LA TORAH SCRITTA

Nel Pentateuco il riferimento più importante è in quei noti versetti del Genesi (15:5-6) in cui Dio rassicura Abramo che negli astri aveva visto la mancanza di discendenza:

"Lo fece uscire all’aperto e gli disse: ‘Osserva il cielo e conta le stelle, se puoi contarle. E soggiunse: così numerosa sarà la tua discendenza. Egli ebbe fiducia nel Signore che gliela ascrisse a merito"

Nel successivo versetto si consuma il definitivo distacco dall’astrologia: "… Io sono il Signore, io ti ho fatto uscire da Ur, città dei Caldei, per darti questa terra" (15:7). La terra promessa è la terra di Israele dove le leggi dell’astrologia sono superate dalla Legge del Signore. Distacco, dunque, superamento ma non rifiuto dell’astrologia e, anzi, da questo momento si aprirà una polemica in seno all’ebraismo: solo Israele si sottrae all’influenza degli astri (Ein mazal le Israel), non altrettanto possono tutte le altre nazioni. Pure, in questa separatezza dichiarata del popolo eletto, che tanti argomenti di comodo ha fornito all’antisemitismo, si può cogliere una legge universale. Non si tratta di credere o non credere nell’astrologia, argomento in sé futile e privo di interesse, ma di riconoscere che al di sopra dei pianeti, degli astri e delle sfere rotanti nel cosmo, c’è un principio ‘sottile’ che governa l’universo e che a chiunque è dato di uscire da Ur dei Caldei… a patto naturalmente che vi sia entrato una volta e abbia scrutato profondamente nei cieli. La Pompeo Faracovi assimila questa concezione all’esortazione contenuta negli Oracoli Caldaici di non aumentare il destino (non creare altro karma direbbe un orientale)e anzi di oltrepassare la natura che del destino è l’interprete fatale. Più ancora l’avvicina alle concezioni gnostiche ed ermetiche per le quali le ferree leggi degli astri governano i corpi ma non lo spirito. Scrive: "La fatalità incombe sul mondo materiale, ma il popolo di Dio ne è immune; nella prospettiva del singolo, ciò significa che la pratica esemplare dei comandamenti (mitzvoth) ha l’effetto di una forma di emancipazione dal destino, parallela, dunque, all’illuminazione degli gnostici e alle mistiche esperienze rigeneratrici degli ermetici." Affermazione, questa, sicuramente non proponibile per lo gnosticismo che tanto rigidamente distingue tra spirito e materia e che può proporsi con molte perplessità nei confronti dell’ermetismo. Esseri a più piani, per i seguaci di Ermete, sul piano fisico gli uomini dipendono interamente dalle leggi planetarie e se non si esercita la libertà dei piani superiori, si resta invischiati nella fatalità del piano astrale. Zosimo di Panopoli , l’inventore dell’alchimia greca, interpretando la lezione di Ermete Trismegisto, si pone il problema se l’opera di trasformazione dell’uomo non cominci proprio con la trasformazione del proprio destino. Occorre cioè oltrepassare l'Eimarméne, la fatalità cosmica che governa la materia. Solo coloro che approfondiscono la conoscenza di sé, si liberano dalle catene della necessità astrologica e, al tempo stesso, ridestano la scintilla divina che è in loro. Tutti coloro -osserva ancora Zosimo, nel Commentario alla lettera Omega- che subordinano l’inizio dell’Opera alla buona disposizione degli astri, individuando il kairos o momento opportuno, consacrano le proprie energie all’Eimarméne che governa il mondo corporeo, cioè proprio a quel mondo che dovrebbero trasformare per scoprire l’oro della condizione originaria. Costoro sono uomini senza intelletto, solo pupazzi nel corteo della Fatalità. Dal canto suo, l’uomo pneumatico o spirituale lascia che la Natura agisca secondo Necessità preoccupato solo della propria e dell’altrui trasformazione, né ritiene che conoscendo le cose spirituali (asomata) possa facilmente governare quelle materiali (somata) perché, al contrario, più egli si avvicina alla realtà noetica e all’Uno, più diventa incapace di intrattenersi con il mondo in cui regna l’Eimarméne e l’avvicendamento degli opposti. Ciò che l’uomo pneumatico scopre in questa ricerca è bensì l’uomo originario, l’Adam-Theuth della tradizione ebraico-egizia.

Come si vede, molti punti di contatto ma anche molte differenze: nell’ermetismo permane una sorta di dualismo anche se l’iniziato (l’uomo pneumatico) non se ne cura, nell’ebraismo, al contrario, lo spirito che fa uscire Abramo, l’eletto, da Ur dei Caldei è lo stesso spirito che muta le leggi della natura.

Concetti analoghi a quelli già espressi in Genesi 15:5-7, sono contenuti in un altro brano della Thorah. Questa volta però in modo molto più esplicito e che non lascia adito a dubbi:

"Guardatevi parimente, alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna e le stelle, tutte le schiere celesti, di non traviarvi prostrandovi loro e servendoli, poiché il Signore tuo Dio li ha assegnati a tutti gli altri popoli che abitano sotto tutti i cieli; mentre il Signore prese voi e vi fece uscire dal crogiuolo del ferro, dall’Egitto perché foste per Lui un popolo Suo possesso speciale come siete oggi"

É dunque ribadito il principio di Ein mazal le Israel e l’uscita dall’Egitto prende qui il posto dell’uscita da Ur dei Caldei, nel senso cioè di un invito ad abbandonare comportamenti e leggi che regolano il destino di tutti le altre nazioni e di cui l’astrologia è certamente il simbolo più importante. Quel che mi preme sottolineare, tuttavia, è che neanche qui è negata la verità dell’astrologia, tant’è che tutti i popoli della terra ne sono sottoposti. Tutti, tranne il popolo eletto. Ma anche ora l’apparente separatezza e faziosità addita la strada dell’universale: l’ebreo si affranca solo in quanto è parte di un popolo che esce da Ur dei Caldei e dall’Egitto, in quanto cioè si fa iniziato in un popolo di iniziati. Infine, la condanna dell’astrologia formulata nel passo biblico è in realtà la condanna dell’idolatria.

Altri passi della Thorah non modificano i concetti già esposti: in Levitico 19:26 e ancora in Deuteronomio 18:10 si esprime la condanna di maghi e indovini che solo con una certa approssimazione possono essere assimilati agli astrologi.