Ma in Egitto il culto fallico ha lasciato di sé un così profondo e preciso vestigio nella storia e nello sviluppo delle religioni, da far ritenere ai più che la venerazione del membro virile, anziché essere tramandata, nel suo principio filosofico, da civiltà più antiche e più vaste, come abbiamo accennato, sia invece proprio sorta nella misteriosa terra dei Faraoni. In verità, nell'Egitto il culto fallico si perde nei Misteri simbolici delle più antiche religioni: a voler spingere la indagine più oltre, si giunge al limitare di epoche sconosciute, senza trovare, con qualsiasi approssimazione, una data di partenza. È però fuor di dubbio che in nessun paese il culto fallico ha avuto maggiore sviluppo, come in Egitto, ove, a parte le altre significazioni, il fallo simbolizzava la divinazione della mente umana. I caratteri distintivi di Iside, sorella e sposa di Osiride, simbolo della Dea Madre e seconda persona della sacra Triade egiziana, sono due ciocche di capelli che scendono di qua e di là dal collo, ed un gruppo di essi che si scorge sulla sommità del capo, chiamato fiore di loto, cioè emblema fallico. La figura del fallo si trova inoltre molto frequentemente nella Tavola Isiaca, nonché nelle Deche, in cui gli Dei Tutelari sono rappresentati generalmente con un fallo nella mano sinistra. Fu proprio una di queste figure che, ritenuta oscena da Teofilo, patriarca di Alessandria, venne subito fatta distruggere. Secondo Socrate e Sozómene, il segno del fallo insieme alla virtù generativa della divinità, indicava anche il carattere della vita futura. A questa significazione potrebbe connettersi la figura fallica, che, secondo un codice francese del ‘850, si vedeva sotto le immagini di S. Antonio Abate e sopra l'abito dei monaci del suo ordine. In verità, noi stentiamo a credere a tale affermazione, in base alla quale l’immagine di S. Antonio Abate avrebbe avuto un fallo al posto ove venne poi effigiato il maiale; ma poiché tale figura, secondo lo stesso codice, veniva chiamata col nome di «Croce di S. Antonio», crediamo di spiegare la cosa ritenendo che si trattava, forse, della figura fallica trasformata o sostituita dal santo Eremita, con l'antichissimo «segno» di croce a T, che in antico simbolizzava anche il «futuro di vita eterna». Ad ogni modo, fino ai tempi in cui visse il grande Abate, (II sec. dopo Cr.) il culto fallico conservava in Egitto la sua purezza simbolica non ancora maculata da alcuna allusione oscena. A ciò devesi certamente la frequenza e il verismo della figura del fallo nei templi come nelle feste e nei riti funebri egiziani. Nelle pitture delle Tombe dei Re d'Egitto, la tavola segnata col N. 84, rappresenta un uomo di forme erculee, con il membro spettacolosamente eretto, mentre lancia un getto di liquido seminale. Poco lontano, da una goccia dello stesso liquido caduta a terra, si forma un embrione umano: più lungi, dietro alcune piccole mummie, un altro individuo sembra ricevere vita dal getto dello stesso liquido seminale, lanciato vigorosamente fino a quel punto. Gli autori della descrizione di Tebe ritengono trattarsi della Tavola Genealogica della Dinastia dei Re, ivi sepolta; e secondo la loro interpretazione, la figura principale che lancia il liquido, sarebbe il fondatore della dinastia. A parte tutto ciò - che, ad ogni modo, si riferisce ad epoche egiziane posteriori - il culto fallico in Egitto ci appare originato naturalmente dal principio filosofico messo a base di tutte le religioni e di tutti i profondi misteri di esse. La dottrina del principio attivo, del principio passivo e del risultato di ambedue sembra infatti costituire la base filosofica della sacra Triade: Osiride, Iside, Oro. La stessa idea si ritrova, con altre forme, nella figurazione del Bue Apis e della Vacca Athyr. Il principio passivo prende inoltre il nome e il simbolo di tutte le Dee, che, al pari della Vacca Athyr, sono venerate come principi universali: le Dee portano perciò, le corna, o altri attributi della vacca, quando non sono addirittura rappresentate dalla vacca stessa. Osiride, come «principio fecondatore» o a simbolo della forza maschia e della fecondità a trasformazione dell'azierastoj dei Cabiri, è identificato più tardi, e presso molti popoli, a Bacco. Iside, già axioc˜rsa o Terra fecondata dei Cabiri, rappresenta la parte passiva della natura e la madre di tutti gli esseri viventi, ed è adorata sotto mille successivi aspetti e mille nomi, ma sempre nella concezione del principio passivo. L'immenso, confuso e misterioso groviglio mitologico, sotto numerose trasformazioni e identificazioni, conserva inalterato questo concetto, basato su un fatto di osservazione: il principio della vita e dell'intelligenza pro-veniente da un centro attivo e fecondato in un centro passivo. Ma il fallo, propriamente detto, nella reale figurazione del membro virile in istato di erezione, è consacrato in Egitto dall'antichissima leggenda d'Iside, che pare anch'essa una trasformazione della leggenda cabirica di Cadmillo. Quando il corpo di Osiride fu dal fratello Seth tagliato in quattordici pezzi e sparso per il mondo, Iside si affrettò a ricercarlo e a ricomporlo. Essa riuscì a trovare, qua e là spersi, tutti i pezzi del corpo dello sposo, ma non poté trovare il membro virile, perché essendo stato gettato nel fiume, era stato divorato da tre pesci. Iside, angosciata, in ogni luogo ove trovava un frammento del corpo di Osiride, lo componeva in una forma di cera ed erigeva sul posto una tomba, ciò che ha fatto poi nascere a molte città la pretesa di possedere la tomba di Osiride. Per rimpiazzare il membro virile mangiato dai pesci, Iside fu costretta a farne una imitazione in cera, ed é così che la Dea ha consacrato il Fallo, di cui gli Egizi hanno conservato devotamente il culto nei loro Misteri e in tutte le manifestazioni religiose, celebrando poi una festa solenne che dicevasi istituita dalla stessa Iside. Caratteristica famosa di questa festa era la Falloforia, che consisteva nel portare in giro, processionalmente, il simbolo fallico. Erodoto descrive queste imponenti manifestazioni falloforiche in onore di Osiride. II fallo, ordinariamente di poderose proporzioni, per lo più fatto di legno, era portato su lunghe pertiche dai follofori, uomini che avevano in capo corone di edera e di fiori. Seguivano le donne al canto di inni sacri, recando piccole statue di Osiride di cui il membro eretto era grande quasi quanto la statua stessa. Erodoto non spiega questa particolarità; ma egli non ci direbbe nulla di più di quanto dice Plutarco in proposito: «Il fallo delle statue di Osiride era così grande, perché non doveva rappresentare un membro naturale, bensì quello che si sarebbe dovuto proporzionalmente fabbricare per comporre il corpo del Dio nella sua integrità». D'altronde, la statua ithy-fallica doveva esprimere la grande virtù fecondatrice di Osiride, che personificava la potenza attiva e spermatica dell'Universo, ed era naturale che il suo membro avesse, nella mente dei fedeli e nella rappresentazione simbolica, proporzioni imponenti. C'è chi crede che la leggenda della perdita del membro virile di Osiride sarebbe stata immaginata solo per istituire la falloforia che era una delle più importanti manifestazioni religiose egiziane. Ma Plutarco spiega che si celebrava in Egitto anche una seconda processione ithy-fallica, detta dei Pamyli, nella quale si commemorava la nascita di Osiride affidato a un certo Pamyli di Tebe. É questa forse la ragione per la quale a Tebe era, più che altrove, sviluppato e diffuso il culto fallico, come hanno dimostrato le numerose sculture e le pitture dei templi ed altre prove archeologiche. In tal modo la nascita di Osiride verrebbe ad uniformarsi col mistero della sua resurrezione, mentre tutto, in senso exoterico, é inteso ad esprimere il rinnovo della vita e della vegetazione. Consacrato dalla leggenda di Osiride, é facile immaginare quanto sviluppo il culto fallico abbia avuto in Egitto, culla dei Simboli e dei Misteri. Oltre le due feste falloforiche accennate, avevano luogo frequenti manifestazioni di culto fallico anche nelle cerimonie religiose in onore di altre Divinità. Specialmente nelle feste delle varie stagioni, in cui si commemorava e si seguiva con profonda religione i fenomeni della natura e della vegetazione, il fallo costituiva sempre il più sacro simbolo della forza germinatrice infusa dal potente Osiride negli uomini, negli animali e nelle piante; e perciò il più vivo e multiforme culto veniva ad esso indirizzato. La Grecia che ha imitata quasi interamente, anzi ha continuata la religione degli Egizi, ci offre un campo d'indagine più vasto e più ricco, attraverso le opere dei suoi storici e dei suoi scrittori. Giamblico premette che il falloj significava presso i Greci e, a maggior ragione, presso gli Egizi, “la virtù virile della divinità, ereditata dagli uomini» e che le parole, per sé stesse turpi o indecenti, volevano indicare soltanto il concetto puro, destituito da ogni significazione oscena. Egli crede anzi che le cerimonie falliche - in realtà mistiche e lussuriose insieme - tendevano a dar sfogo al furore della concupiscenza, la quale si sarebbe sovraeccitata e accresciuta, se fosse stata tenuta lungo tempo in freno. Idea, questa, che in verità si stenta a condividere, sia perché rispecchia la mentalità dei secoli successivi anziché quella contemporanea a simili riti, sia perché appare evidente che le cerimonie ithyfalliche piuttosto che ad un fine morale o fisiologico, tendevano al beneficio di propiziazione della virtù fecondatrice posseduta dalla Divinità. Del resto, presso i Greci, e presso altri popoli, la figura del membro virile era generalmente portata con devozione appesa al collo, e il culto fallico, se costituiva parte essenziale nelle feste afrodisie, dionisiache e priapee, era anche in uso in onore di Cronos, di Apollo, di Proserpina, di Hermes e in altre feste minori. La falloforia, o solenne processione del membro virile, iniziata e consacrata in Egitto, come abbiamo detto, dalla stessa Iside, fu importata in Grecia, verso l'anno 1380 av C. dal divino Melampo, medico e augure di Argo. Le feste di Bacco e di Venere, molto frequenti in Grecia, fecero si che le manifestazioni falloforiche avessero uno sviluppo maggiore che non in Egitto, perché il culto di Bacco e di Venere offriva molto agio al popolo di arricchire le processioni di forme coreografiche e orgiastiche, sempre nuove. All'uso di portare il fallo processionalmente nel tempio di Bacco e di Osiride fu aggiunta la interessante novità di portare, anche processionalmente, l'immagine delle parti sessuali femminili nel tempio della Dea Libera o di Proserpina. Gli autori greci danno parecchie notizie di tali processioni falloforiche. Nelle numerose e varie feste dionisiache l'immagine del fallo, sempre di grandi proporzioni, al pari che in Egitto, veniva portata in mano o su lunghe pertiche. Anche in Grecia i falli erano fatti di legno di fico, ma se ne fabbricavano spesso di corno, di vetro e più comunemente di pelle di capretto appositamente conciata e tinta in rosso: ex aluta rubra. Le processioni si sviluppavano prima per la campagna e poi per la città, ed avevano secondo le affermazioni dello stesso S. Agostino (I. I. de Civ. ç. 21) una importanza veramente solenne. Come in Egitto, il corteo era aperto dai falloforoi che portavano il fallo su lunghe pertiche. I fallofori erano coperti di pelli d'agnello, avevano il capo coronato di edera e il viso tinto di mosto. Seguivano gli ithifallici, a passo lento, come compresi della loro importante funzione. Gli ithifallici erano ammiratissimi e forse costituivano l'elemento più importante della cerimonia. Essi incedevano in fila ostentando grossi membri di pelle di capretto, adattati all'inguine, sì che «parevano appartenere mostruosamente ad essi«. Alcuni erano vestiti di abiti femminili e portavano il fallo inalberato su un carro pieno di fiori e di edera, tirato da buoi. Durante il percorso venivano cantati inni speciali, detti carmi ithifallici che si dicono inventati da Archiloco. Il corteo era inoltre arricchito, abbellito ed animato: dalle canefore, vaghe donzelle delle migliori famiglie, che recavano festoni di edera e canestri di fiori o di frumento, focacce di varie forme, grani di sale, frutta, uva ed altri simboli sacri; dalle fallofore, donne in buona parte sacerdotesse di Venere, che recavano devotamente l'emblema fallico, e dallo sciame impetuoso e sfrenato delle Baccanti, che intrecciavano e alternavano le loro caratteristiche danze. Quattro delle Baccanti parevano incaricate di cerimonie particolari. Ce ne dà notizia il Visconti descrivendo un Tino sacro sul quale è mirabilmente scolpito un baccanale. “La prima accompagna il ballo con i cembali; la seconda solleva con leggiadrissima movenza le falde di un lieve ammanto che la copre, la terza, agitando i timpani e la testa, lascia che la tunica spartana senza cucitura ai fianchi, si apra e si sollevi, mostrandola interamente nuda; la quarta esegue la danza detta cernophoros, sostenendo il vaglio mistico nella sinistra, entro il quale appare il fallo religiosamente coperto da un velo sottile». A volte era portato in processione un triplice fallo, forse per maggiore solennità o per dare al culto un valore intensivo. In queste occasioni, il simulacro veniva ornato di varie figure, inghirlandato di edera o di fiori e abbellito da un «astro luminoso sulla punta». Nelle feste afrodisie o di Venere, che si celebravano specialmente in Amatunta e in Pafo, fra i vari riti falloforici, era celebre quello con cui i devoti deponevano una moneta dinanzi alla statua di Venere, come meretrice, e ne ricevevano in cambio una misura di sale, con che alludevasi al mare, ed un fallon che significava la loro dedicazione alla Dea dell'amore e della lascivia. Nulla era dunque risparmiato per dare al fallo il maggior culto e il più frequente uso nelle feste, nelle cerimonie, nei Misteri, nelle iniziazioni, nei sacrifici, nei riti nuziali e nei riti funebri. Il “principio divino fecondatore» non doveva far mancare la sua virtù eminentemente benefica agli uomini, agli animali, alle piante, che da esso solo dovevano trarre la prosperità, il rigoglio, tutta la gioia del vivere! E che i riti falloforici avessero in Grecia, al pari che in Egitto, un carattere, diremmo quasi, ufficiale, è dimostrato da un Decreto del V sec. av. Cr. (C. Inscr. At. I pag. 14) che imponeva ai coloni ateniesi di Brea di «mandare almeno un fallo alle feste Dionisiache». A Cartagine, durante processioni e cerimonie sacre e specialmente nei Misteri di iniziazioni, i sacerdoti offrivano ai fedeli fette di pane mistico sulle quali erano state sparse alcune gocce di liquido, che doveva simbolizzare quello emesso dal fallo sacro. Il francese Grandpré, nel suo viaggio nell'Africa occidentale, nel 1787, dice di essere stato testimone di una festa celebrata negli Stati del Congo. Uomini mascherati, facendo una strana pantomima, che ricorda quella delle Baccanti greche, portavano in processione solenne, un fallo di proporzioni enormi, che agitavano con ritmo, cantando speciali versetti. Ciò che dimostra che manifestazioni quasi identiche a quelle dell'Egitto e della Grecia, sono durate in alcune parti del nostro globo, almeno fino a qualche secolo fa. Sull'interessante rivista «Man« edita dal Royal Anthropological Institute of Great Britain and Ireland, il Campbell, ha pubblicato un notevole articolo, accompagnato da illustrazioni, su alcuni oggetti fallici, usati in riti religiosi dagli Aborigeni australiani. La universalità e l'antichità del culto fallico risulta quindi evidente; ed é ben chiaro che il fallo sia stato accettato unanimemente come «simbolo del potere attivo della Natura» e come «emblema della forza riproduttrice» da tutti i popoli del mondo a cominciare dall'Oriente. Gli studi e le ricerche storico–archeologico–religiose attestano concordemente che il culto del membro virile, preso come simbolo del principio riproduttivo, infuso dalla Divinità in tutto il creato, è antico quanto l'uomo, diffuso ovunque l'uomo abbia abitato e, per quanto vario nelle forme esteriori e nello sviluppo, sempre uno nel suo concetto simbolico di «principio attivo fecondatore di tutto ciò che ha avuto, ha, ed avrà vita nell'Universo».
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