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"Logos" e "astri"… I due termini costituiscono insieme la parola astrologia.

Propriamente,in base alla sua specifica valenza semantica, questo nome composto implica che esista un linguaggio razionale, dunque scientificamente significativo, connesso in qualche modo agli astri.

Il termine logos infatti, sin dall’epoca classica ellenica fino alla fondamentale accezione che la scuola filosofica stoica volle attribuirgli (gravida di conseguenze sulla "fortuna" del vocabolo in esame), a secondo dei contesti in cui viene utilizzato, può essere tradotto con "ragione", "regola", "giudizio", "causa", "legge", "argomento", "intelligenza", "discorso".

Esso, quale che sia la "materia" o il "nome" cui viene affiancato, mantiene intatto il suo valore ordinativo e chiarificante, quasi come sigillo e garanzia d’intelligibilità e intelligenza da sovrapporre al caos delle parole e delle cose.

Astrologia…Logos degli astri…Ma esiste, è rintracciabile davvero un "discorso" razionale, un tessuto intelligibile ed espressivo, una scienza connessa alla stasi e al movimento di alcuni corpi celesti in relazione a quelli terrestri?

Qualcuno sostiene di no. E allora, per riferirsi ad un corpus di dottrine " razionali" riguardante pianeti, stelle, luminari e gli altri elementi costituenti la grammatica celeste, usa un termine più illibato: astronomia.

In questo caso agli "astri" è affiancato nomos che può essere tradotto con "prescrizione", "legge", "costume", "consuetudine", "regola".

Un termine più sobrio, meno ridondante e pretenzioso del magniloquente logos, più adeguato al senso di ridimensionamento di cui vuole essere emblema nelle intenzioni di alcuni.

Insomma alla vetusta astrologia, arte superstiziosa, infondata e garrula, occorre contrapporre la moderna astronomia, uno dei parti nobili, austeri, onesti, sobri e veritieri della rivoluzione scientifica, progressista e trionfante contro le tenebre d’ignoranza che afflissero l’umanità...

Tuttavia chi scrive è da sempre alquanto scettico e diffidente rispetto agli "evoluzionisti", ai "progressisti", "positivisti", "razionalisti", "scientisti"… Almeno quanto lo è agli "involuzionisti"e ai "tradizionalisti", nostalgici di lontane età dell’oro delle civiltà e delle conoscenze.

Forse la ricerca storica e la riflessione filosofica ed epistemologica sono, invece, ai nostri giorni, abbastanza raffinate e consapevolmente duttili e spregiudicate per riconsiderare interamente la secolare querelle sull’arte di Urania.

Sarebbe davvero auspicabile uno studio sull’astrologia che fosse parimenti indagine filologica rigorosa di testi e dottrine - collocate senza arbitrii nel reale contesto culturale e sociale in cui si svilupparono - e valutazione precisa dei fondamenti teoretici che presiedettero e tuttora presiedono al sapere astrologico.

Un progetto storiografico siffatto dovrebbe coniugare una sufficiente padronanza di ‘strumenti’ storico - critici e una ‘robusta’ conoscenza ‘dal di dentro’ delle teorie astrologiche e del complesso patrimonio ‘sapienziale’ e tecnico - dottrinario da esse presupposto.

D’altra parte, è piuttosto fondato ritenere che, se una ricerca di questo tipo non è stata ancora compiuta efficacemente da alcuno studioso, ciò non vada affatto ascritto a motivazioni contingenti o casuali.

Nel XX secolo, un’opera pionieristica famosa fu la Storia dell’astrologia di F.Boll, C. Bezold, W. Gundel, ( 1917).

All’incompetenza specifica dimostrata su ampie‘zone’ della materia trattata, questo libro aggiungeva ‘solidi’ pregiudizi di varia natura, inammissibili per la teoria e la pratica storiografica.

Se lo storico ritiene, trattando e analizzando una qualche tradizione filosofica, religiosa o cosmologica, di dover esprimere giudizi di valore, approvazioni o disapprovazioni intellettuali o sentimentali, dichiarazioni previe di ‘lontananza’ o ‘vicinanza’ al tema trattato, ebbene quello studioso ha abdicato ai principi del suo mestiere. I quali principi gli impongono di dichiarare preliminarmente i presupposti metodologici e teorici in senso stretto e "tecnico" della sua indagine interpretativa (poiché non esiste analisi storica che non ne abbia, come non esiste storico o essere umano privo di una qualche Weltanschauung, magari inconsapevole).

Gli stessi principi gli impongono altresì di non cimentarsi sul valore etico o sulla "verità" di una dottrina che, per avventura, si trovasse ad onorare della sua attenzione di ricercatore.

Di quale "rigore" darebbe prova uno storico del cristianesimo di religione islamica che, ad un certo punto della sua "ricerca", biasimasse e ridicolizzasse le dottrine cristiane in quanto false e blasfeme rispetto alla sua fede? O uno storico cristiano dell’ebraismo che rimproverasse ai "figli di Abramo" il "deicidio" e l’incomprensione della venuta del messia?

Dal primo, se l’oggetto del suo studio è, ad esempio, la comparazione del ruolo e della figura del profeta nell’ambito delle cosiddette "religioni del libro", ci aspettiamo che tratti sapientemente e sobriamente questo tema, tralasciando di dirci, come "privato" credente, che l’Islam detiene il "giusto" e "vero" modo di presentare la questione.

Dal secondo, in sede storica, ci interesserà magari vedere delineati i rapporti che intercorsero tra i giudeo - cristiani e i giudei rimasti ortodossi, negli anni in cui l’aderenza alla nuova fede non sembrava abrogare il senso di appartenenza all’antica legge dei padri d’Israele, e così via…

Analisi dei dati disponibili, a partire da presupposti preliminarmente dichiarati (perché ciascuno si avvale di determinate e determinabili categorie "ermeneutiche" - giova ripeterlo - e la "storia" o lo storico non hanno mai potuto prescinderne; esiste però la differenza perspicua tra chi rende palese la propria griglia interpretativa e chi affetta "neutralità impossibili, al cui riparo porre le proprie occulte e indebite istanze", spacciandole per oggettiva ricostruzione storica); questo è necessario "pretendere".