Fa veramente piacere constatare che il progresso e la diffusione della cultura abbiano fatto piazza pulita, ormai da qualche decennio, delle spontanee associazioni mentali che venivano suggerite dalla parola Cabala, Alchimia e simili. L’Alchimia faceva subito pensare a un esercito di cialtroni o, nel caso migliore, ad esseri ancora primitivi che passavano la vita chini su fornelli, dai quali lunghe ebollizioni di sterco, o altre sostanze avrebbero dovuto far scaturire monete d'oro; la cabala, invece, induceva piuttosto il pensiero alla smorfia e al gioco del Lotto. Non molto discosta da questa era anche la mentalità degli studiosi; per cui ricerche monumentali come quelle del Kopp e del Lippmann sull'alchimia erano viziate dal fondamentale pregiudizio di voler prendere la storia dell'alchimia per una preistoria, in verità alquanto bizzarra della chimica moderna (su questa stessa linea è, per esempio la voce "alchimia" dell'Enciclopedia Treccani). Quanto alla cabala, tra i pochi scienziati ebrei che ad essa si erano avvicinati con diffidenza alcuni, avendone rilevato il carattere « irrazionale » (termine che per la mentalità razionalistica ottocentesca equivaleva a " stravagante" o "pazzoide"), attribuiva il nascere e lo svilupparsi di essa ad uno spontaneo moto popolaresco di reazione contro la sistematicità del pensiero filosofico. È grande merito di studiosi quali Silberer, Jung, Eliade, Burckhardt per citare solo i maggiori, aver aperto una nuova strada nella ricerca del significato dell'alchimia e averne riconosciuto le finalità spirituali. Per quanto riguarda la cabala, la situazione differisce in questo: quello che per l'alchimia fu il frutto di due momenti distinti, il primo di storia della letteratura alchemica e il secondo di interpretazione, opera di due generazioni diverse di studiosi, può riunirsi, per la cabala, nell'opera di un solo scienziato, cioè lo Scholem. I lettori italiani già conoscono "Le grandi correnti della mistica ebraica", grande opera di sintesi in cui la cabala per la prima volta viene divisa in scuole e studiata nel suo sviluppo storico, dalla mistica della Merkabah, che ne costituisce l'antecedente gnostico, attraverso il periodo aureo rappresentato da Abulafia, dallo Zohar, dal hassidismo tedesco medievale, fino alla grande fioritura di Safed, al sabbatianesimo, al hassidismo moderno. Attirandosi il disprezzo di tutti i circoli tradizionali e l'ammirazione di tutti gli studiosi laici, Scholem applicò allo studio dei testi cabalistici quel rigore filologico e storico-critico che lo portò ad abbassare date, a riconoscere come pseudoepigrafe varie prestigiose attribuzioni, a rivalutare storicamente figure su cui era caduto l'anatema dell'ortodossia rabbinica, e così via. In questo lavoro sulle origini della cabala, Scholem si occupa di un periodo che nelle Grandi correrti aveva toccato soltanto di sfuggita, ma che aveva ampiamente trattato altrove in due riprese, la prima volta in una traduzione con commento del Sefer Bahir e la seconda nell'operetta ebraica Reshit ha-Qabbalah, per molti aspetti ancora non superata dalla qui presente e più vasta ricerca. Come il lettore vedrà per suo conto, queste origini della cabala si riferiscono a un'epoca che va all'incirca dalla metà del XII secolo alla metà del secolo successivo e a una regione che va dalla Provenza alla Spagna settentrionale. La scoperta dello Scholem consiste nell'aver rilevato, attraverso un accurato lavoro di ricerca delle fonti, che il Sefer Bahir, testo fondamentale della Cabala prima che lo Zohar venisse a soppiantarlo alla fine del XIII secolo, era stato redatto su materiali più antichi di varia provenienza, tutti con caratteristiche gnostiche. Attraverso il Bahir perciò, il pensiero gnostico mitopoietico fece la sua ricomparsa all'interno del giudaismo e, da quel momento, avrebbe caratterizzato per secoli quella che oggi, grazie proprio agli studi di Scholem, può essere definita, religiosamente e culturalmente, come la corrente più vitale e originale del giudaismo, la cabala appunto. Questo carattere gnostico della cabala ci permette di fare alcune considerazioni tipologiche utili a situare la mistica ebraica nella storia delle idee. Elementi distintivi di ogni forma di gnosi sono il valore soterico della conoscenza, il segreto cui sono rigorosamente tenuti tutti coloro che di questa conoscenza sono partecipi, l'idea che all'interno dell'uomo esiste una scintilla di natura divina (neshamàh) in ebraico) oltre alla psiche individuale (nèfesh). A tutto ciò deve aggiungersi la concezione cosmica secondo la quale, conformemente a quanto avviene nell'uomo, il mondo divino, il pleroma degli gnostici greci (malé' per i cabalisti), luogo di assoluta perfezione e armonia, si dispiega in una serie di manifestazioni (in greco eoni, in ebraico sefiròt) dalle quali esce, in una sorta di dramma cosmico, il mondo inferiore della materia. Questo dramma, che è scissione di un'unità primigenia, deve essere riparato, tanto nell'uomo quanto, sempre attraverso l'opera umana, nel cosmo, da una lunga opera reintegrativa che culminerà in un atto sacro, rappresentato dal mito in forma di matrimonio mistico. Martin Buber, che è d'accordo con Scholem nel definire la cabala come gnosi del giudaismo, osserva che si tratta dell'unica forma antidualistica di gnosi, riferendosi con questo all'integrazione dell'eone potenzialmente malefico nell'unità complessa delle sefiròt. Ora, la caratterizzazione nel modo di cui sopra delle dottrine cabalistiche, fa sì che la mistica giudaica possa essere messa in relazione tipologica con movimenti spirituali analoghi, ad essa contemporanei. Il pensiero va soprattutto all'alchimia, della quale non a caso parlavamo all'inizio, a certe correnti magico-ermetiche, a certe eresie cristiane alle quali si riferirà lo stesso Scholem e, se estendiamo lo sguardo verso oriente, allo yoga, almeno per certi aspetti. Il caso dell'alchimia è singolare. Profondamente nutrita di idee gnostiche, vissuta anzi a stretto contatto con lo gnosticismo greco, essa scomparve praticamente in occidente seguendo le sorti dell'eresia gnostica, perseguitata e sterminata dalla chiesa. Ma a differenza dello gnosticismo l'alchimia fu salvata dagli arabi, e dagli arabi, che molto la arricchirono, fu restituita all’occidente. Per quanto non vi sia qui lo spazio per un esame approfondito dei rapporti tra cabala, alchimia e altri movimenti che pure possono essere definiti di tipo gnostico per la loro struttura, basterà qualche accenno a un fatto importante, alla constatazione cioè che queste affinità tipologiche non sono soltanto riconosciute dalla ricerca moderna, ma che erano già chiaramente percepite dai cultori stessi di quei movimenti. Accenni a pratiche alchemiche si trovano già nello Zohar e nello stesso Bahir, ma qui ci piace ricordare un testo del XVI sec., opera probabilmente di un ebreo italiano, in cui all'identità delle dottrine cabalistica e alchemica viene data una specie di definitiva sistemazione teorica. L'originale ebraico, dal titolo Esh mezaref (fuoco trasmutatore) è andato perduto, ma ne abbiamo ampie citazioni nella traduzione latina del mistico tedesco Christian Knorr von Rosenroth: "Sappi - cito dalla straordinaria versione di G. Pagani Cesa - che i misteri di questa sapienza (cioè dell'alchimia) non sono dissimili dagli altri misteri della cabala... Ciò che sono le sefiròt nel mondo superiore e in quello delle manifestazioni, esse lo sono anche nel regno comunemente chiamato minerale" e segue una tabella di rapporti in cui a ogni sefirà corrispondono due elementi alchemici, per cui Keter è nella cabala ciò che la Radice metallica o ('Aqua crassa sono in alchimia, Hokmàh corrisponde al Piombo o al Sale, Binàh allo Stagno o allo Zolfo, Hesed all'Argento, Geburàh all'Oro, Tifèret al Ferro, Nèzah e Hod al Bronzo, Yesòd all'Argento vivo o al Piombo e Malkùt alla Medicina metallica o all'Aqua auri. Particolarmente interessante è l'identificazione delle tre sefiròt superiori, Kèter, Hokmàh e Binàh, con i tre principi cosmici Mercurio (Aqua crassa), Sale e Zolfo, i quali secondo l'alchimista Ruland costituiscono la prima materia universale (nihil enim est in tota rerum natura quod non ex istis tribus consistat). L'accostamento agli analoghi tre principi indiani tamas, raias e sattva, fatto dal Bernoulli, sembra appropriato. Se tutte queste affinità sono diventate oggetto di sistemazione teorica in epoca relativamente tarda, non anteriore al Rinascimento, è però chiaro dagli accenni sparsi nei testi che, come dicevamo prima, esse sono state notate in epoca assai più antica. La facile percezione delle affinità doveva, del resto, trarre in inganno quegli studiosi, cui accenna lo Scholem, i quali ritennero di dover far discendere la cabala dal sufismo o da fonti midrashiche alessandrine, perché nell'uno come nelle altre avevano rilevato qualcosa che era comune anche alla cabala e che noi ora sappiamo doversi non tanto a contatti storici quanto a relazioni fenomenologiche. Se adesso ci domandiamo quale sia il valore delle dottrine cabalistiche per l'uomo o, in altri termini, quali siano le risposte da esse date, in quanto "visione del mondo ", ai problemi dell'esistenza, ci addentriamo in un campo che è al di fuori del dominio dello storico o del fenomenologo, intesi almeno nel senso più stretto. Eppure, il rinnovato interesse del pubblico per la cabala, per lo yoga e per numerose altre "vie di liberazione" orientali e occidentali pone proprio un problema di valore e di significato, al quale è necessario rispondere. Nel tentativo di dare questa risposta, dobbiamo soffermarci su due aspetti che caratterizzano la cabala non meno di quelli accennati più sopra e che come tali, cono stati giustamente sottolineati dallo Scholem. Il primo consiste nel fatto che la cabala è nata da bisogni specificamente religiosi interni al giudaismo e non da apporti culturali esterni. In questo senso essa è espressione genuina e profonda dell'anima ebraica, differendo perciò in maniera sostanziale dalla filosofia, nella quale l'apporto greco ed arabo fu determinante. Il secondo fatto importante è costituito dalla forma mitopoietica in cui si esprime la creatività della cabala non meno delle altre forme di gnosi. Questo motivo, che è uno dei caratteri distintivi fondamentali dei movimenti spirituali del tipo di quello cabalistico rispetto all'ortodossia religiosa, è stato ampiamente sottolineato dal Buber, il quale, nell'introduzione alla sua Leggenda del Baal-shem si esprime così: "Fin dai tempi più antichi [della storia ebraica] nacque e si sviluppò la capacità mitopoietica che - al giorno d'oggi - anima il hassidismo. La religione di Israele si è sentita minacciata in ogni epoca da tale corrente, ma è proprio da questa, in realtà, che la religiosità ebraica ha ricevuto, in ogni epoca, la sua vitalità interiore. Tutte le religioni positive si fondano su un'enorme semplificazione delle divoranti forze selvagge e polimorfe che ci invadono: è il modo di sottomettere la pienezza dell'esistere. Tutti i miti, al contrario, sono espressione della pienezza dell'esistere, ne sono l'immagine, il segno; essi attingono incessantemente alle abbondanti sorgenti della vita. Perciò la religione combatte il mito, quando non riesce ad assorbirlo e a incorporarlo. La storia della religione ebraica è in gran parte la storia della sua lotta contro il mito". Il fatto importante di fronte al quale ci pongono le parole del Buber, conformi del resto a quanto dice lo stesso Scholem in questa come in altre sue opere, è l'origine é la funzione psicologica del mito. Se accettiamo questa come un'ipotesi di lavoro, allora ci vediamo autorizzati a poter dire della cabala, quello che é stato detto di altri sistemi ad essa analoghi, almeno nei fini ultimi , (come l'alchimia, lo yoga, lo zen ecc.) e cioè che si tratta di un sistema psicointegrativo. Dobbiamo pensare, insomma, che il mito, vissuto e praticato continuamente nel rito, sia una specie di sistema atto a organizzare e unificare le forze dell'inconscio, spontaneamente prodotto e diretto verso la rigenerazione. Un esempio servirà a chiarire tutto ciò. Prendiamo un elemento particolarmente significativo della cabala come le nozze mistiche. Scholem dedica ad esso i capitoli VII e VIII di questo libro e in essi il lettore troverà tutti i dettagli che desidera, ma per render più chiaro quanto stiamo per dire possiamo isolare qui i dati essenziali del processo. C’è una parte dell'uomo, rappresentata dalla sua sessualità, che è la sintesi di base, il Fondamento (Yesod), della sua struttura mentale superiore. L’idea è anche fisicamente rappresentata dal cervello che, nella fisiologia dei cabalisti, attraverso la colonna vertebrale, riversa nel seme le sue potenzialità. Accanto a Yesod, che fa la parte del maschio o di sposo, si trova un altro aspetto della struttura psichica, chiamato Šekinah, che ha il ruolo di partner femminile. Nel macrocosmo Šekinah è la manifestazione ultima di Dio, il mondo delle forme, nell’uomo è l’anima che tende a riunirsi con il suo sposo naturale. Purtroppo quest'unione e impedita dalle impurità cui l'anima stessa è macchiata e queste impurità la costringono all'esilio, drammatica causa, per lei, di dolore, di solitudine e di pianto. Non è chi non veda, da questi brevi accenni, che ci troviamo di fronte a un ennesimo aspetto di un mito largamente noto. Gli alchimisti parlano della coniunctio tra rex e regina, i cristiani sposalizio mistico tra Clisto, e la sua chiesa (concezione quest'ultima analoga a quella ebraica della Šekinah, che è anche l'anima collettiva di Israele). l'iconografia tantrica è piena di rappresentazioni in cui Shiva e Shakti appaiono strettamente allacciati e così via. La proposta di leggere tutto ciò in chiave endopsichica e più precisamente come riferimento a un processo psicointegrativo, non è soltanto, come da molti si crede, un qualunque metodo ermeneutico alla stregua di tanti altri, ma trova la sua giustificazione, a nostro parere, in alcuni dati significativi presenti nei miti stessi o nelle parole con cui gli autori ce li presentano. Si può dire a tale proposito, che tutta la mistica erotica indiana ha per obiettivo esplicitamente dichiarato la perfezione dell’uomo, identificato con la coppia divina; del pari, in tutt’altro ambiente, non è meno esplicito l'accenno degli alchimisti al fatto che la materia dell'Opera è l'uomo e che la coniunctio è una realizzazione interiore alla quale partecipano spirito e anima. Esplicita, in questo senso, appare anche la letteratura cabalistica che riferisce all'uomo, sia pure nella sua struttura primordiale (Adàm qadmòn), l'unione mistica di Yesód e Šekinah. Ma il riferimento all’uomo comune è assai più chiaro nei testi più tardi, in cui l'opera del singolo è indispensabile alla ricostituzione di quell'unità originaria che il peccato del primo uomo aveva scisso. È alla luce di ciò che possiamo quindi intendere la cabala come una tecnica di rigenerazione dell’uomo nella quale intervengono due fattori, l'uno maschile, spirituale, che discende dall'alto verso il basso lungo la colonna vertebrale, l'altro femminile, psichico, che tende invece verso l'alto. Se ciò vada inteso nel senso tradizionale che le forze intellettuali debbono collaborare con quelle istintive, opportunamente purificate, per l'avvento di uno stato di essere nuovo nell'uomo o se in quello della moderna psicologia del profondo per la quale si tratterebbe di porre in relazione conscio ed inconscio, in maniera tale che il primo possa utilizzare le energie del secondo per esprimersi creativamente, può essere lasciato alla scelta di ciascuno: il fatto importante da osservare è la centralità di cui l'uomo gode nella dottrina e nella tecnica cabalistica. "Il sacrificio unisce la comunità terrena di Israele con la comunità celeste, affinché il tutto sia Uno ... Questo è il mistero dell'unione del maschio con la femmina e ciò è provocato dall'uomo, ecc." dirà più tardi lo Zohar (III, 26a) ed è non poco impressionante apprendere che questa sacra unione è frutto di uno stato beatificante di amore, molto più concretamente sentito di quanto non crederemmo a prima vista, forte come è in tutti noi la tentazione intellettualistica di vedere ciò che è religioso in termini "simbolici" astratti ed avulsi dall'esperienza concreta. "Il desiderio che la femmina prova per il maschio si risveglia solo quando lo spirito del maschio la penetra: solo allora la femmina gonfia le sue acque verso la materia fecondante del maschio che sta in alto... In quel momento la voluttà diventa uguale, cioè comune al maschio e alla femmina, così che maschio e femmina formano un solo fascio, un solo nodo. Questo stato è uno stato gaudioso" (Zohar I, 60 b). Franco Michelini Tocci |