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Il solve et coagula alchemico implica la liberazione dell’Io dalla sua falsa e caduca individualità ordinaria, questa sì composta di fango ed argilla, come il mito biblico insegna. Tuttavia, questa liberazione non comporta un dissolvimento promiscuo nell’oceano luminoso della divinità, bensì la capacità di ri-comporre un nuovo essere individuum in senso proprio e pieno, un atomo di saggezza e potenza che abbia scoperto e realizzato in se stesso la propria originaria natura divina. L’Opera al bianco alchemica, condizione per l’immortalità, legata alla costruzione del corpo di luce, trova il suo completamento nella condensazione cui l’Opera al rosso, il ritorno alla terra, necessariamente riconduce. Coagulare significa contrarre in sé quella luce divina in cui, se si fosse impari per ciò che attiene alla forza e alla qualificazione spirituale richieste, ci si sarebbe potuti perdere, disintegrare e confondere come un ruscello rispetto ad uno sconfinato mare o lago nel quale si trovasse a confluire. Per questo l’alchimia è definita dai suoi seguaci opus contra naturam: si tratta di violentare e di invertire il consueto percorso naturale che, dalla fonte, attraverso un breve pellegrinaggio, riconduce ancora alla medesima fonte, annullando l’individualità effimera degli innumerevoli corsi d’acqua che partono e ritornano. L’alchimista fabbrica, a partire dalla identità satumina di un Io impermanente e transeunte, un vero individuo, una identità capace di temperare ed equilibrare il rapporto sempre inquieto tra spirito e materia. Vi è così una trasformazione del piombo - metallo sotto il segno di Saturno, il Tempo, creatore e distruttore di forme effimere - in oro, metallo solare, simbolo della stabilità iniziatica, intesa come dinamico equilibrio in grado di vincere la morte e il conseguente oblio della coscienza. Nel 1930, Oswald Wirth (1860-1943), eminente personaggio della Massoneria francese, rielaborava e ripubblicava un suo scritto di venti anni addietro, Le symbolisme Hermétique, di cui da più parti si auspicava una riedizione, essendo il libro del 1910, già all’epoca, pressoché introvabile. Wirth aveva adottato delle chiavi esegetiche dei misteri ermetico-alchemcai, analoghe - anche se non identiche - a quelle utilizzate e rese famose dal gentiluomo italiano autore de La Tradizione Ermetica. Egli, poi, enuncia dei significativi riferimenti a Mesmer che ne ricollegano l’impianto interpretativo complessivo e anche le analisi più minute alle rivelazioni già compiute da Mary Atwood: Mesmer ha attinto dall’Alchimia la nozione di magnetismo animale. Egli conosceva la formula che si ricollega alla parola vitriolvm, le cui lettere costituiscono le iniziali della famosa frase: Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem, Veram Medicinam. Visita le viscere della Terrà: è un invito a calarsi in se stessi e ad approfondire la natura umana. Rinchiusi nel segreto laboratorio della nostra personalità, nel nostro Uovo filosofico ermeticamente chiuso, rettifichiamo, distilliamo, separiamo il sottile dallo spesso. Così troveremo la Pietra nascosta, che racchiude la Vera Medicina. II segreto del Vetriolofa del’lUomo l’oggetto della Grande Opera dei Filosofi. Ciascuno di noi cela in se stesso la Pietra dei Saggi, Vera Medicina capace di guarire tutti i mali. In tutto questo non c’è nulla di assurdo o di ingenuamente meraviglioso, ma soltanto l’affermazione che tutto si trova nell’Uomo, a patto che impari a conoscersi e ad utilizzare saggiamente le inesauribili risorse della sua propria natura.[ ...] ogni individualità microcosmica, nella quale si manifesta un focolaio di vita autonoma, discende [ ...] dalla medesima, dall’unica essenza luminosa, la cui tri-unità corrisponde alla triade alchemica: Zolfo, Sale, e Mercurio. Per l’Ermetismo, infatti, tutto è luce. Ciò si comprende facilmente per quanto riguarda lo Zolfo ed il Mercurio, poiché questi due principi rappresentano la luce interna o microcosmica, contrapposta alla luce esterna o macrocosmica. Ora, il Sale deriva dalla interferenza di due radiazioni contrarie, che si neutralizzano in una zona relativamente stabile di luce condensata e corporizzata. In tal modo, il Sale diventa il ricettacolo sostanziale, dilatato dall’espansione sulfurea interna, controbilanciata dalla compressione esterna del Mercurio.[...] Il discepolo di Ermete era silenzioso: rifuggiva da qualsiasi argomentazione e non cercava di convincere alcuno. Chiuso in se stesso, era dedito a profonde riflessioni e finiva così per penetrare i segreti della natura. Diventava allora il confidente di Iside ed entrava nella cerchia dei veri Iniziati: la Gnosi gli rivelava i principii delle antiche scienze sacre, che successivamente dovevano prendere corpo sotto forma di Astrologia, di Alchimia, di Magia e di Qabalah. Queste scienze, oggi considerate morte, avevano tutte un medesimo campo d’applicazione: il discernimento delle leggi nascoste che reggono l’universo. Si differenziavano dalla Fisica, scienza ufficiale della Natura, per il loro carattere al tempo stesso più misterioso e trascendente, costituendo tutte insieme una specie di Iper-Fisica, più spesso definita Filosofia Ermetica. Altra prerogativa fondamentale di questa Filosofia: non si contentava d’essere puramente speculativa: la finalità da essa perseguita infatti è sempre stata pratica... Diversi anni più tardi, Titus Burckhardt (1908-1984), singolare figura di studioso e cultore delle tradizioni esoteriche, islamista, storico dell’arte, esperto della tradizione manoscritta medioevale, consulente culturale per l’UNESCO, avrebbe riproposto con altrettanta energia di M.Atwood, O.Wirth e J.Evola la necessità di sovrapporre ed identificare ermetismo ed alchimia, onde poter davvero penetrare il senso più genuini dell’opus aurifero: L’alchimia potrebbe anche essere definita come l’arte delle trasfigurazioni dell’anima. Tale definizione non vuole minimamente negare che gli alchimisti abbiano conosciuto e messo in atto procedimenti metallurgici quali la purificazione e la lega dei metalli; ma possiamo comunque dire che il loro più vero intento consisteva nella trasmutazione dell’anima, e che i procedimenti in questione non erano per loro che dei supporti esteriori o dei simboli operativi. La testimonianza degli alchimisti è su questo argomento unanime.[...] Se è infatti vero che le soluzioni, cristallizzazioni, fusioni e calcificazioni di una certa sostanza minerale possono, in qualche misura, essere il riflesso delle mutazioni interne dell’anima, è altrettanto vero che quella stessa sostanza resta sempre e comunque legata ai limiti che le sono propri; al contrario, l’anima è in grado di superare i limiti "psichici" che ad essa corrispondono nel suo incontro con lo Spirito, non vincolato ad alcuna forma. II piombo rappresenta lo stato caotico, pesante e morboso del metallo o dell’uomo interiore, mentre l’oro - "luce solidificata e "luce solidifata" e "sole terreno"- esprime insieme sia la perfezione metallica che la perfezione umana [...] l’alchimia è infatti un ramo o una dimensione operativa dell’Ermetismo... Nel 1926, a Parigi, veniva pubblicata Le Mystère des Cathedrales, opera seguita, quattro anni più tardi, da Les Demeures Philosophales. Entrambi questi libri furono stampati dall’editore Jean Schemit con una tiratura assai limitata: circa 300 copie. Erano stati proposti a Schemit dal Eugène Canseliet e recavano, sul frontespizio, la firma enigmatica del maestro di costui, il quale aveva voluto essere conosciuto solo attraverso uno pseudonimo: Fulcanelli. Il possessore di questo bizzarro nome - che, secondo Canseliet, opportunamente decriptato, deriverebbe da vulcain e soleil, volendo cioè significare Fuoco del Sole - sarebbe pervenuto ad una sensazionale notorietà circa trenta anni dopo la prima pubblicazione delle opere cui abbiamo appena fatto riferimento. Se, infatti, quei due libri venivano destinati ad una più larga circolazione - oltre i ristretti circoli esoterici francesi e internazionali già a conoscenza del primo diffondersi di una vera e propria mitologia intorno al loro misterioso autore - grazie alla ristampa che ne fece Omnium Littéraire nel 1957-58, sarà soltanto dopo il 1960, anno di pubblicazione di Le Matin des Magiciens di Louis Pauwels e Jacques Bergier - un vero e proprio best-seller - che la figura dell’ineffabile Fulcanelli s’imporrà all’attenzione e al dibattito del grosso pubblico. II mito, per così dire, riguarda il fatto che Fulcanelli avrebbe realizzato la pietra filosofale intorno al 1922, raggiungendo così uno stato semi-divino di onniscienza e la possibilità di sottrarsi al normale continuum spazio-temporale; insomma avrebbe conseguito i doni che da secoli la tradizione attribuisce all’adepto che ha compiuto fino in fondo il magistero alchemico: divinizzazione e immortalità. A riprova della veridicità di questi strabilianti accadimenti starebbe la scomparsa improvvisa, nel 1922, e poi le successive riapparizioni, di Fulcanelli stesso; incredibilmente giovane nell’aspetto, nonostante la sua età anagrafica fosse ben più che centenaria. Testimone di tali apparizioni sarebbe stato l’amato discepolo Canseliet, sulla cui onestà, probità, integrità etc..., molti furono pronti a giurare, indiscutibilmente convinti di quanto egli si trovò ad affermare. Di qui, dalla fama di Fulcanelli, di Eugène Canseliet e di quei due libri, stampati la prima volta nel 1926 e nel 1930, la seconda nel 1957-58 e, a partire dagli anni Sessanta, ristampati in francese e tradotti in altre lingue infinite volte, si è originata una vera e propria scuola di neo-alchimisti, tanto esperti - a loro dire- nella corretta e tradizionale pratica ai fornelli, quanto abili e severi nello speculare e discriminare intorno alle giuste o sbagliate chiavi teoriche di cui i veri figli di Ermete dovrebbero essere in possesso. Così, attraverso gli scritti dello stesso Canseliet, di René Alleau, Claude DYge, Guy Béatrice, Séverin Batrfroi, Atorène, Jean Laplace, Paolo Lucarelli, Andrea Aromatico e altri minori, ha finito per imporsi la seconda - e più recente - delle due principali prospettive ermeneutiche maturate in seno agli ambienti esoterici del XIX e XX secolo. Ma qual è l’essenza, il segreto dell’opus alchemico, secondo questi illuminati epigoni dell’ultimo, vero, grande adepto dell’ars regia? Quello che segue è il tentativo di ri-comporre, a partire da un’ingente mole di scritti provenienti da questo stesso ambiente e dalla celebre conversazione intervista di Robert Amadou - esoterologo francese di fama internazionale – con Eugène Canseliet, proprio questa immagine, un’idea forte, perentoria e discriminante dei vero alchimista e della vera alchimia. Claude D’Yge (1912-1964), in una formulazione della sua Nouvelle assemblèe des philosophes chimiques. Apercus sur le grand oeuvre des alchimistes, presto famosa, ribadita e citata innumerevoli volte da tanti condiscepoli, affermerà la necessità, per tutti coloro che ritengono che l’alchimia sia strettamente di natura terrestre, minerale e metallica, di astenersi dal procedere oltre; per tutti coloro che pensano che l’alchimia sia unicamente spirituale, ugualmente di astenersi dal prolungare la propria illusione; per coloro che pensano che l’alchimia sia solamente un simbolismo utilizzato per rivelare analogicamente il processo della realizzazione spirituale, cioè che l’uomo sia la materia e l’athanor dell’opus, la necessità di abbandonare risolutamente questo grossolano fraintendimento. E allora, quale opzione interpretativa rimane? Ce lo dice René Alleau, col suo stile relativamente sobrio e chiarificatore: "Si vede così che errore fondamentale hanno commesso gli "iperchimici" all’inizio di questo secolo, i quali, sotto la direzione di FJollivet-Castelot, ebbero l’intenzione di spiegare "chimicamente" l’alchimia e "alchemicamente" la chimica. Si trattava di misconoscere il senso tradizionale di questo sapere come il valore e l’originalità della scienza contemporanea. Per ciò che concerner le interpretazioni "mistico-morali", familiari ad autori come Eliphas Levi, Péladan, Guaita od Oswald Wirth, perché si vuole che direttive di tale ordine siano state "segrete" e "alchemiche" quando esiste tutta una letteratura mistica specializzata? Basta leggere Maestro Eckart o Ruysbroek per comprendere che esempi tratti dal simbolismo dell’alchimia non provano che si sia in diritto di ridurre l’alchimia a una forma di mistica né, ancora meno, a degli imperativi morali. Se si desidera dunque ricostruire lo scacchiere mentale proprio del pensiero alchemico, conviene ammettere, una volta per tutte, che questo pensiero corrisponde a una disciplina autonoma e che al di fuori del quadro di questa disciplina, ogni interpretazione dei simboli di questa non potrebbe presentare alcun senso coerente [...] L’Adamo minerale è considerato dai Maestri dell’Alchimia come il riflesso dell’Universo e dell’Uomo nello specchio della Natura. Conoscendo le condizioni di trasformazione del Microcosmo Metallico, l’uomo può scoprire e comprendere analogicamente le leggi delle proprie metamorfosi. Purificando e perfezionando il Soggetto dei Saggi, captando e assorbendo infine l’energia, venuta da altri mondi, condensata da questi misteriosi Amanti, l’essere umano dispone di un modo di far discendere la Luce nelle profondità del suo corpo e della sua coscienza. Così la materia di cui ciascuna cellula del nostro organismo è tessuta, se sappiamo modificare la sua catena e la sua trama, rigenera il nostro spirito. Poiché la materia stessa soffre, lotta, tende, come noi, verso la perfezione e ci grida: "Aiutami e ti aiuterò. Liberami e ti libererò".
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