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Nell’antico mito greco la terra era denominata Hera, da identificarsi nella Madre dei Viventi; altri – con concettualità analoga – hanno denominato Hera, la madre degli Heroi, Iside, Madre di Oro, sorella e sposa di Osiride, vedova del consorte ucciso dal fratello Tifone.

Per i massoni, figli della Vedova, tale mito potrebbe ben essere una opportuna segnalazione, volta al fine di almeno tentare di comprendere il senso della frase proposta alla loro attenzione!

La Terra potrebbe essere, alla luce delle considerazioni sinora svolte, appunto quella Hera, od Iside velata, che deve essere conosciuta - ed in tal modo scoperta - perché la coscienza di chi la ritrova possa pervenire allo stato di figlio cosciente e cioè nella condizione del figlio generato da Osiride, il nome del quale è Oro.

L’importanza decisiva della frase, contenuta nell’acrostico V.I.T.R.I.O.L consiste proprio in questo: e cioè che viene dato per vero che l’iniziando ha in se la potenzialità e la capacità di attuare un simile percorso ricognitivo e di svelamento, percorso che lo porterà a ritrovare la fonte della sua essenzialità , la fonte della vita, evadendo in tal modo dalla prigione nella quale è convinto di essere rinchiuso e fuggendo alla condanna alla quale ha egli stesso acconsentito per aver dimenticato la sua origine divina.

Il Percorso che viene quindi indicato è perciò il percorso riservato agli Heroi, ai figli di Hera.

Tale iter da compiere passa necessariamente e si attua, non con la materialità, non con la psichicità, e neppure con l’intelligenza piatta e banale, ma piuttosto con quell’elemento centrale e costituente l’essenza dell’essere, con quell’elemento che si è soliti denominare lo Spirito, il quale pure si assume esser presente nell’uomo come riflesso di un fuoco centrale presente nella manifestazione, che nell’individuo sembra manifestarsi, se ricercato, in atto, quale intelligenza superiore.

La Terra è in realtà l’idea dell’idea e la stessa è conoscibile e percepibile se specchiandosi in essa, dopo averla ricercata, l’essere umano ridesta la sua primigenia Qualità.

A questo punto si potrà accettare che menti che cominciano a risvegliarsi, contestino il metodo adottato del ricorso ad immagini mitiche, per indicare in cosa consista la terra e in cosa consista l’idea dell’idea.

Qualcuno potrà dire che è troppo facile mostrare la Terra in una proiezione d’immagine diversa da quella che usualmente è intesa e poi senza spiegare in concreto in che consista effettivamente la Terra, identificarla additandola come meta da raggiungere in una Iside che alla fin fine se non riportata in termini di concettualità ad immagini conosciute, resta comunque velata.

E se tale critica venisse effettivamente sollevata da chi è ormai interessato al tema, dapprima perché incuriosito dalle anomalie e perché di poi preso dalla tematica, non si potrà che rispondere a chi ripropone in tali termini i quesiti originari, che effettivamente la critica sembra aver giustificazione e fondamento.

Ma prima di rispondere all’obiezione c’è da domandare all’interrogante se non sia già un fatto trasmutatorio l’essersi posto nei confronti di una prospettazione del genere di quella effettuata, in termini critici, un principio di approfondimento serio del tema, e se tale suo atteggiamento non consista già in un inizio di viaggio e al tempo stesso in una trasformazione.

Il porre la domanda può lasciar sperare in una risposta ed anzi, secondo i cabalisti, nella domanda rettamente posta, è già implicita la dovuta ed ineluttabile risposta.

In ogni caso il porre la domanda è già il conquistare per chi la pone uno status diverso dal precedente.

In alchimia si suole indicare tale atteggiamento, quello appunto dello sgombrare l’insieme delle possibili ipotesi da quelle inutili, banali e non concludenti, l’atteggiamento di chi criticamente, mentre tenta di comprendere la dimensione delle tematiche, scarta le prime soluzioni ovvie e banali, l’operazione "del depurare della feccia" la materia prima.

Questa operazione ovviamente segue a quella che la precede che è l’operazione della "putrefazione", operazione che però l’iniziando è già naturalmente venuto facendo ed effettuando nella vita di ogni giorno, tanto che giunta la putrefazione alla sua piena maturazione, ha deciso di morire a tale stato e volendo l’iniziazione, si è apprestato a compiere senza esserne consapevole appieno, quel viaggio che nel gabinetto di riflessione gli viene consigliato.

Il depurare la materia prima dalla "feccia" è - come ognuna delle operazioni della opera - un momento necessario ed importante del viaggio che abbiamo iniziato.

Nella stessa ci si può soffermare, nonostante ogni nostro desiderio umano (anzi forse a causa proprio del nostro desiderare) molto a lungo……...anche per anni, prima di avere dinnanzi a noi chiaro, ormai depurato, pulito e sgomberato da ogni lutulenza e fecciosità, il vero oggetto e la vera materia dell’opera.

L’indicare soltanto l’obbligo del viaggio con il proporre la parola V.I.T.R.I.O.L. senza fornire ulteriori indicazioni a chi anela al superamento dello stato di marcescenza e di putrescenza, di dubbio e di oscurità, di disarmonia e di mancanza di luce nel quale si trova, non è esercizio sadico di chi si compiace di destare o ridestare un fuoco sopito, per poi lasciare insoddisfatto il ricercatore o il questuante.

Il passare per tappe di tal genere è operazione che rende puro l’ambiente permettendo l’identificazione del materiale sul quale lavorare.

E l’ambiente è indubbio che è costituito dallo status interiore dell’operatore il quale impegnato con volontà (e non testardaggine) continua, soffrendo il patos del travaglio, e sempre insiste, necessariamente abbandonando nel corso del travaglio stesso le scorie che impediscono la presa di coscienza dell’oggetto per il quale il percorso si svolge e che,compreso, diverrà la pietra da rettificare .

Lasciare i metalli significa appunto questo.

E a tale operazione di lasciare i metalli si da seguito ancor prima dell’entrata nel Tempio, anche se ciò avviene in termini ancora di inconsapevolezza del significato della operazione che si compie: la stessa continua anche dopo l’iniziazione e comunque deve essere ricompiuta ed riattualizzata ogni qualvolta si lavora nel Tempio.

Il viaggio consiste almeno nella prima fase, appunto in ciò, nel render puri il corpo, la psiche, l’anima e la mente al fine di cominciare a comprendere l’oggetto vero della ricerca.

In tal modo la Terra diviene con linguaggio alchemico, da fecciosa e lutulenta, una terra "alba", cioè chiara, lucente.

È ben vero che nella ricerca la tradizione provoca chi ha ormai iniziato a compiere il viaggio, dapprima stupendolo, poi incuriosendolo, poi rafforzando l’intenzione originaria tesa a far sì che sempre più, l’ambiente (che è stato precisato essere ambiente interiore ed esteriore) divenga pulito e perfetto; il che detto in altro modo è il sollecitare al compiere l’operazione di sgrossare la pietra grezza.

E a volte la tradizione si lascia sfuggire – pur mantenendo il dubbio in termini di proposta ipotetica – che la materia, cioè la Terra da visitare, sia appunto l’idea dell’idea.

Ma sarà veramente da intendere la terra in tal senso?

O non sarà invece ipotizzabile che la Terra, termine certo dell’invito formulato, non consista in realtà in null’altro se non in quelle che potremmo chiamare le strutture del Reale, la conoscenza effettiva delle quali potrebbe essere il compito da portare a termine ?.

Ed in effetti la perfetta conoscenza della sostanzialità della Terra Madre è un fatto che - ben lo si intuisce - una volta che sia stato realizzato, è liberatorio dalle condizioni di ignoranza che lo hanno preceduto, e quindi dai dubbi, dalle incertezze, dalle ombre e dal buio nelle quali il ricercatore si trovava, ed è quindi al tempo stesso un fatto trasmutante, trasformatore dello status nel quale il protagonista della ricerca si era fino a quel punto venuto a trovare.

Conoscere non consiste soltanto in un prendere atto, in un acquisire dati o elementi; ma piuttosto è, e consiste, in termini qualitativi in un trasformarsi della coscienza del conoscitore, ed in termini quantitativi in un accrescersi in estensione ed in profondità degli spazi angusti allo stesso originariamente concessi.

Con il conoscere, la prigione nella quale il condannato è rinchiuso allarga le sue mura, e soprattutto, fatto questo connesso ma ancor più importante, lo stesso dapprima vagamente e poi sempre più consapevolmente intuisce e comprende il perché della condanna.

Per il che può accadere che a volte adotti soluzioni immediate nel corso delle operazioni che va svolgendo di carattere teologico-speculativo a giustificazione della stessa, e a volte faccia scelte sia pur qualificate di tipo religioso per la soluzione finale del problema che si è proposto, che è poi quello del ritrovamento della sua - forse persa? Ma chi lo saprà mai? - Libertà !

Ed è anche certo che la conoscenza dell’Opera rende partecipi dell’opera compiuta, e che chi conosce appieno l’opera, i modi e i termini nei quali la stessa è stata e viene realizzata, è simile al suo Autore, all’Architetto che la ha portata e che ogni giorno che il Sole sorge all’orizzonte, la porta a termine !.

Ed è anche certo che la piena conoscenza del vero, la Verità, sarà quella appunto - come ha detto il Maestro - quella che ci farà liberi!

L’opera del visitare l’interno della Terra consiste appunto in ciò, nell’individuare dapprima, mondato e purificato l’ambiente (e cioè il ricercatore, colui che compie la cerca), l’IDEA, e poi nel penetrare, dopo aver rettificato il nostro abituale modo di intendere il Reale, nel CENTRO DELL’IDEA, perché si possa comprendere e partecipare insieme con l’Architetto, che scopriremo esser nostro Padre, del piano che ci risulterà svelato, costruttivo dei Mondi e della Vita.

Effettuata la prima parte del viaggio, realizzata con la scelta del volere che si accinge ad operare e con la mondatura e la purificazione dell’ambiente, giunti nel luogo laddove è presente l’IDEA - la quale alimenta se stessa con l’alimentare a sua volta le strutture che le danno forma - resta certo che per accedere al Centro dell’Idea è indispensabile compiere e portare a termine l’operazione del rettificare.

La stessa è davvero una operazione decisamente impegnata, difficile da compiersi e soggetta sempre ad essere inficiata da possibili errori e ricadute nel vecchio ed abituale modo di agire, sentire e, soprattutto, pensare.

Il rettificare non consiste necessariamente in una catarsi dei sentimenti che hanno caratterizzato l’anima del ricercatore, o in un agire diverso da quello da sempre tenuto pur se il capovolgimento dei valori e quindi del conseguente sentire ed agire, non è escluso.

Forse è più adeguato il termine "metanoia" al fine dell’intendere in cosa consista il "rettificare", in quanto etimologicamente analizzato, lo stesso termine ci indica un capovolgimento della mente e dell’intendere che implica in parte un andare al di là della mente stessa.

Il rettificare, operazione che apre la porta che da accesso al centro dell’Idea, consiste in un diverso pensare e in un diverso comprendere, consistere nell’accedere - come direbbero i cabalisti - a Daath, la Conoscenza, la Sephirâ incognita posta tra H'cmâ , l’Intelligenza, e Binâ, la Sapienza.

Un comprendere ed un pensare vero e nuovo, l’unico vero, quello che non rifiuta necessariamente l’antico modo di intendere il Reale, ma che piuttosto incasella lo stesso, come uno degli infiniti modi possibili di manifestare ed operare con il pensiero, i tanti modi per i quali è tollerato, patito e sopportato l’errore da ogni aspetto della Vita.

Un modo nuovo di intendere e comprendere per aver accesso al Pensiero Creatore e al Suo operare, che tenga conto, ed il conto, della Parola-Verbo, o del Numero che dir si voglia, sostegno e struttura di ogni cosa creata e della stessa Creazione, di quella Parola-Verbo che scolpisce nella Forma la volontà del Grande Architetto dell’Universo.

L’Alchimia, diceva Artefio, un grande alchimista, ripetendolo nei suoi scritti e ai suoi discepoli, è "un’arte cabalistica" e non arte di fornelli e di alambicchi, oppure arte fatta soltanto di azioni moralmente rette ed eticamente buone.

Con la Parola V.I.T.R.I.O.L. la Tradizione, e con la stessa come al solito saggiamente la Massoneria, ci trasmette pertanto e non soltanto il senso e il significato della dovuta e mai soddisfatta ricerca da parte dell’Uomo, del Vero, del Bello e del Giusto, ma anche ci porta a conoscere la Materia prima dell’Opera e l’essenziale strumento operativo per la realizzazione della stessa.

Se la scienza moderna, ricca di tanti orpelli ed anche di importanti risultati, appiattita sull’orizzontale dell’utile da conseguire e dei vantaggi da ricavare e far ricavare in funzione del predominante dominatore degli interessi umani, il danaro, comprendesse il senso e il significato dell’insegnamento che con tale termine viene trasmesso, ben altre sarebbero le attuali vicende dell’Umanità!

Le spade sarebbero trasformate in vomeri e il leone pascolerebbe con l’agnello perché la Scienza divenuta Co-Scienza, sarebbe salita verso l’Alto e nell’Interiore attingendo il suo ritrovare alla Conoscenza Suprema.

E poiché la Tradizione, se ben trasmessa e se debitamente tutelata, è provvida per il ricercatore sincero ed instancabile, la stessa con le parole V.I.T.R.I.O.L e V.I.T.R.I.O.L.U.M. ci segnala anche alcune delle tappe obbligate del percorso che la nostra intelligenza superiore, ormai disposta a rettificarsi, dovrà compiere per ogni ulteriore intendimento.

Le quali sono poi quelle della effettiva conoscenza del vero valore dei numeri Sette e Nove.

E Conoscenza non significa certo ne comprensione, ne cognizione, ne stima quantitativa del dato.

La parola V.I.T.R.I.O.L, composta di sette lettere come le parole A.G.D.G.A.D.U. ed A.U.T.O.S.A.G., quasi prendendoci per mano ci introduce per mezzo della V (lettera vav, oppure valore 5 ?), al mistero del settenario, al fine di far sì che conosciuto il fecondo eterno operar dell’enneade, sia possibile intelligere ed inter leggere il Supremo mistero dell’Uno, che è quattro e che è sette, perché il Dieci si compia.

 

P

A

 V  I    N   U  M

E

M

 

V I T R I O L U M

Sostituendo la N centrale delle parole panem e vinum con la 3a, 4a, 6a e 7a lettera della parola vitriolum avremo le parole Patrem e Fiolum (e ciò in quanto la "V" di vinum, foneticamente e simbolicamente è assimilabile e sostituibile con la "F" del parlare corrente).

 

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