Libro Quinto 

 

In questo libro, unitavi l'ultima parte del precedente e la prima del seguente, Apuleio espone la bellissima parabola di Psiche ed Amore, della quale ho fatto cenno nella mia Introduzione e che esporrò completamente in questo solo capitolo con tutti i più minuti particolari e con una larga interpretazione e chiara per quanto mi è consentito.

 

L'antica ed elegante favola, la fine, mitologica allegoria ideata prima e rappresentata poi nel Simposio dal discendente di Re Codro e di Solone, l'ateniese Aristocle, che Socrate soprannominò Platone, venne tradotta in uno smagliante ed elegantissimo poemetto simbolico dall'Africano Retore Cartaginese, Lucio Apuleio, autore dell’Asino d'Oro.

In Grecia adunque (nell'Universo), un Re (spiritus efflatus) condusse in moglie una formosa principessa (la Materia), e dal Reale Connubio nacquero tre figlie cioè Creas (la Carne, il Corpo Umano), Libertas (la Vita, il Corpo Astrale) e Psiche (l'Anima).

Delle tre, Psiche era la più piccola e la più giovine (perché l'Anima viene infusa nel Corpo solo quando questo è formato) e cogli occhi ridenti e le labbra vermiglie era più bella di Libertas (perché ad essa superiore nei vari pregi) e di Creas (perché di questa era più nobile assai). Tanto bella essa era che Venere divina è invidiosa ed ordina a suo figlio Cupido (la Concupiscenza) di ferirla coi suoi strali per renderla amante del più vile fra gli uomini. Cupido può concepire il sentimento dell'Amor Platonico (il bene) quello dell'Amor Sensuale (il male), avendo strali e reti per ferire e ghermire nell'uno o nell’altro caso.

Veduta Psiche e soggiogato da quelle lucide pupille e da quella bocca corallina (dalla perfezione della forma animica) non ebbe più la forza ed il coraggio di ubbidire alla madre e si abbandonò all'affetto inspiratogli (cioè si fonde astralmente in essa).

Al Gran Re intanto pervenne un Oracolo da Delfo che gli impose di abbandonare ad un Mostro, sopra una deserta roccia, la più piccola e la più bella delle sue figliuole, ed il Rege ossequiente alla legge del Dio Tenebroso strinse al cuore la figlia carissima e l'abbandonò su rupe scoscesa, per vivere più vecchio e più solo fra le due figlie maggiori, le quali, come Venere, erano invidiose di Psiche ed acerrime nemiche di essa.

Ma la sorte della fanciulla non fu acerba, perché le tremò bensì il cuore sul dirupo solitario in attesa del Mostro che doveva far scempio di lei, ma passò tranquillo il giorno, segui la sera e la notte vennero le stelle a sorriderle; e mentre le stanche ciglia già le oscuravano le pupille, Zefiro, mandato da Amore, la rapi in turbine, e la posò in un palazzo incantato, ricco d'ogni agiatezza e circondato da olezzanti giardini. Là Psiche si addormentò e nelle tenebre fu avvicinata dal Mostro, il quale non la divorò, ma nell'ombra le morse il cuore in modo così dolce che essa sperò non tornasse mai l'alba. L'ignoto tornava ogni sera e si dileguava il mattino, e la notte per Psiche era una festa, perché quegli ch'era il suo amante, era ardente nell'ombra, soave nelle tenebre, giocondo nell'oscurità. Allo apparire delle prime stelle parea a Psiche si facesse giorno; e con l'aurora sentiva scendere il sonno sulle pupille umide, serene e stanche, mentre l'Ignoto scompariva con la prima luce. Ma la luce le restava in onore poiché nel sonno mattutino sentiva ancora i baci e udiva la voce armoniosa di chi la colmava di carezze. Così ogni notte visse felice nel castello del sogno; visse soletta, e tutta la gioia fu per lei sola, scordando il padre vecchio, le sorelle astiose ed il suo regale lignaggio. Ma le sorelle non dimenticaron Psiche bella. I cuori delle due donne erano amari per il sospetto che essa fosse felice, ed il dubbio di questa felicità avvelenava le loro vene. Andarono sulla roccia erta e non videro biancheggiar ossa umane, ma giardini ubertosi ed i tetti d'oro d'un marmoreo palazzo. Chiamarono la sorella a gran voce, e questa rispose accorrendo ilare e gioconda.

Le due triste le sorrisero colle labbra ingannevoli mentre una furia gelosa loro torceva i cuori; sorridendo sempre udirono il bene a lei concesso, i baci, l'ardore e la soavità dell'Ignoto; e sorridendo consigliarono la sorellina a guardare in viso la creatura misteriosa, a sorprendere cioè l'amante nel sonno, a scoprirne lo aspetto, per vedere, per sapere, per riconoscerlo ed inseguirlo se, per volubilità di cuore, un giorno dovesse fuggirsene. Psiche ascoltò, e fu persuasa, senza vedere il veleno celato sotto il miele; intese il consiglio e non vide l'inganno. Partirono le sorelle rasserenate dalla loro perfidia, e tornò, la giovanetta nel suo palazzo dorato; ma in tutto quel giorno senti ardente la curiosità premerle il cuore. E venuta la notte, arrivato l'Ignoto, Psiche lo pregò, lo supplicò di svelarsi a lei in piena luce. Ma egli la consigliò di non dar retta alle sue Sorelle tentatrici di desideri illeciti (cioè materiali) e le ordinò di lasciare nell'oscuro ciò che doveva restare nell'oscurità. Psiche parve accettare confidente la condizione postale dal notturno amante di non guardarlo mai in viso (cioè di rifuggire dalla sola attrattiva dei sensi) consentendo di essere avvicinata soltanto nell'oscurità, (cioè di rispettare le frontiere dell'invisibile).

Ma la curiosità è femmina, e di Psiche le pupille chiare brillavano curiose di scorgere nelle tenebre l'ignoto, ed i suoi seni rotondi e saldi fremevano per l'ansia di soddisfare il suo veemente desiderio. Così dispose una lampada ed un pugnale nell'alcova del talamo, ed in una notte susseguente, quando l'amato, sazio di gioia concessa e di baci ricevuti, s'addormentò sereno fra le braccia care, Psiche silenziosa e leggera sciolse la ghirlanda rosea delle sue braccia e sorse furtiva e trepida ascoltando il respiro dell'amato dormente tirò fuori la lampada, l'accese, ed in punta di piedi, leggera come Silfide, s'avvicinò al letto. Allora vide sulla coltre di porpora (il rosso alchimico) il viso pallido dell' ignoto, comprese che egli era il Dio Amore (cioè qual era la fiamma del disio che le mordeva il cuore) e lo ammirò senza velo (cioè riuscì ad alzare un lembo di quel velo che nella iniziazione deve sempre stare abbassato). Gli occhi di lei risero pel piacere e brillarono più curiosi ancora. Avevano voluto sapere chi fosse il Mostro che mordeva si dolcemente il cuore, e quel Mostro era Amore; avevano voluto vedere la bocca ardente nell'ombra e quella bocca era una fiamma che dà luce e dolore; seppero allora e videro allora Amore, ma non lo conobbero. Per meglio osservarlo avvicina la lampada al volto di lui, né si sazia di guardarlo con piacere infinito (cioè si attacca al piacere del senso, cosa questa che già fece Apuleio prima di essere trasformato in Asino, e prima di lui aveva fatto Eva innanzi di mangiar il pomo fatale). Alla fanciulla tuttavia tremò il core con un palpito così impetuoso, che la lampada vacillò nella mano languida, e presso la fiamma oscillante una goccia d'olio bollente traboccò dal vaso sulla spalla del Dio producendo una larga scottatura (cioè mentre l'anima si abbandona alla voluttà della concupiscenza, questa si infiamma ognora più, ed invece di diventare un Mago si diventa un... matto). Il Dio si destò di sbalzo, e leggero aprì le ali frementi, guardò Psiche negli occhi con uno sguardo di castigo e librandosi nell'azzurro della notte stellata parti per non tornare più (ecco la punizione). Il mostro, il Dio Ignoto era l'Amore, e Psiche fanciulla lo seppe quando lo perdè.

Spari il palazzo d'oro, sparirono i giardini profumati, e svanirono i sogni; la rupe tornò un deserto; solo presente ed implacabile il Dolore, lontano e fuggiasco l'Amore non più ignoto ma inafferrabile. (Ecco la realtà! Amore per la violazione del patto tolse a Psiche la ricchezza, qui simbolo di innocenza e volontà, e la scacciò dalla Casa della Divinità, dall'Olimpo del cuore, come già Eva era stata scacciata dal Paradiso Terrestre, lasciandola esposta a mille pericoli e malanni, cioè alla pazzia, alle occasioni delle disgrazie che si incontrano nella vita in relazione alle funeste esperienze che hanno procurato i piaceri della materia). Ma la giovanetta volle rintracciare colui che fuggiva, che era Mostro ed era Dio, che aveva l'arco per le ferite e l'ali per l'abbandono, e s'avviò per via aspra verso l'ignoto dov'era il suo Amore (perché l'Anima senza Amore non può vivere). Dapprima prega nel tempio di Cerere (la mietitrice, alma madre di Proserpina) che gli sia restituito; poi nel tempio sontuoso di Giunone (o Lucina, dea della Luce in occidente, perché presiedeva ai parti nel momento in cui il neonato alla Magia apriva gli occhi della intelligenza) e da ultimo in quello della stessa Venere (Cerare, Giunone, Venere e Psiche formano uno stupendo quaternario mistico). Psiche adunque sosta nel Tempio di Venere, quando appunto questa la faceva ricercare per ogni dove (per vendicarsi dell'affronto fatto al figlio ed a lei) da Mercurio (il vigilante), il quale essa aveva autorizzato ad offrire sette baci (ecco il settenario venereo) a chi avesse saputo dar contezza di Psiche ed un ultimo più dolce ancora dato dietro le piramidi mirtiche (dette così perché allietate dai boschetti del mirto sacrato a Venere). Sosta nel Tempio e vi è sorpresa dall'Abitudine, la quale se ne impadronisce e la consegna alla sua nemica, titolare del Tempio, con piedi e mani legati. Venere allora la dà in preda all'Inquietudine ed alla Tristezza. Ma Psiche non che ribellarsi prega, supplica, implora la restituzione del suo Amore dalla Dea.

(Ciò simbolizza la pazienza e la costanza dell'Asino). Venere, che è donna sebbene divina, vede quanti pericoli aveva attraversati Psiche, fanciulla povera e sola nel mondo troppo vasto per lei; povera ma con una fiamma viva in cuore, con una speranza lucida nell'anima, con un volto triste ma soave, colle pupille chiare che lucevano sotto i veli del pianto, e si decide a perdonarle perché superi tre dure prove che Psiche vince trionfalmente (sono i tre gradi dell'iniziazione). Separò la fanciulla in una sola notte le diverse famiglie dei cereali raccolte e confuse in un mucchio enorme; attinse acqua ad una fonte custodita rigorosamente; sopportò danni, stenti, rischi ed ingiurie, ma fu sempre impavida, vigile, laboriosa, paziente, non si stancò ne disperò mai, cercando il suo bene nel dolore (ecco la Costanza ermetica).

Ultima di queste prove (iniziatiche) era la discesa all'Inferno per recare un messaggio a Proserpina. In questo viaggio essa incontra due volte il Cerbero a tre teste (ternario divino) che tutto divora, e lo vince (le tre teste sono il passato, il presente e l'avvenire di cui Psiche o meglio l'Anima a suo tempo trionfa colla profezia, come in un'altro simbolismo Ercole trionfa nelle sue dodici imprese vittoriose); ed infine al ritorno sulla Terra (nella lotta contro la Carnalità) ritrova il suo vero Amore (il suo Dio), lo prega pentita ed Amore promette sposarla se gli Dei consentono (ed ecco una redenzione).

Giove ebbe pietà di Lei, l'ira di Venere era già placata ed il lungo martirio di espiazione ebbe fine (siamo alla mangiatoia delle rose dell'Asino). Psiche fanciulla dagli occhi ridenti e dalla bocca vermiglia raggiunse Amore nei Cieli e gli fu sposa. Giove le concesse di gustare l'ambrosia (cioè le conferì l'immortalità); ed ella fu sposa immortale ad un Dio immortale. Dal celeste connubio nacquero la Felicità e la Voluttà (così insegna la Mitologia, la quale è tutta una simbolica rivelazione misteriosa).

Questa la favola di Psiche, la divina fanciulla che fu in mille guise eternata, sia nei freschi scoperti al foro romano nell'Ipogeo dei Flavi illustrati da Fausto Salvatori, dove la piccola Psiche con le trecce folte, raccolte e disposte a guisa di casco sulla nuca delicata, con le pupille ridenti ove scintilla il desiderio vivo di sapere e di vedere, con la boccuccia piena di malinconia nella gioia e di passione nell'angoscia, volitante colle sue membra di fanciulla gioconda con le aguzze ali di una farfalla; sia nei bianchi marmi in cui il celebre Canova scolpi il gruppo che qual gemma del genio italico adorna il Museo Vaticano nell'atto in cui la divina Psiche allacciando delle braccia il suo Dio riceve il più caldo dei baci di Amore.

Le interpretazioni che vennero date a questa parabola mitologica furono molte e molto diverse.

Fulgenzio, vescovo di Cartagine, argomentò un significato morale e religioso, poiché l'allegoria piacque agli antichi cristiani. Essa parlava dell'uomo, della sua sorte mortale e del suo destino eterno, scorreva la beatitudine originaria dello stato d'innocenza, il peccato e l'espiazione, la morte e la risurrezione; e Psiche per essi fu l'anima umana e immortale.

Il Salvatori scoprì un'allegoria filosofica, in cui Amore è un buon demone che cresce gli uomini al bene ed alla felicità, che insegna a redimere la colpa col dolore, che guida lo spirito purificato verso la Luce. Il mito, egli dice, rappresenta le soste dell'anima decaduta, colpevole, che attraverso la espiazione umana si redime dal peccato, risorge e raggiunge l'amore divino.

I neo-platonici sentirono nell'allegoria la promessa di una vita futura, della risurrezione oltre la morte, della felicità eterna, e raffigurarono Psiche nel Simbolo della farfalla che nasce verme, si tramuta in crisalide, rompe il bozzolo, mette le ali e vola gioconda verso la Luce. Nella lenta metamorfosi verso la perfezione, il bruco oscuro che strisciò sulla terra, grave e tardo, diviene creatura leggera ed alata, puro spirito di gloria.

Ma per gli occultisti ben altro si cela dietro il velo della parabola smagliante e graziosa di Apuleio.

Nel suo Dogme (Paris 1894, pag. 94, 5, 6) l'illustre Eliphas Levi si rallegra che in essa l'arcano magico vi apparisca sotto la figura dell'unione misteriosa fra un dio ed una fragile mortale. Psiche deve ignorare il segreto della sua regalità ideale, e se ella vede il suo sposo, lo perderà. Ella vuol sapere e perde l'innocenza per guadagnare la prova. Il grande secreto magico é la lampada di Psiche. Sapere abbastanza per abusare o divulgare il secreto, é meritare tutti i supplizi mentre sapere per servirsi del secreto e nasconderlo, é essere padrone dell'assoluto. Se Psiche a forza di sottomissione e di carezze avesse obbligato l'Amore a svelarsi da sé stesso, essa non l'avrebbe mai perduto. L'Amore é un simbolo mitologico del Gran Segreto e del Grane Agente Magico, perché esprime nel medesimo tempo un'azione ed una passione, un vuoto ed un pieno, una freccia ed una ferita. Gli iniziati devono capire.

Altri é più esplicito ancora. Nello episodio apuleiano si ravvisa la violazione dell'equilibrio originale dell'Anima colla caduta della donna meglio che non lo faccia Mosè nella Genesi. La lampada ed il pugnale di Psiche corrispondono al serpente ed al pomo di Eva. Eva e Psiche sono donne simboliche che caddero per voler conoscere e voler papere. Esse significano l'invasione e l'irruenza della cieca energia inferiore dei sensi e degli istinti nell'ordine superiore della Ragione che é appunto l'Amore, tubandone l'equilibrio armonico e riducendo tutto l'individuo nel disordine generale delle sue funzioni, per cui viene travolto dalla catastrofe. Venere nella favola d'Apuleio corrisponde alla Iside (cioè alla Volontà dello Spirito, che nella fattispecie è Giove, o Jupiter, o Jeve o Pater), e non appena l'equilibrio dell'anima é spezzato, o sciolto, costringe la povera Psiche a passare per le più dure prove perché possa giungere infine dopo lunghe ricerche attraverso i baratri più profondi dell'Erebo a ritrovar l'Amore, cioè il suo sposo divino. Psiche viene così dopo la caduta trasformata dal dolore in un'altra donna, che vince e schiaccia la testa del Serpente (come la Donna Fatidica che dovrà succedere ad Eva) per essere appunta accanto al suo sposo e vivere la vita dell'Olimpo. La preda che Caronte e Cerbero reclamano tanto nella morte quanto nella iniziazione (che della morte é l'emblema) rappresenta il tributo di dolore che Psiche deve rendere alla Natura vivente per potersi risollevare alla Natura celeste.

 


 

Indice

Introduzione Sala dell’Asino d’Oro della Rocca dei Rossi Commento al libro I° e II° Commento al libro III° e IV

Commento al libro V° Commento al libro VI° e VII° Commento al libro VIII° e IX° Commento al libro X° e XI° Conclusioni