Ermete Trismegisto, un nome inventato in tarda età ellenistica, rappresenta, attraverso i molti scritti attribuitigli dalla cultura neoplatonica, fra i quali non possiamo non citare la famosa Tavola di Smeraldo, la fusione delle dottrine "ermetiche" di Platone (Fedro e Filebo) e di Pitagora (Numerologia) con la "rivelazione" di misteriosi insegnamenti egiziani direttamente pervenuti dalla divinità Thoth, il tre volte grande, identificato successivamente nella cultura occidentale (greca) con Ermete, detto appunto Trismegisto (tre volte grande).
Il saggista Guglielmo Adilardi, in questa sua opera d'ingegno, indaga le assonanze e le corrispondenze tra Ermetismo e Alchimia.
La tavola è opera d'ingegno dell'Autore ed è stata pubblicata sul n.2 di Hiram nel mese di Marzo del 2000, il suo contenuto non riflette di necessità la posizione della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto è riconosciuto.
© Guglielmo Adilardi
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Ermete Trismegisto, un nome inventato in tarda età ellenistica, rappresenta, attraverso i molti scritti attribuitigli dalla cultura neoplatonica, fra i quali non possiamo non citare la famosa Tavola di Smeraldo, la fusione delle dottrine "ermetiche" di Platone (Fedro e Filebo) e di Pitagora (Numerologia) con la "rivelazione" di misteriosi insegnamenti egiziani direttamente pervenuti dalla divinità Thoth, il tre volte grande, identificato successivamente nella cultura occidentale (greca) con Ermete, detto appunto Trismegisto (tre volte grande). Questa dottrina salvifica e magica non abbandonerà più l’uomo, sempre alla ricerca di ricostruire quell’Eden privo di ogni male dove bastava allungare la mano, senza alcuna fatica, per assaporare frutti profumati e salvifici. In tale paradiso albergava un linguaggio speciale, quello stesso usato da Dio, con il quale l’uomo conversava amabilmente ogni volta che lo desiderasse.
Sulla Tavola di Smeraldo è possibile consultare la sezione dedicata:
La Tavola di Smeraldo
Così la tradizione dell’ermetismo, con variegate interpretazioni, proseguì da Lucio Apuleio (125? -170? d.C.) a Marsilio Ficino (1433-1499) fino a giungere nel Rinascimento, ove l’alchimia si avvicina maggiormente alla Cabala e alla magia, con l’inglese John Dee (1527-1608), l’abate tedesco Johann Trithemius (1462-1541) e con il più noto Paracelso (1493-1541). All’inizio del XVII secolo tutte le forme dell’alchimia segnano una nuova fioritura: l’imperatore Rodolfo II (1562-1612) ha la sua schiera di alchimisti. Il medico belga Jan Baptiste Van Helmont (1577-1664) concilia ermetismo e pratica medica. I fratelli della Rosacroce sviluppano le loro logge segrete soprattutto in Germania, alla ricerca della Pansofia o conoscenza universale. Ma non dobbiamo dimenticare che ad uno sviluppo esponenziale dell’alchimia corrispondeva nel contempo una caccia ai maghi senza confine. Cartesio porterà con le sue dottrine un colpo terribile all’alchimia, il resto lo faranno i roghi. Si continuò comunque da parte dei filosofi ermetici a perseguire il tentativo di combinare la filosofia, particolarmente quella pagana platonica, con "il religioso", che con Ficino, fattosi prete nel 1473 per meglio raggiungere tale scopo, tenterà di farla identificare colla fede cattolica, proprio andando a dar mano agli sforzi dei Padri della Chiesa e i vari Concili di Laodicea nel 366 e successivi di Agda, di Orléans, di Auxerre e di Narbona con cui la Chiesa si era sforzata di dimostrare che il sacro non si identificava affatto con il magico, come ancora credevano i cristiani del tempo, influenzati dal paganesimo non ancora estirpato dalle coscienze, ma che rientrava completamente ed esclusivamente nella sfera del religioso. Nonostante ogni sforzo dei filosofi e dei religiosi l’uomo ha sempre inseguito il mito, l’arcano che vi sia una verità nascosta, una verità che, ove si trovasse la chiave interpretativa, darebbe all’uomo facoltà straordinarie pari a quelle da esso possedute prima della "caduta" originaria. «L’Altissimo e l’Onnipotente ha celato le ragioni delle cose naturali e future che si susseguono ordinatamente, affinché nulla vi sia nelle moltitudini che non vi fosse stato in precedenza, e specie nel primo Individuo, così nelle cose consacrate, da cui derivano le cose profane, Dio ha dovuto necessariamente tradurre in atto la più grande perfezione».
Uno dei tanti emblemi che l’uomo ha partorito circa tale ricerca può essere considerato La Porta Ermetica di Piazza Vittorio Emanuele a Roma, sulla soglia della quale troviamo scritto SI SEDES NON IS, se siedi non procedi, ma leggendo da destra verso sinistra, se non siedi procedi; un invito non solo contro la pigrizia, ma un invito a portare a termine la grande opera alchemica.
Sulla Porta Magica di Roma è possibile consultare la sezione dedicata:
La Porta Magica di Roma
Nei trattati alchemici spesso troviamo l’esortazione al neofita a non intraprendere il cammino iniziatico qualora non si è sicuri della propria scelta e forza e, una volta iniziato tale percorso, a non fermarsi, poiché da ciò deriverebbe la sicura perdizione. Erroneamente incaselleremo gli alchimisti succedutisi nel corso della storia quali progenitori dei chimici quasi che le origini della chimica si confondano e quasi si dissolvano completamente nell’alchimia, mentre sappiamo che i veri alchimisti, i quali praticavano l’ardua disciplina della filosofia ermetica, definivano coloro che erano dediti ad esperimenti assolutamente banali - quali quello della ricerca dell’oro - con disprezzo soffiatori, capaci unicamente di maneggiare il mantice per attizzare il fuoco di un fornello. Al contrario, l’origine della alchimia autentica ha nobile progenie dai taoisti cinesi, orientati verso un’alchimia interiore, dedicandosi essi ad esercizi spirituali più che a esperienze chimiche, ai greci, agli arabi; e i popoli occidentali furono per tutto il Medioevo i veri promotori dell’alchimia tradizionale, questo composito complesso di concetti metafisici e di procedimenti operativi. Dai greci l’alchimia passò agli arabi e da essi, col tempo, nuovamente in Occidente. Benché si ignori l’esatta derivazione della parola alchimia, suggestiva ci sembra l’ipotesi formulata da alcuni che essa possa significare in arabo (al è l’articolo) "L’arte del paese di Chem": Chem era il nome che gli arabi davano all’Egitto. Mentre chymia, dal greco: arte di fondere i metalli. Molte parole di tale misteriosa scienza derivano dall’arabo: alambicco, alcool, elisir, ecc. I tardi alchimisti nel 600 si consideravano veri e propri filosofi e filosofia ermetica era chiamata la loro dottrina e gli allievi erano detti figli della scienza. Tre gli elementi essenziali in un laboratorio: l’athanor o Immortale, un fornello speciale di cotto o di argilla impastata con letame di cavallo per evitare che il calore prolungato lo facesse esplodere; l’Uovo filosofale, recipiente di vetro di forma ovoidale destinato a contenere il composto preparato per la cottura; una cucurbita o ciotola. Altri strumenti sono l’immancabile trilume ad olio, un rampino per dissipare la densa fuliggine della lampada, una bilancia, varie storte e l’immancabile pellicano, vaso di vetro con il becco all’ingiù. Dobbiamo ricordare a tal proposito una curiosità, per la quale l’alchimia fece il suo ingresso anche in cucina, infatti dobbiamo al personaggio mitico di Maria l’Ebrea l’invenzione del Kerotakis, vaso chiuso dell’alchimista che passò alla posterità sotto il nome di "Bagno-Maria". Fra i materiali più comuni ricordiamo: il mercurio dei filosofi, elemento femminile, e lo zolfo untuoso, elemento maschile, costituenti la materia prima di ogni buon alchimista. Oltre alle migliaia di alchimisti più o meno conosciuti, l’umanità ha sentito la necessità di attribuire testi di alchimia a personaggi famosi e colti, ma che non produssero nulla del genere, pur non escludendo un loro interesse per la materia, siccome era uso dei loro tempi. Pensiamo per esempio ad Alchimia attribuita a San Tommaso D’Aquino o al De Alchimia di Alberto Magno, oltre a qualche altro scritto minore attribuito a Raimondo Lullo. Ricordiamo ancora alcuni alchimisti che lasciarono alcune opere significative del loro lavoro, anche se vi è da precisare che i testi degli alchimisti sono tutti di difficilissima interpretazione, in quanto dovevano rappresentare un sapere esoterico, cioè segreto e quindi indirizzato a pochi allievi in grado, secondo il giudizio insindacabile del Maestro, di recepire la filosofia ermetica. Michael Maier nato a Redsburg (1568-1622), medico in Basilea; la sua fama lo portò alla corte dell’imperatore Rodolfo II a Praga. Alla morte del suo mecenate dovette fuggire per le invidie di corte rifugiandosi da un altro suo collega, l’inglese Robert Fludd. Il suo testo più noto di alchimia è Atalanta Fugiens (1617).
Su Atalanta Fugiens è possibile consultare la sezione dedicata:
Atalanta Fugiens
Maier si eresse a paladino dei Rosacroce pur non essendo mai appartenuto a tale misterioso consesso. Scrisse una lode per essi, Silentium post clamorem, poiché tali iniziati non avevano reagito alle critiche e alla caccia alle streghe scatenatasi in tutta Europa per scovarli. Altro alchimista di notevole pregio fu Valentin Andreae (1586-1654) il quale rese più chiara la simbologia alchemica con i suoi lavori Fama Fraternitatis e Confessio Fratrum Rosae-Crucis, nel quale testo dava una visione di una società europea ideale e utopica fortemente venata di un cristianesimo gnostico, secondo gli intendimenti della Confraternita rosacruciana, di cui fu uno dei capi.
Nella sezione dedicata è possibile consultare i testi citati:
Fama Fraternitatis e Confessio Fratrum Rosae-Crucis.
Nonostante che gli alchimisti, ancora alla fine del Seicento, fossero una schiera davvero numerosa, per cui difficile sarebbe citarli tutti, non possiamo però tralasciare una delle nostre ultime glorie nazionali in materia, Raimondo di Sangro principe di San Severo, degno erede di tale colta turba di alchimisti. Nato a Torremaggiore (Foggia) nel 1710 e deceduto in Napoli nel marzo 1771, egli ha lasciato numerosi testi alchemici; perfino il suo testamento è la descrizione di un percorso alchemico rivolto ai futuri adepti: « ...Non so se il destinatario a leggere questi miei scritti sarà di appartenenza all’età dove la lancetta del quadrante Celeste avrà toccata la Costellazione dell’Acquario. Questo non so; voglio però se chicchessia trovasse questo mio testamento di troppa propria coscienza destini la sua mente alle mie confidenze e poi sia così probo da divulgarle; gli Uomini che vegliano i quali vivono intenderanno. Sarà per essi l’Aleph... ». Ma il documento, se così si può definire, più autentico e vero di alchimista lo ha lasciato con l’edificazione della cappella patrizia dedicata alla Regina della Pietà, accanto a un suo palazzo in Napoli, ove sulla primitiva entrata laterale si legge a fondo lapide: «... Osserva con occhi attenti da studioso, e con venerazione, le ossa degli eroi onuste di gloria, contempla il culto della Madre di Dio e il valore dell’opera e la giustizia resa ai defunti e, quando avrai reso gli onori dovuti, profondamente rifletti su te stesso e allontanati». Vero condensamento di precetti iniziatici per cui il neofita una volta recepito l’insegnamento nel centro sacrale del Tempio deve allontanarsi in fretta per non soccombere al sacro e proseguire il percorso alchemico in solitudine: si ricevono l’energia, le eggregore necessarie alla mutazione totale dell’uomo - proprio come avveniva per i Mistici attraverso la preghiera - per cui la pratica dell’alchimia era un’operazione analogica e simbolica in vista del perfezionamento, della trasformazione dell’essere. L’alchimia, a dispetto di coloro che la vollero relegare fra i cattivi insegnamenti, ha avuto anche in tempi moderni il suo momento di rivalutazione; pensiamo all’opera ancora oggi interessantissima di Carl G. Jung Psicologia e Alchimia, in cui lo scienziato mette in viva luce le connessioni fra il profondo Sé e la ricerca alchemica di tutti i tempi. Non possiamo chiudere queste poche annotazioni su di un argomento così ampio, che ha attraversato tutta la storia occidentale, senza ricordare la piacevolissima lettura delle avventure dell’alchimista Zenone di Marguerite Yourcenar che trovansi in L’Opera al Nero
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