vita. Infine, poi, uno dei miei
vecchi collaboratori, che mi voleva molto bene, continuò
malgrado tutto a frequentarmi.
Egli è morto: è Alfredo Paulon; che fu consigliere ed
uomo probo...
Una voce: È morto? allora non vi smentirà!
Leo Taxil: Attendete, vi prego. Lo so che il risultato
della sua osservazione, perspicace e costante, fu che
tutti erano mistificati da me. (Movimenti diversi).
Una voce: Allora voi vi vantate di esservi burlato dei
cattolici? ... È scandaloso! ...
Leo Taxil: Paulon, il mio vecchio collega, che
continuò a frequentarmi, aveva una maniera di difendermi
che qualche volta mi infastidiva.
Ecco in quali termini parlava di me ai suoi amici:
«Leo è incomprensibile. In principio ho creduto che
fosse diventato pazzo, ma quando mi sono riconciliato
con lui, ho constatato che egli gode di tutto il suo
buon senso. lo non comprendo nulla: vi è qualche cosa
che mi dice che egli è sempre col cuore e con lo spirito
con noi; lo sento. Non parlo mai con lui di questioni
religiose, perché vedo bene che non si vuole lasciar
capire, ma metterei la mano sul fuoco che egli non
lavora per i clericali; un giorno o l'altro avremo
qualche grande sorpresa».
Alfredo Paulon non mi può rendere testimonianza delle
sue osservazioni, ma egli le comunicò a numerosi amici.
E se ve ne sono nella sala, io domando loro: È vero che,
parlando di me, Paulon si esprimeva così?
Voci diverse: È vero, è vero!
Leo Taxil: Ed ora veniamo alla mistificazione in se
stessa; a questa mistificazione che è insieme divertente
ed istruttiva.
In alto luogo non credettero a quel brav’uomo di un
vicario, prete dall'anima semplice, che aveva avuto la
prima confidenza del colpo di grazia da me ricevuto,
come Saulo sulla via di Damasco. «Questa zucca
incipriata non ci dirà nulla di serio», pensavano i
grossi papaveri della Chiesa (Risate).
Fu dunque deciso, il giorno dopo quello in cui pubblicai
la mia lettera di ritrattazione, che mi avrebbero fatto
fare una buona meditazione presso i reverendi padri
gesuiti, fra cui scelsero uno dei più esperti nell'arte
di scandagliare un'anima. La scelta non fu fatta su due
piedi: mi fecero attendere più di una settimana il
grande scrutatore che mi era stato destinato. Un antico
elemosiniere militare fattosi gesuita: un furbone fra i
furbi! Il suo giudizio avrebbe avuto un grande valore.
Ah! fu una fiera partita quella che giocammo ambedue!...
mi torna ancora il mal di capo quando ci ripenso! Il
caro direttore mi fece fare, fra le altre cose, gli
esercizi spirituali di Sant'Ignazio. Io non pensavo
affatto a quegli esercizi, ma bisognava almeno scorrerne
le pagine alfine di mostrarmi tutto assorto in quelle
straordinarie meditazioni. Non era il momento di
lasciarmi cogliere in fallo.
La confessione generale mi fece vincere la battaglia.
Non durò meno di tre giorni (Risa prolungate). Avevo
serbato per la fine un colpo di fulmine.
Dissi tutto e dell'altro ancora: ma il mio confidente
comprendeva che vi era tuttavia un grande peccato,
grande, grandissimo; un peccato penoso a palesarsi più
che la confessione di mille e mille empietà.
Alla fine bisognava decidersi a farlo uscir fuori, quel
mostruoso peccato.
Né io, signore e signori, voglio farvi aspettar tanto;
il mio peccato era un delitto di prim'ordine, un
assassinio dei meglio combinati (Scoppio di risa). Io
non avevo strangolata tutta una intera famiglia, no; ma,
senza essere stato un Tropmann o un Dumolard, la
ghigliottina mi era dovuta senza dubbio se fossi stato
scoperto.
Avevo avuto la precauzione di ricercare alcune
sparizioni riportate dai giornali tre anni avanti, e su
una di esse avevo stabilito il mio piccolo romanzo; ma
il mio reverendo padre non volle lasciarmelo esporre in
tutti i suoi particolari. Egli mi aveva giudicato capace
dei più orribili sacrilegi, e in ciò io gli avevo
cagionato delle piacevoli sorprese, ma non si attendeva
certo di vedersi genuflesso innanzi un assassino. (Nuove
risate).
Appena le prime parole di questa confessione caddero
dalle mie labbra, il reverendo padre fece un balzo
indietro significantissimo. Ah! egli allora comprendeva
il mio imbarazzo, le mie difficoltà, la cura di
protrarre a lungo la confessione di certi peccati meno
grossi... io mi ero vergognato di confessare il mio
delitto! Non solamente ero vergognoso, ma turbato,
spaventato!... Vi era una vedova in questo affare; il
reverendo mi fece promettere di assegnare alla vedova,
per via indiretta, una rendita: in fede mia una buona
trovata. Non volle conoscere nomi; ma ciò che
l'interessava era sapere se ero stato assassino con o
senza premeditazione. Dopo lunghe esitazioni, ed
umiliandomi sotto il peso della vergogna, confessai la
premeditazione, un vero agguato.
Un ecclesiastico: Ciò che dite in questo momento è
abominevole!
Un altro spettatore: Per vostro castigo nessun prete
vorrà più sentire le vostre confessioni. Voi siete il
più miserabile dei bricconi! (Tumulto.
Un altro del pubblico: I preti che sono qui presenti non
dovrebbero restarvi ancora un istante!
L'abate Garnier: No, noi dobbiamo ascoltare questo
furfante fino alla fine. (Alcune persone si alzano ed
abbandonano la sala).
Leo Taxil: Che ve n'andiate o che restiate, poco
m'importa: continuo.
È mio dovere rendere omaggio a questo reverendo padre
gesuita. lo non sono stato mai molestato dalla
giustizia. Questa mia mariuoleria mi ha messo nel caso
di provare il segreto della confessione. Se io narrerò
un giorno per intero la storia di questi dodici anni, lo
farò come oggi, con la più stretta imparzialità e calma,
signor abate Garnier (Approvazione). Ciò che io constato
ora è il fatto della mia prima vittoria come entrata in
campagna. Se qualcuno avesse osato dire al reverendo
padre che io non ero il più serio dei convertiti,
sarebbe stato malamente messo alla porta! (Risa).
Non era nei miei piani di affrettarmi per poter vedere
il Sommo Pontefice.
Certo, la confessione del mio assassinio aveva avuto un
magnifico successo; ma il direttore del mio ritiro a
Clamart lo teneva segreto. Esso non avrebbe potuto che
dire al suo capo gerarchico, il quale lo aveva
incaricato di scandagliare la profondità dell'anima mia:
«Leo Taxil?... Rispondo di lui!».
Le diffidenze del Vaticano erano vinte. Come rendermi
gradevole? Perché per portare la mistificazione al punto
massimo ch'io avevo sognato e che ho avuto l'indicibile
gioia di raggiungere, m'occorreva realizzare alcuni dei
punti del programma della Chiesa, i più graditi alla
Santa Sede.
Questa parte del mio piano l'avevo fissata fin dal
principio, fin dalla mia prima risoluzione di rendermi
un conto esatto del cattolicesimo.
Il Sovrano Pontefice si era pronunciato un anno prima
con l'Enciclica Humanum genus, e questa rispondeva ad
una idea ben definita dei cattolici militanti. Gambetta
aveva detto: «il Clericalismo, ecco il nemico!»; la
Chiesa dall'altro canto diceva: «il nemico è la
Massoneria!».
Sparlare dei massoni era dunque il migliore mezzo di
preparare le vie alla colossale mariuoleria di cui io in
antecedenza assaporavo tutta la gioia.
Nei primi tempi, i massoni si sono indignati; essi non
prevedevano che la conclusione, pazientemente preparata,
sarebbe stata un universale scoppio d'ilarità. Essi mi
credevano sinceramente arruolato. Si diceva e si
ripeteva che questa era una maniera di vendicarmi della
radiazione dalla mia Loggia, radiazione che datava dal
1881 e della quale tutta la storia, niente affatto
disonorante per me, è molto ben conosciuta; meschina
querela sollevata da due uomini oggi spariti, e spariti
in condizioni deplorevoli.
No, io non mi vendicavo, mi divertivo; e se oggi si
esaminano i retroscena di questa campagna, si
riconoscerà, anche dai massoni che mi furono più
avversi, ch'io non ho recato danno ad alcuno. Dirò anzi
che ho reso servigio alla Massoneria francese...
Interruzioni: Voi esagerate!
Leo Taxil: Di grazia, permettete che mi spieghi ed sono
certo che la penserete come me. Voglio dire che la mia
pubblicazione dei Rituali non è stata estranea alle
riforme che hanno soppresso pratiche antiquate, divenute
ridicole per ogni massone amico del progresso.
Ma lasciamo ciò, e riassumiamo i fatti. Essendo il mio
scopo quello di creare di sana pianta la diavoleria
contemporanea - ciò che è molto più difficile che non la
città sottolacustre del Lemano - bisognava procedere con
ordine, bisognava saper prender bene le misure, e covare
l'uovo dal quale sarebbe nato il Palladismo. Una
mistificazione di questa sorta non si fabbrica in un
giorno.
Una voce: Si comprende.
Leo Taxil: Mi ero accertato dai primi giorni della mia
conversione che un certo numero di cattolici è convinto
che il nome di «Grande Architetto dell'Universo» -
adottato dai massoni per designare l'Essere Supremo,
senza pronunciarsi nel senso particolare di alcuna
religione - è convinto, dicevo, che questo nome non
serve in realtà che a velare abilmente Lucifero o
Satana, il diavolo.
Diverse voci: Basta, basta, è ritornato massone!
(Risate)
Altri: Continuate, è interessante.
Leo Taxil: Si citano qua e là degli aneddoti che il
diavolo ha fatto all'improvviso la sua apparizione in
una Loggia massonica ed ha presieduto l'adunanza. Ciò è
ammesso dai cattolici.
In maggior numero che non si creda vi son brave persone
che s'immaginano che le leggi della natura sono alcune
volte alterate dagli spiriti buoni o cattivi e anche dai
semplici mortali. Io stesso ho avuto la sorpresa di
sentirmi domandare un miracolo. Un buon canonico di
Friburgo, piombandomi in casa come una bomba, mi disse
testualmente:
«Ah signor Taxil, voi siete un santo, voi! Perché Dio vi
abbia ritirato da un abisso così profondo, bisogna che
abbiate una montagna di grazie sulla testa (sic). Da
quando ho appresa la vostra conversione sono montato in
treno ed eccomi qui. Al mio ritorno bisogna ch'io dica,
non solamente di avervi veduto, ma che voi avete operato
un miracolo alla mia presenza» (Risa).
Io non mi aspettavo una simile domanda.
«Un miracolo? - risposi – non vi capisco, signor
canonico».
«Si, un miracolo; ma non importa quale: purché io possa
renderne testimonianza. Il miracolo che voi vorrete...
Che so io? Per esempio, questa sedia cangiatela in un
bastone, in un ombrello» (risa prolungate).
Io rimasi di sasso! Rifiutai dolcemente di compiere un
tal prodigio; il mio canonico ripartì per Friburgo
dicendo che se io non facevo miracoli era per umiltà.
Alcuni giorni dopo mi mandò un immenso formaggio
gruviera, sopra la crosta del quale aveva disegnato col
coltello delle parole pie e dei geroglifici d'un
misticismo stravagante; un formaggio eccellente, però,
che non arrivava mai alla fine, e che io ho mangiato con
molto rispetto. (Le risa raddoppiano; alcuni cattolici
protestano).
I primi libri sulla Massoneria furono dunque una miscela
di rituali con delle piccole aggiunte, che avevano
l'aria di niente, con delle annotazioni in apparenza
insignificanti; ogni volta che un passaggio era oscuro
io lo delucidavo nel senso gradito ai cattolici, che
vedono in Lucifero il supremo Gran Maestro dei Massoni.
Ma ciò era appena accennato. Io spianavo da principio, e
molto dolcemente, il terreno, salvo a lavorare poi e a
gettare la semente mistificatrice che doveva tanto bene
germogliare.
Dopo due anni di questo lavoro preparatorio io sono
andato a Roma.
Una voce: Ah, ci siamo!
Leo Taxil: Ricevuto prima dal Cardinal Rampolla e dal
Cardinal Parocchi, ho avuto l'onore di udirli dire,
l'uno e l'altro, che i miei libri erano perfetti. Ah sì,
essi svelavano molto esattamente ciò che si conosceva
benissimo al Vaticano, ed era veramente un bene
grandissimo che un convertito avesse pubblicato questi
famosi rituali (Risa).
Il Cardinal Rampolla mi dava del «mio caro» con vera
espansione.
E come era dispiacente che io non fossi stato che un
semplice apprendista nella Massoneria! Ma dal momento
che io ero riuscito ad avere i rituali, niente era più
legittimo che il pubblicarli. Vi ritrovava tutto ciò che
aveva letto nei documenti che la Santa Sede possiede,
diceva; vi ritrovava tutto, anche quello che, per opera
mia, aveva il medesimo valore dei pescicani di
Marsiglia, o della città sottolacustre.
Una voce: Briccone, canaglia, furfante!
Leo Taxil: Quanto al Cardinal Parocchi, ciò che lo
interessava particolarmente erano le Sorelle massone;
anche a lui le mie preziose rivelazioni non insegnavano
nulla di nuovo. (Mormorii da una parte; risa
dall'altra).
Ero arrivato a Roma all'improvviso, non ignorando che
bisognava perdere molto tempo prima di ottenere una
particolare udienza dal Sommo Pontefice; ma ebbi la
gradita sorpresa di non aspettare, ed il Santo Padre mi
ricevette per tre quarti d'ora.
Una voce: Voi siete un bandito!
Leo Taxil: Per vincere questa nuova partita io avevo
prese le mie precauzioni sin dalla sera antecedente che
passai in intimo colloquio col Cardinale Segretario di
Stato. È evidente che egli era stato incaricato di
studiarmi in antecedenza. Così, l'impressione che mi ero
sforzato di produrgli sul conto mio, era ch'io fossi un
cervello alquanto esaltato, senza andare però fino al
grado del buon canonico di Friburgo (Risa). Il rapporto
verbale del Cardinal Rampolla fatto al Santo Padre mi
procurò l'accoglienza che io desideravo.
Dalla mia ammissione sotto la bandiera della Chiesa mi
ero ben convinto di una verità, che cioè non si può
essere un buon attore, se non entrando nella pelle del
personaggio che si deve rappresentare, se non si crede -
almeno momentaneamente – che ciò che si rappresenta è
reale. Se al teatro si recita una scena di disperazione,
non bisogna simulare le lacrime: l'istrione strofina col
suo fazzoletto gli occhi asciutti; l'artista piange
realmente.
Una voce: Briccone! briccone!
Leo Taxil: Perciò tutta la mattina che precedette il mio
ricevimento mi penetrai della situazione, in un modo
così vero e completo che ero preparato a tutto, che ero
incapace di tradirmi a dispetto di qualunque sorpresa.
(La voce dell' oratore si perde un momento in mezzo al
tumulto).
Leo Taxil: Quando il Papa mi domandò: «Figlio mio, che
desiderate?» gli risposi: «Santo Padre, morire ai vostri
piedi, in questo momento, sarebbe la mia più grande
felicità!»
(Risa).
Un ascoltatore: Rispettate Leone XIII; non avete il
diritto di pronunziare il suo nome!
Leo Taxil: Leone XIII si degnò di dirmi sorridendo che
la mia vita era molto utile ancora per i combattimenti
della fede. E abbordò la questione della Massoneria:
egli aveva tutti i miei nuovi lavori nella sua
biblioteca particolare, li aveva letti da un capo
all'altro ed insisté sulla direzione satanica della
Setta. Non essendo stato io che un apprendista, avevo un
gran merito ad aver compreso che «il diavolo è là!». Ed
il Pontefice appoggiava sopra questa parola «il diavolo»
con una intonazione che non mi è facile di rendere; mi
sembra d'intenderlo ancora ripetermi: «il diavolo, il
diavolo!».
Quando partii di là acquistai la certezza che il mio
piano avrebbe potuto esser eseguito sino alla fine.
L'importante era di non mettermi più in evidenza
personalmente, ma soltanto quando il frutto fosse stato
maturo.
L'albero del luciferanismo contemporaneo cominciava a
crescere. Gli prestai tutte le mie cure per qualche anno
ancora. Infine rifeci uno dei miei libri introducendovi
un rituale palladico, di mia intera fabbricazione, dalla
prima all'ultima riga.
Uno spettatore: E noi ascoltiamo tutto ciò? È
ributtante!
Leo Taxil: Questa volta il palladismo o alta Massoneria
luciferana aveva veduto la luce. Il nuovo libro ebbe le
più entusiastiche approvazioni, comprese quelle di tutte
le riviste redatte dai padri della Compagnia di Gesù.
Era giunto il momento di ritirarmi: senza di che la più
fantastica mistificazione dei tempi moderni sarebbe
caduta miseramente.
Mi misi in cerca del primo collaboratore necessario. Mi
abbisognava qualcuno che avendo molto viaggiato potesse
raccontare una misteriosa inchiesta nei Triangoli
luciferani, negli antri del Palladismo, presentato come
dirigente in segreto tutte le Logge e retro-Logge del
mondo. Fortunatamente un vecchio compagno di collegio,
che io ritrovai a Parigi, era stato medico della Marina.
Da principio non lo misi al corrente della
mistificazione. Gli feci leggere i diversi libri di
autori che seguirono alle mie stupefacenti rivelazioni.
La più straordinaria di queste opere è quella di un
vescovo gesuita, monsignor Meurin, vescovo di Port Louis
(Isole Maurizio), che venne a vedermi a Parigi e mi
consultò. Figuratevi se ebbe delle buone informazioni!!
(Risa). Questo eccellente monsignore, erudito
orientalista, non potrebbe esser meglio paragonato che
all'archeologo Polacco che aveva sì ben distinto un
avanzo di statua equestre nel mezzo di un resto di
piazza pubblica della mia città sottolacustre (Nuove
risate).
Partendo da questa idea ben fissa che i massoni adorino
il diavolo e convinto dell'esistenza del Palladismo,
egli ha scoperto cose straordinarie in fondo alle parole
ebraiche che servono da parole di passo negli
innumerevoli gradi dei riti massonici.
Cordoni, grembiali, accessori rituali, - egli conosce
tutto, ha tutto scrutato; ha esaminato fino i più
piccoli ricami fatti sopra il più insignificante pezzo
di stoffa che abbia appartenuto ad un massone, e con la
miglior buona fede del mondo egli ritrovò il mio
Palladismo da per tutto.
Ricorderò sempre fra le più dilettevoli ore della mia
vita, quelle in cui mi leggeva il suo manoscritto. Il
suo grosso volume "La Massoneria Sinagoga di Satana", mi
servi mirabilmente a convincere il dottore mio amico,
ch'egli possedeva realmente l'arcano segreto luciferano
di tutto il simbolismo massonico.
In fondo il dottore ne rideva come di una burla. Ma
aveva realmente studiato lo spiritismo; come un
dilettante curioso; sapeva che nel mondo esistono delle
persone che credono alle manifestazioni soprannaturali,
ai fantasmi, alle ombre ed ai lupi mannari.
Sapeva che in alcuni piccoli gruppi di occultisti, di
amabili mistificatori, si fanno vedere degli spettri
alle buone persone troppo dimentiche di Roberto Houdin.
Ma ignorava che nella Massoneria ci si abbandonasse ad
operazioni simili; ignorava che vi fosse un rito
speciale di occultismo luciferano e massonico; ignorava
il Palladismo ed i suoi triangoli; i magi Eletti e le
maestre Templari e tutta questa straordinaria
organizzazione suprema che io avevo immaginato e di cui
il dott. Meurin ed altri avevano prodotto la scientifica
conferma.
Nel mio libro: «Vi sono donne nella Massoneria?» avevo
fatto campeggiare il personaggio di una certa grande
maestra del Palladismo, una Sofia Saffo, di cui davo
solamente una iniziale del preteso vero nome: un W. Al
dottore mio amico, in tutta confidenza, avevo detto
l'intero nome: si chiamava Sofia Walder.
Intendiamoci bene: in conseguenza di libri come quello
del sig. Meurin, il dottore credeva al Palladismo ed ai
diversi personaggi che cominciavano di già ad apparire,
eroi della mia mistificazione. Ma non tentai, nemmeno
lontanamente, di fargli creder vere le manifestazioni
soprannaturali che si trattava di raccontare.
(Nuovo tumulto; un religioso scoppia a ridere e si mette
ad applaudire. Profonda stupefazione dei preti che sono
intorno a lui).
Leo Taxil: Breve; ecco come chiesi la collaborazione del
mio amico dottore:
«Vuoi aiutarmi nello scrivere un'opera sopra il
Palladismo? Io conosco a fondo la questione, ma il
pubblicare dei rituali non offre lo stesso interesse,
che il raccontare delle avventure come testimonio, in
ispecie se queste avventure sono stupefacenti. Di più,
per commuovere meglio le credule anime, bisogna che il
narratore sia egli stesso un eroe; non già un palladista
convertito, ma uno zelante cattolico che abbia preso la
maschera luciferana, per fare questa tenebrosa scoperta
anche a rischio della sua vita. Io ti do uno pseudonimo,
poiché noi diremo che per tante e tante ragioni l'autore
non può render noto il suo nome; per esempio perché gli
rimane ancora da fare una inchiesta presso i
nichilisti... (Risa) Non ti farai conoscere che da un
piccolo gruppo di ecclesiastici: questo basterà... Mi
rimetterai gli itinerari dei tuoi viaggi, ed io, con
questa guida, ti preparerò un canovaccio su cui tu non
dovrai che ricamare... Al più io ricopierò il tuo
manoscritto con lo scopo di correggere, di togliere, ma
soprattutto di aggiungere.
«A te la parte che concerne la scienza medica, la
descrizione delle città, ed un certo numero di
narrazioni. Quanto a me m'incarico della parte tecnica
del Palladismo, dei connotati delle persone che faremo
comparire, e della maggior parte degli episodi
complementari. Insomma ho bisogno della tua
collaborazione per trenta o quaranta puntate. Intanto
sta' tranquillo a proposito di smentite.
«Come ti sarai reso conto scorrendo le opere che t'ho
dato a leggere, il Palladismo consta di due elementi:
alcuni esaltati che credono realmente che Lucifero sia
il Dio-Bono e che il suo culto debba restare segreto per
un certo numero di anni; ed alcuni intriganti che si
servono di questi esaltati, come eccellenti soggetti per
le loro esperienze di spiritismo occulto... Né gli uni,
né gli altri potranno protestare pubblicamente, poiché
la prima condizione che impone il Palladismo è il
segreto rigorosissimo; d'altronde se anche
protestassero, le loro smentite sarebbero senza effetto,
dal momento che sembrerebbero interessate».
L'amico dottore accettò; e al fine di fargli realmente
credere che questo Palladismo esisteva, malgrado la
mistificazione dei fatti soprannaturali da noi
attribuiti ai suoi Triangoli, gli feci pervenire qualche
lettera di Sofia Walder; Sofia si mostrava indignata
contro colui che pretendeva conoscerla.
Il dottore mi riportava fedelmente queste lettere. Alla
terza o alla quarta che ricevette, mi disse: «Temo che
questa donna faccia uno scandalo e dimostri per filo e
per segno che in ciò che noi le attribuiamo, non v'è
ombra di vero» (Risa). «Tranquillizzati, gli risposi,
ella protesta pro forma, ma in fondo si diverte leggendo
che possiede il dono di passare attraverso i muri, e che
ha un serpente che con la punta della coda le scrive
delle profezie sul dorso! (Si ride). Mi son fatto
mettere in rapporto con lei; le fui presentato: è una
buona figliuola. È una palladista mistificatrice, ride a
crepapelle di tutto ciò. Vuoi che te la presenti?».
«Come? Sarei così fortunato di poter stringer conoscenza
con Sofia Walder?! ...».
Qualche giorno dopo inviai al mio amico una lettera
della gran maestra palladista; Sofia acconsentiva alla
presentazione. Prendemmo convegno in casa mia; di là
dovevamo poi recarci a trovarla, anzi ci aveva anche
offerto di pranzare da lei. Il dottore mi si presenta in
grande tenuta da cerimonia, come se fosse stato invitato
allo Eliseo. Gli mostro la tavola imbandita in casa mia
e, questa volta, gli racconto tutto... o meglio quasi
tutto.
Sofia Walder, un mito! Il Palladismo, la mia più bella
invenzione, non esisteva che sulla carta ed in qualche
migliaio di cervelli! Rimase attonito... bisognò che gli
dessi delle prove... Quando fu convinto, trovò che la
mistificazione era veramente geniale e mi conservò il
suo appoggio.
Fra le cose che dimenticai di dirgli ce n'è una che
conoscerà da questa conferenza: perché gli avessi fatto
prendere lo pseudonimo di Dr. Bataille?
In apparenza, per meglio caratterizzare l'attacco, la
guerra al Palladismo; ma il vero motivo per me, la
ragione intima dell'amatore di mistificazioni, fu
questa: uno dei miei vecchi amici, oggi defunto, fu un
mistificatore di prima forza, l'illustre Sapeck,
principe della mistificazione nel Quartiere Latino; io
lo facevo rivivere, in certo modo, senza che se ne
accorgessero. Infatti il vero nome di Sapeck era
Bataille. (Scroscio di risa).
Ma il dottore mio amico non bastava alla realizzazione
del mio piano. Il Diavolo nel XIX secolo doveva
preparare, secondo il mio progetto, l'entrata in scena
di una gran maestra luciferana che si convertiva.
L'opera citata aveva presentato Sofia Saffo, ma sotto i
colori più foschi: m'ero studiato di renderla, ai
cattolici, più antipatica che mi fosse stato possibile:
era il tipo completo della diavola incarnata,
raggirantesi nel sacrilegio; una vera satanista, come
quelle che si trovano nei romanzi di Huysmans.
Sofia Saffo, o madamigella Sofia Walder, non era là che
per servirmi a cacciar fuori un'altra luciferana:
questa, però, una simpatica, angelica, creatura, vivente
in quell'inferno palladista per triste caso della sua
nascita; ed io riservavo all'opera firmata Bataille il
compito di farla conoscere al pubblico cattolico.
Una voce: Oh!... il briccone! Oh!... l'immonda orgia!
Leo Taxil: Ora, siccome questa luciferana doveva in un
dato momento convertirsi, bisognava ben avere una
persona in carne ed ossa, pel caso di qualche
indispensabile presentazione.
Poco prima che ritrovassi il dottore mio amico, le
esigenze della mia professione m'avevano fatto imbattere
in una copista dattilografa che era la rappresentante di
una fabbrica di macchine da scrivere degli Stati Uniti.
Le detti a ricopiare parecchi manoscritti in
quell'epoca. La conobbi donna intelligente, attiva, che
viaggiava talvolta per suoi affari, spiritosa, e di
elegante semplicità come, in generale, è nelle nostre
famiglie protestanti: è noto che Luterane e Calviniste,
benché proscrivano il lusso dal loro abbigliamento,
fanno pur tuttavia qualche concessione alla moda.
La sua famiglia è francese, suo padre e sua madre sono
francesi, ma morti: la sua origine americana rimonta al
bisavolo. Malgrado la somiglianza di nome, non ha alcun
vincolo di parentela con Ernesto Vaughan,
l'ex-amministratore dell'Intransigeant. In Francia
questo è un cognome abbastanza diffuso, ma in
Inghilterra e negli Stati Uniti i Vaughan sono
innumerevoli.
Dico queste cose perché si potrebbe credere che il
signor Ernesto Vaughan, col quale ero, in tempi passati,
in buoni rapporti d'amicizia, fosse più o meno
indirettamente complice della mia mistificazione.
Bisogna togliere ogni equivoco: Miss Diana Vaughan non è
affatto sua parente; l'omonimia è effetto del caso.
Ma certo non potevo imbattermi in meglio. Nessuno
sarebbe stato atto a secondarmi come Miss Diana.
La questione si riduceva a questo: accetterebbe? Non le
feci la proposta a bruciapelo. Cominciai a studiarla;
l'interessai a poco a poco alla diavoleria, cosa che
grandemente la divertiva.
Ella è, l'ho già detto, piuttosto libera pensatrice che
protestante; perciò rimase stupefatta nel constatare che
in questo secolo di progresso v'è ancora chi crede
seriamente a tutte le frottole della stregoneria
medioevale.
Una voce: Ma non siamo venuti per sentire queste cose!
Altre voci: Continuate, continuate.
Leo Taxil: È sorprendente che coloro che vanno sulle
furie siano proprio gli stessi che nei loro giornali mi
invitavano a parlare!
Continuo.
Le prime trattative che intavolai con Miss Diana ebbero
a soggetto le lettere di Sofia Walder. Ella acconsenti a
farle scrivere da una sua amica. Ebbi così la prova che
le donne son meno ciarliere di quel che si creda, e che,
quantunque abbiano il difettuccio della curiosità, si
può contare sulla loro discrezione. L'amica di Miss
Vaughan non s'è vantata mai con alcuno d'aver scritto le
lettere di Sofia Walder. Ad ogni modo queste non furono
numerose.
Infine feci decidere Miss Diana a diventare mia complice
per il successo finale della grande mistificazione.
Le fissai 150 lire al mese per la copia dei miei
manoscritti in dattilografia e per le lettere che
avrebbe dovuto ricopiare a mano. Fu stabilito che,
naturalmente, in caso di un viaggio indispensabile, ella
sarebbe stata rimborsata di ogni spesa: ma non volle mai
accettare alcuna somma in regalo.
In realtà si divertiva grandemente a questa brillante
mariuoleria; ci prendeva gusto: corrispondere con
vescovi e cardinali, ricever lettere dal segretario
particolare del Sommo Pontefice e raccontar loro delle
favole da dirsi a notte bianca, informare il Vaticano
dei neri complotti luciferani, tutto ciò la metteva di
buon'umore, di una festività indescrivibile. (Risate).
Mi ringraziò d'averla associata a questa colossale
mistificazione e se avesse posseduto realmente le
ricchezze che noi le attribuimmo per aumentare il di lei
prestigio, non solamente non avrebbe accettato il prezzo
convenuto per la sua collaborazione, ma avrebbe di cuore
pagato ogni spesa.
Fu essa che ci fece conoscere, a fine di diminuire le
spese, l'esistenza delle agenzie di posta privata: aveva
avuto occasione di rivolgersi, a Londra, ad una di esse,
e ce la indicò come pure mi suggerì l'Alibi-Office di
New-York.
Il Diavolo nel XIX secolo fu, dunque scritto
principalmente per accreditare Miss Vaughan, alla quale
destinai sì grande parte nella mistificazione.
Se ella si fosse chiamata Campbell o Thompson, noi
avremmo dato alla nostra simpatica luciferana il nome di
Miss Campbell o quello di Miss Thompson. Ci limitammo a
dirla americana anch'essa, senza tener conto della sua
nascita accidentale a Parigi, e stabilimmo la sua
famiglia nel Kentucky. Questo ci permise di renderla
interessante al massimo grado, attribuendole
innumerevoli fenomeni straordinari che non potevano
essere controllati da alcuno (Risa). Ci fu anche
un'altra ragione, questa: che noi avevamo posto a
Charleston il centro del Palladismo facendone fondatore
il defunto generale Alberto Pike, Gran Maestro del Rito
Scozzese nella Carolina del Sud. Questo celebre massone,
dotato d'una erudizione straordinaria, era stato uno dei
grandi luminari dell'Ordine; noi ne facemmo il primo
papa luciferano, capo supremo di tutti i massoni della
terra, il quale conferiva regolarmente, ogni venerdì, a
tre ore dopo mezzo giorno, con messer Satanasso in
persona. (Esplosioni di risa).
Il più curioso si è che anche alcuni massoni montarono
nel mio battello, senza esservi affatto invitati; e
questo battello del Palladismo, diventò una vera
corazzata in confronto del rimorchiatore che io, negli
esordi della carriera, feci inviare alla caccia dei
pescicani nella rada di Marsiglia. Col concorso del
dottor Bataille la corazzata divenne una squadra, e
quando Miss Diana Vaughan si fece mia ausiliaria, la
squadra si cangiò in flotta (Nuove risate).
Si, abbiamo visto dei giornali massonici, come la
"Renaissance Symbolique", abboccare ad una circolare
dogmatica nel senso dell'occultismo luciferano,
circolare in data del 14 giugno 1889, scritta da me a
Parigi, e gabellata come giunta da Charleston in Europa
per mezzo di Miss Diana Vaughan da parte del suo autore
Alberto Pike.
Quando nominai Adriano Lemmi secondo successore
d'Alberto Pike al supremo pontificato luciferano -
poiché egli non è stato eletto papa dei massoni a
palazzo Borghese, ma a Parigi nel mio ufficio - (Risa);
quando, dicevo, questa elezione immaginaria fu
conosciuta, dei massoni italiani, fra i quali un
deputato al Parlamento, la hanno presa sul serio.
Essi s'inquietarono nel conoscere, dalle indiscrezioni
della stampa profana, come Lemmi facesse il misterioso
verso di loro, e li tenesse al buio intorno a questo
famoso Palladismo di cui si parlava già nel mondo
intero.
Si riunirono in congresso a Palermo: costituirono in
Sicilia, a Napoli e a Firenze tre Supremi consigli
indipendenti e nominarono Miss Vaughan membro d'onore e
protettrice della loro federazione.
Una voce: Come mistificazione è riuscita.
Un'altra: Quei massoni erano vostri complici!
Leo Taxil: Andiamo!... Ve lo ripeto, non ebbi che due
ausiliari messi a parte del mio segreto: il Dottore e
miss Diana Vaughan.
Un aiuto inatteso, ma che non fu affatto mio complice,
checché se ne sia detto, è il sig. Margiotta, massone di
Palmi in Calabria. Arruolatosi fra i mistificati, lo fu
più degli altri; e, cosa divertente più di ogni altra,
egli ci raccontò che aveva conosciuto la gran maestra
palladista in uno dei suoi viaggi in Italia (Risa). Vero
è che io l'avevo condotto assai dolcemente a farmi
questa confidenza. Gli avevo messo in testa che questo
viaggio aveva avuto luogo; avevo creato attorno a lui
una atmosfera di palladismo; lo avevo fatto incontrare a
Roma con un ciambellano di Leone XIII che avevo fatto
pranzare con miss Diana qualche tempo innanzi (Risa,
rumori, atti di protesta). Poi insinuai che miss Diana,
al tempo del suo preteso viaggio del 1889, quando portò
in Europa la sedicente circolare dogmatica di Alberto
Pike, aveva ricevuto, in due serate, a Napoli, all'Hotel
Vittoria, per gruppi, numerosi massoni.
Sapevo che il signor Margiotta, che è poeta, aveva
dedicato a Bovio un volume di versi, ed avevo avuto cura
di dire che i massoni presentati a miss Vaughan nel 1889
lo furono per mezzo di Bovio e di Cosma Panunzi.
Aggiunsi che questi fratelli ai quali essa aveva offerto
il the erano tanto numerosi che non ricordava né i loro
nomi né le loro fisionomie. Il sig. Margiotta rischiò da
principio timidamente qualche allusione a questo antico
incontro, poi, vedendo la buona piega che prendeva la
cosa, constatando che miss Diana non lo smentiva, ci
cadde dentro: ed andò anche troppo lontano.
Più tardi quando giudicai che bisognava impedire che la
mistificazione indovinata in Germania, crollasse nel
silenzio di una Commissione; quando m'intesi col dottore
per gettare un suono d'allarme in mezzo alla esaltazione
dei cardinali mistificati; quando io e Bataille, sempre
d'accordo, fingevamo di tirarci contro, a palle
infuocate, il signor Margiotta, avendo finalmente aperti
gli occhi, temette il ridicolo, e preferì dichiararsi
complice, piuttosto che cieco, e volontariamente
arruolato nella nostra flotta.
Ma non ci conviene mostrarci più numerosi di quel che
fummo in realtà: fummo in tre soli, e ce n'era d'avanzo!
Gli editori stessi sono stati mistificati dai prezzi
elevati, ma oggi non hanno a dolersene; prima perché le
nostre coraggiose pubblicazioni hanno valso loro le più
incoraggianti felicitazioni episcopali, senza contare
quelle dei gravi teologi che non si stupirono né del
nostro coccodrillo che suona il piano, né dei viaggi di
Miss Vaughan nei diversi pianeti (Risa); quindi perché
questa triplice collaborazione ha permesso loro di
pubblicare delle opere che possono rivaleggiare con le
Mille ed una notte, che sono state divorate con delizia,
e che ancora si leggeranno, non più, forse, per
convinzione, ma per curiosità.
Invero, non è cosa da poco aver fatto accettare nel
secolo XIX le nostre storie meravigliose. Tuttavia io mi
domando quanto diritto abbiano oggi di adirarsi gli alti
approvatori del Palladismo svelato. Quando ci si accorge
di essere stati mistificati, il meglio che ci resti a
fare è riderne con la platea. Sì, signor abate Garnier:
adirandovi farete ridere troppo di voi.
L'abate Garnier: Siete una canaglia! (Si cerca di
calmarlo).
Leo Taxil (Quando il tumulto si è calmato): I
mistificati del Palladismo si possono dividere in due
categorie: quelli che lo sono stati in buona fede,
interamente in buona fede. Questi furono vittime della
loro scienza teologica e dei loro studi, accaniti contro
tutto ciò che abbia relazione colla Massoneria. E mi
convenne immergermi fino al collo in queste scienze, per
immaginare ogni cosa in modo che non si scoprisse
l'inganno. Credete, per esempio, che mi sia stato facile
di darla ad intendere al sig. De la Rive, il quale è
l'indagine incarnata, che sezionerebbe al microscopio
gl'invisibili, e che darebbe dei punti ai nostri
migliori giudici d'istruzione? Può vantarsi di avermi
dato del filo da torcere!
Tutto il mio Palladismo era stato solidamente costruito,
quanto alla parte massonica propriamente detta, dal
momento che dei massoni, dei 33, non hanno creduto
l'edificio un vano miraggio e hanno domandato di
entrarvi (Risa).
L'impossibilità del Palladismo non si rivela che per il
soprannaturale di cui l'abbiamo riempito. Ora queste
cose diaboliche non potevano mettere in guardia che
coloro che non credono alle diavolerie raccontate da
altri libri, dai libri ascetici.
Asmodeo trasportante Miss Diana Vaughan al paradiso
terrestre, non è certo più straordinario di messer
Satana che trasporta Gesù Cristo stesso sulla cima di
una montagna, da cui gli mostra tutti i regni della
terra... che è tonda!
Voci diverse: Bravo!
Leo Taxil: O si ha la fede o non si ha! (Risa).
Ma oltre a questa prima categoria di mistificati ve n'è
un'altra: per questa non vi fu mistificazione assoluta.
I buoni abati e religiosi che hanno ammirato in Miss
Diana Vaughan una sorella massona luciferana convertita,
hanno il diritto di credere che esistano di queste
massone. Non ne hanno mai viste, mai incontrate; ma
questo è accaduto, possono credere, perché non ve ne
sono nelle loro diocesi. A Roma non è più così; a Roma
tutte le notizie sono centralizzate; a Roma non si può
ignorare che non vi sono altre massone che le spose, le
figlie, le sorelle dei massoni, ammesse ai banchetti,
alle feste o che si riuniscono tra di loro a parte,
onestissimamente, in società particolari composte di
soli elementi femminili, come avviene negli Stati Uniti
per le Sorelle della Stella d'Oriente o le Dame della
Rivoluzione (Approvazioni).
Con un po' di riflessione è facile comprendere che, se
esistessero delle sorelle massone come gli antimassoni
se le immaginano, avrebbero dovuto esservi delle
conversioni e delle confessioni da molto tempo! La
premura colla quale fu accolta a Roma la pretesa
conversione di Miss Vaughan è significativa. Pensate che
Monsignor Lazzareschi, delegato della Santa Sede presso
il Comitato centrale dell'Unione antimassonica, fece
celebrare un triduo di ringraziamento nella chiesa del
Sacro Cuore di Roma.
L'inno a Giovanna d'Arco, attribuito a Miss Diana
Vaughan, parole e musica, è stato eseguito alle feste
antimassoniche del Comitato Romano; questa musica,
divenuta quasi sacra, si è intesa nelle grandi solennità
nelle basiliche della Città Santa. È l'aria della
Seringue philarmonique, operetta musicale che un mio
amico, maestro di musica, direttore d'orchestra del
Sultano Abdul-Aziz, aveva composto per i divertimenti
del serraglio (Risa prolungate).
Grida: È abominevole! Oh l'impostore!
Leo Taxil: Questo entusiasmo romano dava molto a
riflettere.
Citerò due fatti caratteristici: sotto la firma Dr.
Bataille ho raccontato, e col nome di miss Diana Vaughan
ho confermato, che il tempio massonico di Charleston
racchiude un labirinto nel centro del quale esiste la
cappella di Lucifero.
Mons. Oscar Havard: Il vescovo di Charleston ha
dichiarato esser questa una impostura.
Leo Taxil: Perfettamente. È quello che vi dirò fra
breve; ma non avrete di che gloriarvi. Attendete un
poco! ... Ho dunque raccontato che nel tempio massonico
di Charleston una delle sale di forma triangolare, e che
porta il nome di Sanctum Regnum, ha per principale
ornamento la mostruosa statua di Baphomet, alla quale
gli alti massoni rendono culto; che un'altra sala
contiene una statua d'Eva che si anima quando una
Maestra Templare è particolarmente gradita a Mastro
Satana, e che questa statua diviene allora la diavola
Astarté, che prende corpo e vive un momento, per dare un
bacio alla Maestra Templare privilegiata. Ho pubblicato
la pretesa pianta del tempio massonico in discorso: quei
rilievi erano stati disegnati da me.
Ciò posto, il vescovo cattolico di Charleston, mons.
Northrop, si è recato apposta a Roma per assicurare il
Pontefice che questi racconti erano assolutamente
fantastici. Tutti avrebbero ignorato il viaggio se mons.
Northrop non si fosse lasciato intervistare per via:
così si seppe ciò che egli veniva a dire al Papa: «È
falso, son le sue parole, assolutamente falso che i
massoni di Charleston siano i capi di un rito supremo
luciferano. Io conosco benissimo i principali fra loro:
sono protestanti animati dalle migliori intenzioni;
neanche uno che sogni abbandonarsi a pratiche
d'occultismo. Ho visto il loro tempio: non esiste colà
neanche una delle sale descritte dal dott. Bataille e da
miss Diana Vaughan. Questa pianta è una burla».
Il Vescovo di ritorno da Roma non ha più protestato;
rimase in silenzio: miss Diana Vaughan al contrario
rispose alla intervista dicendo che il vescovo di
Charleston era lui stesso un massone, e s'ebbe così la
benedizione del Papa.
Secondo fatto. Con le firme Bataille e Vaughan ho
raccontato e confermato che a Gibilterra, sotto la
fortezza inglese, si trovavano delle grandi officine
segrete nelle quali alcuni uomini-mostri fabbricavano
tutti gli strumenti che dovevano usarsi nelle cerimonie
del Palladismo; e miss Vaughan, interrogata su questo
punto da alti dignitari ecclesiastici di Roma, si
divertì a risponder loro che era vero e che i forni di
queste misteriose Officine di Gibilterra sono alimentati
dal fuoco medesimo dell'inferno (Risa). Monsignor
Vicario apostolico di Gibilterra scrisse che confermava
ciò che aveva dovuto, per necessità, confidare anche
agli altri: cioè, che la storia di questi segreti
laboratori era una audace invenzione, che non aveva base
assolutamente su nulla, e che era indignato di veder
create tali leggende. Il Vaticano non pubblicò la
lettera del Vicario apostolico di Gibilterra, e Miss
Diana si ebbe la benedizione del papa. (Applausi).
Più voci: Bravo Taxil!
Leo Taxil: Fa bisogno citare qualcuna delle lettere
d'approvazione che ha ricevuto miss Diana Vaughan?
Voci diverse tra i giornalisti cattolici: Non è vero;
non ha ricevuto approvazioni!
Leo Taxil: Come! osereste negarlo? Ebbene, eccovene una
di queste lettere d'approvazione, ed ha molto valore!...
È del cardinale Parocchi, Vicario di Sua Santità: è
datata il 16 dicembre 1895:
Signorina e cara figlia in N. S.
È con viva ma dolcissima emozione che ho ricevuto la
vostra gradita lettera del 29 novembre, con l'esemplare
della «Novena Eucaristica...».
Sua Santità m'ha incaricato d'inviarvi da parte sua una
benedizione del tutto speciale...
Da molto tempo le mie simpatie vi accompagnano. La
conversione vostra è uno fra i più magnifici trionfi
della grazia che io mi conosca. Sto ora leggendo le
vostre Memorie, che sono d'un interesse palpitante...
Credete, intanto, che non vi dimenticherò nelle mie
preghiere e specialmente nel Santo Sacrifizio. Dal canto
vostro non cessate di ringraziare Nostro Signore Gesù
Cristo della grande misericordia che ebbe per voi e
della testimonianza risplendente d'amore che vi ha dato.
Accettate la mia benedizione e credetemi
Tutto vostro nel cuore di Gesù
Cardinale Vicario
Ed ecco un'altra lettera su carta ufficiale del
Consiglio direttivo generale della Unione antimassonica,
che è quanto dire del più alto Comitato di azione contro
la Massoneria, Comitato istituito dallo stesso Papa, e
che ha alla testa un rappresentante ufficiale della
Santa Sede, Monsignor Lazzareschi. Ascoltate:
Roma, 27 maggio 1896
Signorina
Monsignor Vincenzo Sardi, uno dei segretari particolari
del Santo Padre, mi ha incaricato di scrivervi per
ordine di Sua Santità.
Debbo anche dirvi che il Sommo Pontefice ha letto con
grande piacere la vostra Novena eucaristica.
Il signor commendatore Alliata, ha tenuto una intervista
col Cardinal Vicario intorno alla veracità della vostra
conversione; Sua Eminenza ne è convinta, ma ha detto al
nostro presidente che non può renderne pubblica
testimonianza. «Non posso tradire i segreti del
Sant'Uffizio» ha risposto Sua Eminenza al commendatore
Alliata.
Sempre vostro devotissimo in Nostro Signore
Rodolfo Verzichi Segretario generale
Il segretario particolare di Leone XIII, quello stesso
monsignor Sardi poc'anzi citato, scrisse a sua volta,
fra le altre cose:
Roma, 11 giugno 1896
Signorina
Mi affretto ad esprimervi i ringraziamenti che vi sono
dovuti per l'invio del vostro ultimo volume su Crispi …
[Si tratta di un libro, in cui, sotto la firma di Miss
Diana Vaughan ho raccontato che Crispi aveva un patto
con un diavolo chiamato Haborym: che Crispi aveva
assistito nel 1885 ad una seduta palladica nella quale
un diavolo chiamato Bitru, presentando Sofia Walder ad
alcuni uomini politici italiani, aveva annunciato loro
che essa avrebbe partorito il 29 settembre 1896, una
figlia che diverrebbe la nonna dell'Anticristo. Avevo
inviato questo libro al Vaticano. Il segretario del Papa
ringraziava dunque ed aggiungeva:]
Continuate, signorina, continuate a scrivere ed a
smascherare l'iniqua setta! È solo per questo che la
Provvidenza ha permesso che voi vi abbiate appartenuto
per tanto tempo.
Mi raccomando caldamente alle vostre preghiere e con
perfetta stima mi dichiaro
vostro devotissimo
Monsig. Vincenzo Sardi
La Civiltà Cattolica, la più importante fra tutte le
riviste clericali del mondo, l'organo ufficiale del
generale dei Gesuiti, che si pubblica a Roma, stampava
queste righe nel N. 11 del 10 del settembre 1896:
«Ci vogliamo concedere almeno una volta il piacere di
benedire pubblicamente i nomi dei valorosi campioni che
entrarono primi nell'arena gloriosa, fra i quali la
nobile Miss Diana Vaughan.
«Miss Vaughan, chiamata dal profondo delle tenebre alla
luce di Dio, preparata dalla Provvidenza Divina, armata
di scienza e di esperienza personale, si volge verso la
Chiesa per servirla, ed apparisce inesauribile nelle sue
pubblicazioni, che non hanno rivali per esattezza ed
utilità».
E coloro che circondano il Santo Padre non consideravano
Miss Vaughan soltanto come una eroica polemista, ma la
paragonavano ai Santi. Quando essa cominciò ad essere
attaccata, il segretario del Cardinal Parocchi le
scrisse da Roma in data 19 ottobre 1896:
«Continuate, signorina, con la vostra penna e con la
vostra pietà, a fornire, malgrado gli sforzi
dell'inferno, le armi per atterrare il nemico del genere
umano.
«Tutti i Santi videro le loro opere combattute; e non
v'è quindi da meravigliarsi se la vostra non viene
risparmiata...
«Vogliate gradire, signorina, i miei più alti sentimenti
d'ammirazione e di rispetto.
«A. Villard
«Prelato della Casa di S. Santità Segretario di S.E. il
Cardinal Parocchi»
Voi, giornalisti cattolici, sapete bene che queste
lettere sono state realmente trasmesse a Miss Vaughan.
È possibile che oggi ve ne dispiaccia; ma questi sono
documenti storici; questi non sono stati inventati, ed i
loro eminenti autori non li rinnegheranno. E non
solamente patrocinavano questa mistificazione, ma
eccitavano la loro corrispondente, credendola una
esaltata, ad entrare nel loro giuoco per la preparazione
dei loro miracoli.
Il tempo oggi mi manca: nondimeno voglio raccontarvi un
fatto in questo ordine d'idee.
Ognuno sa che, secondo la leggenda cattolica, quando
Giovanna d'Arco fu arsa, il carnefice rimase stupefatto
nel constatare che solamente il cuore dell'eroina non
era stato consunto; ci gettò sopra, invano, della pece e
dello zolfo infiammati: il cuore non bruciò. Allora,
sotto l'ingiunzione degli ordinatori del supplizio, il
cuore di Giovanna fu gettato nella Senna.
Ora il clero francese domanda la canonizzazione di
Giovanna d'Arco: ma è Roma che canonizza, e Roma sta in
Italia. Il clero francese ha già trovato una reliquia di
colei che giustiziò: è una costola carbonizzata. In
Italia si preparano ad aver qualche cosa di meglio. Un
terziario è preso da un'idea straordinaria: quella di
ritrovare il cuore di Giovanna d'Arco: senza dubbio
glielo porterà un angelo. Questo terziario ultra-mistico
scrisse tutto ciò a Miss Vaughan, e lo stesso segretario
del Cardinal Vicario ha raccomandato a Miss Diana di
corrispondere con questa persona pia, e di ricambiarle
le sue impressioni intorno ai fatti soprannaturali
relativi a Giovanna d'Arco. È facile comprendere a che
si voglia arrivare; siatene certi: un bel giorno un
angelo porterà il cuore, di Giovanna d'Arco, non in
Francia, ma in Italia, nello stesso modo col quale gli
angeli trasportarono a Loreto la casa di Nazareth.
Giovanna d'Arco sarà canonizzata, e tutti i pellegrini
francesi che andranno in Italia non mancheranno di
render visita al convento italiano, possessore del cuore
così miracolosamente ritrovato: e la visite saranno
fruttuose, non è vero? (Risa).
Miss Diana Vaughan ha dunque visto piovere in casa sua i
favori dei principi della Chiesa.
I massoni di Francia, d'Italia, d'Inghilterra
sogghignavano ed avevano ragione. Al contrario un
massone tedesco, Findel, si è straordinariamente
inquietato ed ha fulminato un opuscolo molto ben fatto.
Grande agitazione: l'opuscolo produsse l'effetto di una
sassata in una palude piena di ranocchie.
Bisognava prendere una risoluzione energica. Findel
comprometteva il successo finale della mia
mistificazione: il suo errore fu di credere che si
trattasse di una macchina montata dai gesuiti.
Sfortunati gesuiti! Avevo loro mandato un pezzo della
coda di Moloch, per convincerli della esistenza del
palladismo! (Esplosione di risa).
Al Vaticano si inquietavano. Passavano da un estremo
all'altro, impazzivano. Si domandavano se non si fossero
per caso trovati nelle reti di una mistificazione che
sarebbe ridondata a danno della Chiesa, invece che a suo
vantaggio. Si nominò una Commissione di inchiesta che
lavorava in segreto per sapere esattamente a cosa
attenersi.
Da allora le difficoltà divennero grandi. L'opera mia
era in pericolo e non volevo naufragare in porto. Il
pericolo era nel silenzio, era nel soffocamento della
mistificazione, entro i trabocchetti della Commissione
romana, era nell'interdizione ai giornali cattolici di
farne parola.
Il dotto Bataille si recò a Colonia; di là mi fece
conoscere la situazione. Partii prevenuto per il
Congresso di Trento, molto ben prevenuto. Ritornando, la
prima persona che vidi fu il mio amico dottore: lo misi
a parte dei miei timori d'un soffocamento nel silenzio.
Allora noi concordammo tutto ciò che è stato scritto e
fatto. Se i redattori dell'Univers ne dubitano, posso
dir loro quali siano i passaggi che vennero soppressi
nelle lettere del dott. Bataille. Sono io che così ho
attizzato il fuoco, poiché bisognava che la stampa del
mondo intero fosse messa al corrente di questa grande e
bizzarra avventura. Ed era necessario molto tempo,
perché lo strepito dei cattolici furiosi, e la polemica
con i partigiani di Miss Vaughan potessero attirare la
attenzione della grande stampa, della stampa che cammina
col progresso e che conta i suoi lettori a milioni!
Prima di terminare debbo inviare un saluto ad un
mistificatore sconosciuto, ad un perspicace collega
americano; fra mistificatori ci s'intende da un punto
all'altro della terra senza bisogno di scambiarsi delle
lettere, senza ricorrere neanche al telefono. Saluto
dunque un caro cittadino del Kentucky che ebbe l'amabile
pensiero di aiutarci senza alcun doppio fine, e che
confermò nel "Courier Journal di Louisville" le
rivelazioni di miss Diana Vaughan, che attestò, a chi
volle saperlo, che egli aveva conosciuto la cara Miss
molto intimamente per sette od otto anni, e che l'aveva
spesso incontrata nelle diverse società segrete d'Europa
e d'America... dove ella non ha posto mai piede.
Signore e Signori
Vi annunciai che il Palladismo sarebbe stato atterrato
quest'oggi; è successo di più: è stato annientato: esso
più non esiste!
Mi ero accusato di un assassinio immaginario nella mia
confessione generale al padre gesuita di Clamart.
Ebbene, mi accuso a voi d'un altro delitto. Ho commesso
un infanticidio: il Palladismo ora è morto e ben morto;
suo padre l'ha assassinato.
* * *
Un tumulto indescrivibile accoglie questa conclusione:
gli uni ridono a crepapelle ed applaudono fragorosamente
il conferenziere: i cattolici gridano e fischiano.
L'abate Garnier monta sopra una sedia e tenta arringare
i presenti; ma la sua voce è coperta dagli urli,
parecchi intonano la canzone comica di Musy: «O sacro
cor di Gesù».
Cala la tela. - Plaudite, cives!
FINE DELLA COMMEDIA
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