Il culto del Fallo, vale a dire la venerazione del Principio attivo dell'Universo o dell'Emblema della fecondità e simboleggiato nel membro virile in stato di erezione (ixu-falloj), rimonta a civiltà così remote, che si perde nel deserto della preistoria. Retrocedendo, di epoca in epoca, dal nostro Medio Evo al tempo dei Romani, e dai Romani risalendo ai Greci, agli Etruschi, agli Ebrei, ai Peruviani, agli Egizi, agli Assiri, ai Fenici, ai Caldei, ai Pelasgi, ai Maya, si potrebbe giungere anche alle grandi civiltà della Lemuria e dell'Atlantide, scomparse oltre cento secoli or sono, senza trovare forse interruzione nel culto dell'Erme ithifallico, di cui il simbolo pare tanto più intensificarsi nella significazione, quanto più si procede verso le antichissime origini. Il Lingam, che è la prima forma del phallus egizio-greco-romano, è l'idolo più antico del mondo. Il concetto con cui venne espressa in origine l'idea cosmogonica fu rappresentato dal gruppo dei due sessi. Il sesso maschile portava l'immagine del Sole, centro del principio attivo; il sesso femminile l'immagine della Luna, centro del principio passivo. Questa idea, che distingue tutta la Natura in due parti, una attiva e l'altra passiva, e che si trova nel fondo di tutti i sistemi religiosi e di tutti i Misteri dell'antichità, è stata simbolizzata dal falloj, emblema dei poteri generativi della natura, derivato dall'Asherah semitico e dal Lingam indiano. Il Lingam era rappresentato da una colonna di terra eretta in una piccola vasca di acqua (yoni) colonna di terra che significava la materia di cui fu creato l'uomo: piccola vasca di acqua che indicava l'elemento in cui germinò la vita. Da questa colonna nacque il « nato di terra » cioè l'uomo. Il Lingam era quindi l'insieme degli organi generativi dei due sessi, e rappresentava la perenne virtù riproduttiva dell'Universo. Questa simbolo espresse pertanto la prima concezione dell'idea cosmogonica ed ebbe il massimo culto presso i popoli delle più antiche civiltà, che videro in esso la rappresentazione della dottrina della «Causa primitiva e suprema», divisa in attiva e passiva, in agente e paziente: (Dio - Mondo ermafrodito). Ne prima che la mentalità degli uomini giungesse a trar motivo di scandalo dai più augusti misteri della natura, l'unione della Terra e del Cielo, da cui si faceva derivare tutto ciò che ha vita, poteva meglio esprimersi che per mezzo degli organi genitali. La terra venne riguardata come la matrice della natura e il ricettacolo dei germi; il cielo come principio del seme e della fecondità. Per questa concezione, espressa nel Lingam, gli Indiani avevano il più profondo culto che, presso di loro, risale a remotissime antichità. Sotto la stessa immagine adoravano il Dio Isuren che corrisponde, più tardi, al Bacco greco, in onore del quale fu innalzato falloj. Il candelabro a sette rami destinato a figurare il sistema planetario, pel cui mezzo si compie il grande fenomeno delle generazioni sublunari, era posto davanti al Lingam; e i Bramini lo accendevano, rendendo omaggio a questo emblema della duplice forza della natura. Chi non ha saputo comprendere tutto ciò, ha chiamato scioccamente il Lingam un idolo osceno. In verità il Lingam nella significazione simbolica era «la colonna di fuoco che guida l'eletto» era «l'albero della vita» o della «scienza del bene e del male» perché nella sua linea, immagine di Siva (Dio), si contiene tutto l'alfabeto che è «datore della conoscenza». «Chi pensa a tutto ciò?» si domanda il D'Amato nel suo grande libro L'inizio del sapere e della civiltà: l'Atlantide. «Chi pensa che la flora e la fauna dei templi avevano un linguaggio profondo per l'iniziato e semplicista per il profano? Chi non attribuisce oggi il carattere fallico al fiore di loto? L'arte dell'iniziato, di qualunque sistema, fu così arguta e profonda, da tutto dire sotto forma simbolica, senza far trapelare ai profani il fondo scientifico». La «grande follia degli antichi», se studiata alla luce del simbolismo religioso, apparisce come un'arte insuperabile per celare ai profani le nozioni scientifiche di storia naturale per lui sacra, perché venuta da Dio. «Anche il serpente, il cui simbolo si trova non soltanto nella leggenda biblica e nelle pitture etrusche, ma anche nei monumenti della vallata del Mississipi, rappresenta talvolta l'idea fallica e il simbolo della vita. Così Esculapio, il grande medico, aveva come attributo il serpente. Cuhuacohuatl, la madre universale dei Messicani, la Maya degli Indiani, l'Iside degli Egizi, la Sibilla dei Greci, e soprattutto l'Eva messicana (nel Messico la storia della tentazione di Eva é uguale alla tentazione biblica) hanno parimenti presso di loro il serpente, come simbolo di vita. Serpens equivale a pens-ser e costituisce il simbolo della luce divina, il pensiero, serrato, come un serpe, nella massa cerebrale dell'uomo». Quanto al Lingam, Tolomeo dice che, insieme agli altri simboli fallici, era consacrato perchè rappresentava gli organi della generazione di tutti gli esseri animati, essendo destinato ad esprimere la virtù naturale e spermatica degli astri. «Quando ci si sarà convinti - aggiunge il D'Amato - che il phallus, immagine di Siva (Dio), più degli organi genitali, rappresenta la colonna vertebrale determinata dal bacino articolato al sacrum e culminata dalla massa cerebrale, sede del pensiero, rivelatore della divinità, allora i dotti si renderanno conto di ciò che si adorava realmente e di ciò che si adombrava». Il conico phallus non è che l'ence-phalus. Le sillabe phal, fal sono anagrammi di aleph, alf, a, lettera che fu detta: «principio di tutte le cose». Sulla tomba arcaica di un Re Mida (Frigia) il capo umano è rappresentato da un phallus simbolo di suprema totale intelligenza; e che L'idea religiosa predominante fosse quella di divinizzare l'ingegno umano, lo dicono più tardi i simboli sul capo di Iside e di Osiride. Del resto, l'immagine del Dio Fta (Phtah) che é «l'architetto dell'Universo», «fonditore di metalli», «scultore in creta», creatore dell'uomo, é rappresentata in un corpo troncato al collo, mentre dal taglio sorge il capo umano e, in corrispondenza del cervelletto, un fiore di loto, cioè il simbolo fallico. Erodoto dice che l'Erme ithifallico é originario dei Pelasgi, i quali ne sparsero il culto presso gli altri popoli. I greci, che facevano le statue di Apollo col membro eretto (ithvs = diritto), e rappresentavano, in questa stessa posizione, anche le immagini di Mercurio, non impararono tutto ciò dagli Egizi, ma dai Pelasgi. Chi ha notizia dei tenebrosi misteri dei Cabiri, celebrati in Samotracia, comprenderà questi accenni. Secondo Strabone furono detti Cabiri anticamente i sacerdoti Pelasgi che introdussero il culto religioso fra i Samotraci. Questo culto non ebbe da principio che due Deità: il Cielo, detto a axierastoj, degno di amore, e la Terra, axioc˜rsa, degna sposa. A queste due deità fu data, in seguito, una figlia e fu aggiunto più tardi un Dio d'ordine inferiore sotto il nome di Cadmillo. Ma tali Deità vennero in seguito confuse con quelle della Grecia, sicché una divenne Cerere, l'altra Proserpina, la terza Plutone, la quarta Mercurio, e più tardi, azierastoj divenne Fetonte, azioc˜rsa Venere o la Terra fecondata, e Cadmillo Cupido. Ora, nelle cerimonie delle iniziazioni al culto di queste Divinità, la pompa fallica aveva parte preponderante per la commemorazione della cosiddetta «morte cabirica». La leggenda diceva che Cadmillo fu ucciso dai fratelli i quali fuggirono portando in un canestro il suo membro virile. Questo fatto che simboleggiava appunto la «morte cabirica» era commemorato nella maniera più solenne e diffusa, durante le iniziazioni. Le cerimonie avvenivano sempre di notte e in luoghi reconditi, ed erano precedute dalle rievocazioni storiche intorno ai Pelasgi, che specialmente vertevano sul culto dei Mercuri phallofori. Seguivano riti tenebrosi, in cui il fallo, portato trionfalmente in alcune ceste mistiche, veniva venerato e adorato in una sequela di misteriose e sacre lussurie. Basti dire che i Dàttili, i Curèti, i Coribanti, i Telchini e i loro successori, imitando i Misteri Cabirici, svilupparono talmente il culto del fallo, che in commemorazione della morte di Cadmillo, giunsero talvolta a mutilarsi del pene e a portarlo in trionfo, nudi, folli di dolore e di esaltazione religiosa! Ma oltre che nei Misteri, il culto fallico era sviluppato presso tutti i popoli dell'antichità in svariate manifestazioni, come ne fanno fede le tracce archeologiche e le affermazioni di antichissimi scrittori. Nello Yucatan preistorico, e presso molti altri popoli, il progenitore dei fallo, il Lingam, ponevasi sulle tombe. Ne sono reminiscenza i pali scolpiti nella cima, a mo'di capi umani, detti «anime dei defunti » alle Nuove Ebridi. Ciò facevasi per la credenza che il principio vitale fecondatore, estinto per poco tempo dalla molte, avrebbe poi ripresa novella vita. Le stele attiche, diffusissime in Grecia, e con lievi variazioni, anche nell'Italia preromana, non hanno che ripetuto, più tardi, il concetto espresso dai pali scolpiti, usati in antichità più remote. Le stele erano lastre o colonne di pietra, semplici e svelte, infisse in una base, recanti sulla cima un ornamento architettonico in forma di fiore, detto perciò auz™mia, che conserva sempre l'accenno al fiore di loto e quindi al simbolo fallico. Ma maggiormente simili ai pali scolpiti, appaiono i monumenti sparsi lungo la Via dei Sepolcri a Pompei, costituiti da piccoli pilastri arrotondati in cima, come capi umani, quasi identici perciò a quelli delle Nuove Ebridi. Come simbolo della fecondità universale il Lingam, cioè la immagine delle parti sessuali dell'uomo e della donna, veniva esposto solennemente nei Santuari di Eleusi, e, sotto la figura più semplice di phallus, molto spesso riprodotto nei bassorilievi dei tempi egiziani e principalmente a Tebe. Nella Rhodesia sono stati scoperti avanzi di un'acropoli, vasta quasi un chilometro quadrato, (che gli archeologi vorrebbero far risalire alla civiltà atlantica) su cui si ergono le mura diroccate di un gigantesco tempio, nel mezzo del quale troneggia un «Lingam» alto 15 metri! Il padre Kirker assicura di aver trovato il culto fallico anche in America, evidentemente tramandato da remote antichità; e in ciò si appoggia ai racconti di Ferdinando Cortez. Diodoro di Sicilia afferma che gli emblemi fallici non erano sacri soltanto presso gli Egiziani ma presso tutti i popoli del mondo, i quali hanno compreso e apprezzato il culto che riunisce il potere attivo e passivo dell'Universo, rappresentato dal phallus (membro maschile) e dalla cteis, (vaschetta oblunga), parte sessuale femminile. Anche i Persiani, gli Assiri, e i Caldei avevano il culto fallico, accordandosi presso a poco nella concezione cosmogonica, con gli Indiani, presso i quali il Lingam costituiva l'emblema principale del culto. Tutti questi popoli, e fra essi principalmente gli Indiani, portavano generalmente appeso al collo la figura del Lingam, che nei templi e nelle case veniva ornata anche di fiori precisamente come i Greci e i Romani adornarono, più tardi, il fallo. Il taly, attaccato dallo sposo novello al collo della propria sposa nel rito delle nozze, non era altro che un Lingam, emblema dell'unione dei due sessi, consacrato dal sacerdote durante la cerimonia religiosa. Con la identica manifestazione di culto e con intenzione augurale e propiziatrice il fallo - derivato dal Lingam - veniva scolpito, in lontanissime epoche, sui luoghi pubblici e privati, presso i Cananei (o Fenici propriamenti detti) presso gli Assiri, i Persiani, i Babilonesi, i Cartaginesi. Come il Dio Protogono, racchiudendo il simbolo del principio attivo dell'Universo e manifestando l'emblema della forza e della potenza naturale, il fallo, al pari del segno del Dio Averunco, doveva anche allontanare le sventure e i disastri e tener viva nella mente l'idea religiosa del principio attivo generatore del mondo. Tutti i popoli hanno dunque concordemente visto negli organi sessuali il «Principio universale della Vita» che risulta appunto dall'accoppiamento di un centro fecondatore attivo (phallus) e da un ricettacolo passivo del seme (yoni o cteis). «Principio universale della vita» dal quale l'uomo ha sentito di provenire e che perciò ha divinizzato, venerandolo, invocandolo, adorandolo con ogni forma di culto, come la «Suprema Forza Generatrice» che gli diede non solo l'esistenza, ma anche il portentoso potere di continuarla e perpetuarla nei suoi figli e nei figli dei suoi figli.
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