Fonte: http://www.chiesaviva.com
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Come tutti i libri che contengono verità scottanti, questi “Protocolli dei Savi di Sion” continuano, ancora oggi, a suscitare polemiche e reazioni, anche incontrollabili. Ma non tutte inutili. La storia è storia, né vale coprirla o deformarla! La prima edizione, quasi clandestina, dei “Protocolli dei Savi di Sion” fu conosciuta nel 1905, a cura dei prof. Sergio NyIus. Era in lingua russa. Sul frontespizio portava la scritta: “Il grande nel piccolo, e l’Anticristo come possibilità immediata di governo”. Ma era già una seconda edizione, corretta e accresciuta da Tsarkoie-Sélo.
L’opera comprendeva anche molte appendici, tra cui la XII dal titolo “I Protocolli dei Savi di Sion”, 1902-1903, r.r. la si può ancora vedere nella Biblioteca dei “British Museum” di Londra, con registrazione del 10 agosto 1906, sotto il N. 3926/D/17. [ É sufficiente controllarla in questo sito dove è presente il testo integrale nota del WebMaestro]
Comunque, fino alla “Grande Guerra” del 1915-18, i “Protocolli” furono quasi ignorati da tutti. Fu solo alla fine del 1919 che essi attirarono l’attenzione, quando cioè apparvero in brossura, parte in tedesco e parte in inglese, riportando - come spiegarono i traduttori e gli editori - i processi verbali delle riunioni segrete tenute al Congresso sionista, svoltosi a Bále nel 1897, sotto la presidenza di Teodoro Herzl, uno scrivano ebreo ungherese (1860-1904), promotore del Sionismo.
Poi, quando nel 1920, i “Protocolli” furono tradotti e diffusi in America del Nord e nel contempo in Inghilterra, cominciarono a dar fastidio. La prima edizione inglese, infatti, apparsa a Londra col titolo: “The Jewish Peril, Protocol of the Learned Elders of Zion” (= Il pericolo giudeo: I Protocolli dei Savi di Sion), attirò subito l’attenzione del “Times”, che prese posizione sul suo numero dell’8 maggio 1920. Tra l’altro, scriveva: «Il “Times” non ha ancora analizzato questo curioso piccolo libro. Ma la sua diffusione aumenta sempre più; la sua lettura è fatta per inquietare coloro che sanno riflettere. Sottolineiamo che certi tratti essenziali del preteso programma giudeo offre una analogia sconcertante con gli avvenimenti attuali (...). Che cosa sono, in realtà, questi Protocolli? Sono essi autentici? E se sì, questi piani, quale malevole Assemblea hanno mai forgiato? Si tratta di un falso? Se sì, come spiegare questa nota profetica e lugubre, queste predizioni che sono già in parte realizzate e altre in corso di realizzazione? ... E queste questioni non possono essere eluse con una semplice alzata di spalle... Ci vuole un’inchiesta imparziale ... Se si giudica sul testo, si deve dire che i Protocolli sono stati scritti da Giudei e per Giudei».
Una tale “Inchiesta imparziale” fu fatta dagli stessi Giudei. Nel 1920, infatti, apparvero tre articoli di giornale che volevano dare l’impressione che gli Autori avevano lavorato indipendentemente gli uni dagli altri, e furono dati alle stampe in tre Paesi diversi.
Il 25 febbraio 1921, il “The American Hebrew” (= L’Ebreo Americano) di New York, pubblicava un’intervista che l’ex-principessa Catherine Radziwill (nata nel 1858) aveva accordato all’amministratore di questo giornale e al Rabbino di New York, lsaac Landmann. In questa intervista, l’ex-principessa dichiarò che i Protocolli erano stati redatti dopo la guerra russo-giapponese (1904-1905) e dopo l’avvio della prima rivoluzione russa del 1905, dal Consigliere di Stato Pierre J. Ratchkovsky, capo della polizia segreta russa a Parigi, in collaborazione con un suo agente, Mathieu Golovinsky. Quest’ultimo aveva mostrato il manoscritto, che stava per terminare, nei giorni del suo passaggio a Parigi, nell’inverno 1905. I centri conservatori russi contavano, con questo scritto, di scuotere lo Zar Nicola II contro gli ebrei.
Quale fede dare a questo manoscritto? L’ex-principessa Radziwill, per provare che ella stessa aveva visto il manoscritto, precisò, nell’intervista, che sulla prima pagina c’era una macchia di inchiostro azzurro. Il secondo articolo è del conte Armand du Chayla, francese. Lo fece subito dopo una seconda edizione che apparve il 12 e il 13 maggio 1921 su un giornale russo, “Posledain Nevosti”, con un sotto-titolo in francese: “Dernières Nouvelles”, in cui l’Autore racconta che Nylus, che lui aveva visto in Russia nel 1905, gli aveva fatto vedere il manoscritto, asserendo d’averlo avuto dalla sua compagna Natali Afamassievna Komarovsky alla quale Ratchovsky l’aveva dato, a Parigi. E per rendere più credibile questo suo racconto, du Chayla scrisse che sul manoscritto c’era proprio quella macchia d’inchiostro blu. Oggi, questo non lo si ritiene vero. Un’inesattezza, questa, che oggi non è accettata, ma che l’Autore dell’articolo metteva in consonanza con la dichiarazione della ex-principessa Radziwill. Il terzo articolo è di un giornalista inglese, Philip Grawes. Lo scrisse sul “Times”, sui numeri dei 16, 17 e 18 agosto, 1921. In questo articolo, l’Autore rivela che, durante un suo soggiorno a Costantinopoli, aveva acquistato da un rifugiato russo il libro del rivoluzionario Maurice Joly, apparso nel 1864, sotto il titolo “Dialogue aux Enfers entre Machiavel et Montesquieu”; un libro, che da un esame approfondito, gli aveva dimostrato che l’Autore dei “Protocolli” aveva largamente attinto da quest’opera.
Ora: questi tre articoli abbondano di false dichiarazioni! Il testo è tratto da un articolo pubblicato su “Chiesa viva”, n° 179. Gli articoli dell’ex principessa Catherine Radziwill, del conte Armand du Chayla e di Philip Grawes sui Protocolli dei Savi di Sion (Chiesa Viva n°351)
1° Articolo dell’ex principessa Catherine Radziwill Nel suo articolo del 25 febbraio 1921, affermando che “i Protocolli erano stati redatti dopo la guerra russo-giapponese (1904-1905) e dopo l’avvio della prima rivoluzione russa del 1905, dal Consigliere di Stato Pierre Ivanovich Ratchkovsky, capo della polizia segreta russa a Parigi, in collaborazione con un suo agente, Mathieu Golovinsky”, l’ex principessa Radziwill aveva usato un po’ d’immaginazione!
– Nel 1895, infatti, i “Protocolli” erano già nelle mani di Soukhotine e di Stepanoff; – nel 1901, erano già in possesso di Nylus (1); – nel 1913, erano già stati pubblicati nel giornale “Znamia” (= Lo Stendardo); – il Consigliere di Stato Ratchovsky non era più al suo posto fin dal 1902, e aveva anche lasciato Parigi, definitivamente, per fissarsi in Russia, fino alla sua morte, che avvenne nel 1910. Quindi, nel 1905 non era più a Parigi; – è stato provato, documenti alla mano, che Ratchkovsky non ebbe mai sotto di sé un agente di nome Golovinsky.
Impossibile, quindi, che i “Protocolli” fossero stati scritti nel 1905.
Durante il processo di Berna (1933-37), venne dimostrato dall’esperto svizzero Fleischauer, che l’ex-principessa Radziwill era una notoria intrigante, una avventuriera, condannata persino dal Tribunale dei Cap a 18 mesi di reclusione per falsificazione di cambiali!
2° Articolo del conte Armand du Chayla Anche lo scritto del conte du Chayla è molto inesatto quando afferma che Nylus, che lui aveva visto in Russia nel 1905, gli aveva fatto vedere il manoscritto, asserendo d’averlo avuto dalla sua compagna Natali Afamassievna Komarovsky, alla quale Ratchkovsky l’aveva dato, a Parigi. Infatti:
– Esiste una dichiarazione, scritta dal figlio di Nylus, che egli era un figlio illegittimo, nato nel 1883 e riconosciuto nel 1895, di Serguei A. Nylus e di una sua cugina e compagna Natalia Afamssievna Volodimeroff, nata Metveieff (1845-1934), e che non fu mai chiamato Komarovsky; – Egli affermò che i suoi genitori non furono in Francia che due volte, e brevemente, negli anni 1883 e 1894, né furono mai in relazione con Ratchkovsky; – Egli affermò che il manoscritto dei “Protocolli”, che Chayla disse di aver veduto nel 1909, era nelle mani dei figlio di Nylus dal 1901, dopo la visita di Soukhotine; – Egli affermò che sul manoscritto dei “Protocolli”, non vi era alcuna macchia d’inchiostro bleu; – Infine, Nylus rifiuta ogni affermazione del conte du Chayla, tanto che, nella sua dichiarazione fatta al Tribunale di Berna, lo chiama: “bugiardo perfetto” e “calunniatore”. – Sempre al processo di Berna (1933-37) venne dimostrato dall’esperto svizzero Fleischauer che il conte du Chayla, nel 1920, era stato capo della propaganda nell’armata Wrangel, ma che fu ben presto smascherato come agente segreto bolscevico e vergognosamente espulso dall’armata. E che se non fu condannato a morte per alto tradimento, questo lo si dovette solo all’intervento dell’Ambasciatore di Francia!
3° Articolo di Philip Grawes Il terzo articolo di Philip Grawes non ha di esatto altro che l’Autore dei “Protocolli” s’è abbondantemente ispirato al libro di Joly - una satira sul governo dittatoriale di Napoleone III, un’opera che gli Autori dei “Protocolli” hanno testualmente plagiato. Ora, come scriveva il “Times”, si tratta di sapere se i Protocolli sono stati redatti da un giudeo per dei giudei, per cui, il fatto che Philip Grawes abbia plagiato un’altra opera, è senza alcuna importanza se si vuol sapere se si tratta di un programma autenticamente giudeo o, al contrario, se si tratta di una invenzione anti-giudea.
Ora, questa ipotesi non fu mai provata dalla cricca giudaica.
Tutti i tentativi di accusare il Consigliere di Stato Pierre Ivanovich Ratchkovsky, o la polizia russa in generale, di aver creato un documento falso, sono caduti miseramente, poiché il carattere menzognero di questi soli testimoni (giudei) - l’ex-principessa Radziwill e il conte du Chayla - è stato ampiamente riconosciuto!
IL GRANDE PROCESSO DI BERNA
(Sull’autenticità dei “Protocolli”)
Passarono ben 12 anni prima che il Giudaismo tentasse a far constatare la falsità dei Protocolli dalla Giustizia. Difatti, fu il 26 giugno 1933 che la “Ligue Israélite Suisse”, in unione con la comunità israelita di Berna, fece querela, presso il Tribunale Cantonale di Berna, domandando che la brochure delle Edizioni Hammer, “Les Protocoles Sionistes”, fosse relegata tra la letteratura sovversiva e che ne fosse interdetta la diffusione.
Questa querela faceva perno sull’articolo 14 della “Loi relative aux films et aux mesures contre la littérerature subversive” del 10 settembre 1916, valevole per il Canton di Berna. Questa legge affermava: «... l’impressione e la diffusione di scritti sovversivi, in particolare d’opere di cui la forma e il testo sono di natura tali da eccitare il crimine, o suscettibili di mettere in pericolo i buoni costumi, di offendere il pudore, di esercitare un effetto brutale o di provocare altri scandali, sono interdetti». Appellandosi a questo testo, cinque svizzeri furono accusati di aver distribuito la brochure in questione. Tra questi c’erano: il musico Silvio Schnell e l’architetto Theodor Fischer.
La prima udienza del processo, il 16 novembre 1933, presieduta dal Tribunale Walter Weyer, gli avvocati dei querelanti ebrei richiesero una expertise sull’autenticità dei “Protocolli”. L’avvocato dei querelati, invece, si oppose alla domanda perché il fare una expertise non rientrava nello spirito della legge, né era prevista da essa per un presunto scritto sovversivo, mentre si trattava solo di decidere se il testo, autentico o no, violasse tale legge. Il giudice, però, ordinò l’expertise e nominò come esperti il professore d’università A. Baungarten, di Bâle, su domanda dei querelanti, e il pastore giubilato L. Munchmeyer, d’Oldenburg, su domanda dei querelati. Ad esperto principale fu nominato lo scrittore “pro Juif”, C. A. Loosli, di Berne-Bûmplitz. Le “conclusioni” dei due esperti svizzeri furono deposte presso il Tribunale nell’ottobre 1934. Da notare: gli accusati si trovarono senza esperto, perché Munchmeyer si era rifiutato di accettare. La seconda udienza del processo si tenne dal 29 al 31 ottobre 1934. I querelanti comparvero in Tribunale con 15 testimoni, in gran parte giudei e russi, mentre invece gli accusati non citarono che un solo testimone, lo scrittore Dr. Alfred Zander, di Zurigo.
Dopo aver ascoltato i testimoni della parte contraria, il cui punto di vista, giuridicamente esatto, che l’autenticità del testo non era in causa, e che, quindi, era evidente la non esattezza della causa principale, il giudice fu costretto a mettere in libertà gli accusati e di citare ancora un esperto e altri testimoni per aggiornare meglio il processo.
Su richiesta dell’avvocato degli accusati, il tenente colonnello in pensione Ultrich Fleischauer, direttore del “Welt Dienst” (Servise Mondial) a Erfurt, fu citato come esperto il 6 novembre 1934. Dall’altra parte, l’avvocato degli accusati aveva proposto di procedere, nello stesso tempo, alla citazione di una quarantina di testimoni. Il 15 gennaio 1935, Fleischauer presentò la sua perizia. In essa viene dimostrato che i Giudei e i loro testimoni non avevano alcuna prova valevole che i “Protocolli” erano un falso, e che tutte le circostanze erano in favore dell’autenticità di tale documento, e di una prova talmente evidente e probante che il giudice, sotto pressione evidente della cricca giudaica, fu obbligato a ritirare alla difesa la possibilità di un’altra argomentazione più dettagliata; non solo, ma il giudice si rifiutò di ascoltare le testimonianze dei quaranta testimoni che l’avvocato degli accusati aveva proposti.
La terza udienza fu tenuta dal 29 aprile al 14 maggio 1935, durante la quale i tre esperti deposero, oralmente, le loro conclusioni. I due esperti svizzeri, da autentici giudei, difesero la tesi del “falso”, senza alcuna riserva, dando come sicuro che i “Protocolli” non erano altro che un plagio dei libro di Joly, e che questo risultava anche dalle dichiarazioni dell’ex-principessa Radzwill e del conte du Chayla e che l’opera era stata fabbricata con pezzi tolti da Ratchkovsky con lo scopo di calunniare la razza giudaica. E benché le date, fornite dall’ex-principessa, fossero incontestabilmente sbagliate, Baumgarten parlò di smarrimenti di memorie, mentre Loosli aveva deliberatamente commesso un falso, là dove citava, nel suo rapporto scritto sulle dichiarazioni dell’ex-principessa Radziwill, l’anno 1895 invece del 1905, senza che il Tribunale avesse avuto comunicazione di questa modifica. Interrogato più tardi, Loosli dichiarò che la data 1905 era stata un errore di stampa, sfuggito ad un giornale americano, che lui, poi, aveva fatto rettificare. I due esperti passarono sotto silenzio l’allusione dell’ex-principessa Radziwill sulla guerra russo-giapponese, come pure tacquero sulla rivoluzione russa del 1905, precisazioni che escludono l’ipotesi avanzata da loro sulla mancanza di memoria e sull’errore di stampa. La cricca giudaica aveva voluto provare la “non-autenticità” dei “Protocolli”
Comunque, l’avvocato degli accusati, Fleischauer, rifiutò il rapporto dei due esperti svizzeri della parte avversa, dimostrando, in particolare, che l’ex-principessa Radziwill era una notoria intrigante, un’avventuriera condannata persino dal Tribunale dei Cap a 18 mesi di reclusione per falsificazione di cambiali. Quindi, le sue dichiarazioni distorte, sull’origine dei “Protocolli”, - insisté Fleischeauer - non potevano servire di base per argomentazioni giuridiche. Quanto al conte du Chayla - continuò Fleischauer - nel 1920 era stato capo della propaganda nell’armata Wrangel, ma che fu ben presto smascherato come agente segreto bolscevico e vergognosamente espulso dall’armata. E che se non fu condannato a morte per alto tradimento, questo lo fu solo per l’intervento dell’Ambasciatore di Francia! Tutto questo, per un Tribunale veramente imparziale, sarebbe stato più che sufficiente per mettere in dubbio e la testimonianza dell’ex-principessa e quella dei conte du Chayla. Invece, no! Il giudice di Berna non tenne in alcun conto gli argomenti di Fleischauer, tacciandoli di elucubrazioni ispirate al suo anti-giudaismo per partito preso. E così, con la sua sentenza, che emise il 14 maggio 1935, il giudice Walter Weyer condannò gli accusati Silvio Schnell e Theodor Fischer ad una ammenda di 20 e di 50 franchi e ad un pagamento di spese giudiziarie di 32.270 franchi; il primo, Schnell, per la diffusione del libro dei Protocolli; il secondo, Fischer per la pubblicità che era stata fatta di questo libro sul suo giornale “Der Eidgenosse” (= Le Confédéré), e anche per un articolo chiaramente anti-giudeo. Gli altri tre accusati, invece, furono assolti.
Nel suo verdetto, il giudice dichiarò testualmente: «Que les Protocoles sont une falsification et un plagiat et tombent sous le coup de l’articie 14 de la loi».
La cricca giudaica esultò! Il fine era stato raggiunto: un tribunale svizzero aveva dichiarato “falsi” i Protocolli! Naturalmente, Schnell e Fischer ricorsero in Appello, e questo avvenne il 27 ottobre 1937 davanti alla “Chambre Correctionelle” de la Cour d’Appel de Berne. La difesa domandò, per prima cosa, la cessazione del giudizio e il rinvio della faccenda davanti al Tribunale di prima istanza; poi, l’assoluzione completa degli accusati. Il ricorso in Cassazione era legalmente promovibile per il fatto che il giudice non aveva fatto redigere il processo-verbale della disposizione dei testimoni mediante stenografi sotto giuramento, ma da stenografi privati, al soldo dei giudei accusatori, violando così il regolamento della procedura. Inoltre, aveva omesso di esigere la firma dei testimoni. Come motivo-supplementare di Cassazione si fece valere che nessuno dei documenti presentati dall’esperto Loosli, e che lui se li era procurati attraverso il Governo Sovietico, non erano stati legalizzati né certificati conforme all’originale, come pure le traduzioni fatte dal procuratore legale Dr. Lifschtz di Berna, le quali presentavano dei controsensi e delle omissioni. Lo stesso Procuratore fu obbligato ad ammettere questi errori di procedura. Il Tribunale, nonostante tutto, rigettò il ricorso in Cassazione, dichiarando che non c’erano stati vizi di forma reprensibili, così che la revisione di questo processo costoso era superfluo.
La sentenza fu resa pubblica il 1° novembre 1937. l due accusati furono prosciolti. L’accusato Fischer fu condannato solo a un’ammenda come contributo alle spese di Stato per un articolo di giornale: “Jeunes filles suisses, méfiez-vous de satyres juifs!”. Nella “motivazione” del giudice, il Presidente Peter dimostrò che la legge sugli scritti sovversivi non prevedeva alcuna ordinanza di una “expertise”, e che questa non doveva essere ordinata. Il giudice del Tribunale di prima istanza avrebbe dovuto semplicemente decidere se il testo della “brochure” violava la legge, ma non se esso era autentico o no! Inoltre: la brochure non poteva essere qualificata come scritto sovversivo, perché essa non aveva alcun carattere immorale e non eccitava affatto al crimine. E, in quanto era solo uno scritto politico, esso doveva usufruire della libertà di stampa!
Chiaro. Indipendentemente da questo, comunque, si volle provare che l’esperto Loosli era “parziale” e “influenzato”.
Il processo era durato più di quattro anni. La cricca giudaica aveva voluto provare la “non-autenticità” dei Protocolli con l’aiuto di false testimonianze, con l’eliminazione di tutti i testi scomodi, con la redazione, mediante stenografi privati, dei processi-verbali dei dibattiti, e utilizzando delle pezze giustificative non legalizzate, delle traduzioni erronee e delle perizie tendenziose. E grazie a un giudice, membro del Partito marxista, la cricca giudaica riuscì, in prima istanza, abusando di una legge che non era applicabile comunque al caso, a far dichiarare che i “Protocolli” erano un “falso”.
Ma il trionfo durò poco: la Corte d’Appello annullò la sentenza!
Il finale, dunque, del processo di Berna era terminato con uno scacco totale delle intenzioni perverse della cricca giudaica. I “Protocolli” resteranno un documento che, grazie proprio a questo processo, sarà riconosciuto più che autentico e che il giudaismo, pur di rigettare tale autenticità, non aveva trovato di meglio che di incitare un magistrato ad emettere un giudizio erroneo, appoggiandosi, per di più, su di un articolo non applicabile della legge, violando la stessa procedura e utilizzando dei dati inesatti. Negli scritti antisemiti si è fatto spesso valere - e questo per dimostrare l’autenticità dei Protocolli - che la politica giudaica vien fatta, su tutta la linea, secondo le direttive e i princìpi che vi si trovano enunciati in questo libro dei “Protocolli”. E questa coincidenza è servita come punto di partenza per numerose pubblicazioni.
Alfred Rosenberger ne ha fatto uno studio assai approfondito in uno suo libro: “Les Protocoles des Sages et la Politique Mondiale juive”. Si legga questa sua conclusione ineccepibile: «Le tesi e i documenti che noi stiamo per citare non lasciano sussistere neppure il più piccolo dubbio sull’analogia di pensiero che esiste tra i “Protocolli” e gli altri scritti giudaici. La politica attuale è conforme, in tutti i suoi dettagli, alle citazioni e ai piani conosciuti ed esposti nei Protocolli».
Le tesi dei Protocolli, del resto, concordano perfettamente con certi testi dei Profeti d’Israele, là dove parlano di una egemonia mondiale per Israele; e lo stesso dicasi per la concordanza perfetta con la dottrina dei Talmudisti e quella dei Cabalisti.
La loro autenticità, poi, fu riconosciuta anche da altri giudei, come, ad esempio, dallo scrittore austriaco Arthur Trebitsch, giudeo al cento per cento, ma di tendenze di forte antisemitismo. Nella sua opera principale: “L’Esprit allemand ou le Judaisme” (Vienna, 1921), sui Protocolli egli scrive che la loro esistenza gli era stata rivelata dalla brochure di Beck: «Non si può avere il minimo dubbio sull’autenticità del testo del libro “Les Sages de Sion”. Colui che, come l’Autore (i. e . Trebitsch) ha saputo presentire nei fini e le intenzioni di tutta la nostra vita economica, politica e spirituale, le idee esposte in questi documenti segreti, può garantire con certezza che si tratta indubbiamente di dichiarazioni autentiche che portano l’impronta dello spirito strisciante dei Giudei che aspirano all’egemonia del mondo; così autentiche e così vere che mai alcun cervello ariano - anche se l’odio antisemitico lo spingesse alla falsificazione e alla calunnia - sarebbe mai stato capace di concepire, in alcun modo, questi metodi di lotta, questi piani, queste astuzie e queste frodi». (p. 74).
L’aspetto più interessante, circa l’autenticità dei “Protocolli”, è che questi sono quasi una copia identica di un altro documento che risale al 1773, un documento che si pone lo stesso fine di dominio mondiale ebraico e che ricalca i metodi di lotta, di astuzie e di frodi che si trovano nei “Protocolli”. Secondo Guy Carr, in “Servant”, 27 s, i Protocolli risalirebbero a oltre un secolo prima delle deliberazioni del Congresso di Bále (1897). «Le mie ricerche personali - scrive - mi hanno portato a pensare che i documenti pubblicati in Russia nel 1905 dal prof. Nylus, sotto il titolo “Il pericolo ebraico”, e da M. Mardsen in Inghilterra, nel 1921, sotto quello di “Protocollì dei Savi di Sion”, sono il “piano” a lunga scadenza degli Illuminati, quello che era spiegato da Mayer Amschel Rothschild ai suoi soci nel 1773 a Francoforte. Rothschild non si rivolgeva a dei rabbini o anziani; egli parlava a banchieri, industriali, uomini di scienza, economisti, ecc. Perciò, non è giusto imputare questa cospirazione diabolica e criminale a tutto il popolo ebreo e ai suoi capi religiosi». Il Virion, nel suo studio: “Presto un governo mondiale”, documentatissimo, le cui affermazioni non sono state mai state né smentite né attaccate, scrive: «Il temporalismo ebraico... vagliato dai millenni,continuamente messo a punto secondo l’evoluzione e l’apressarsi della fine... “I Protocolli dei Savi di Sion” sono una di quelle rimesse a punto, parallela all’elaborazione del piano sinarchico... i “Protocolli” fanno parte di un tutto, ma parte essenziale, emanante dalle potenze ebraiche, ove la Kabala ha più credito che l’Antico Testamento» (Virion, 235).
1. Da sottolineare che Serguei A. NyIus era un massone. Fu iniziato da Teodoro Herzl. In seguito, si convertì per influsso di P. G. Cronstadt. (Il testo è tratto da un articolo pubblicato su Chiesa viva n° 125). |