La Madre (Ima) presta le proprie vesti a sua Figlia (Malcouth)

 

 

 

Proseguendo nel suo discorso, Rabbi Shimon, aggiunse: Così il cielo e tutti i corpi celesti sono stati creati con l’aiuto di "Mâ", perché è scritto (Salmi VIII,4): "Quando considero i tuoi cieli, opere delle tue mani, ecc." e precedentemente (Salmi VIII,2): "Eterno nostro Dio Mâ (hm = Che cosa), il tuo nome è ammirabile su tutta la terra, te che doni i tuoi gioielli al cielo". "Al cielo", ovvero per aggiungersi al suo nome, perché una luce crea l’altra; una riveste l’altra ed entrambe si uniscono al nome in alto. Tale è il significato delle parole: "In principio Dio creò Élohïm". "Êléh" aggiungendosi a "Mi", che è in alto, compone "Élohïm", perché "Mâ, in basso, non esisteva ancora e fu creato soltanto nel momento in cui le lettere emanarono le une dalle altre.

 

 

 

"Êléh" dell’alto verso "Êléh" del basso; come dire, la madre prestò alla figlia i suoi vestiti e la adornò con i suoi gioielli.

Quale è il momento in cui essa, come si conviene, la adorna con i suoi gioielli? Nel tempo in cui tutti i maschi si presentano dinanzi al Signore onnipotente, com’è scritto (Esodo XXIII,17): "Tutti i maschi si presenteranno tre volte l’anno dinanzi al Signore Dio".

Ora questi è chiamato "Signore", proprio come è scritto (Giosuè III,11): "L’Arco dell’Alleanza, Signore di tutta la terra". Per cui, se si sostituisce la ä (Hé) di "Mâ" (äî), che è l’immagine del principio femminile, con la lettera é di "Mi" (éî), che è la rappresentazione di quello maschile, e se vi si aggiungono le lettere di "Êléh", emanate dall’alto, grazie ad Israele, si forma Élohïm del basso.

 

 

 

Tale è l’accezione delle parole scritturali: " Le mie lacrime sono state il mio pane giorno e notte, e sempre chiedendomi: Dove è il mio Élohïm? (Salmi XLII). Mi sono ricordato di Quello (Êléh) e ho riversato la mia anima all’interno di me stesso". "Mi sono ricordato di Êléh e ho pianto"… ho pianto per far emanare le lettere le une dalle altre, per far emanare "Êléh" e formare "Élohïm", come è detto: "Le farò discendere" dall’alto "fino alla casa di Élohïm", in basso, per formare un "Élohïm" simile a quello in alto. Con quale mezzo? "Con canti e azioni di grazia".

Pronunciate queste parole, Rabbi Shimon si sciolse in lacrime interrompendo il suo discorso. Approfittando della pausa, Rabbi Elèazar, esclamò: Il mio silenzio ha promosso il discorso di mio padre sull’edificazione del Tempio in alto e di quello in basso; così è testimoniato il proverbio che recita (Talmud tr. Meguilla 17b e Bamidbar Rabba sezione Balak): "La parola vale un silco, ma il silenzio ne vale due". Le parole che ho pronunciato, infatti, valgono un siclo, ma il silenzio che ho mantenuto in seguito vale certamente per due, giacché proprio grazie ad esso ho appreso che Dio ha creato contemporaneamente i due mondi, quello in alto e quello in basso.

 

 

 

Rabbi Shimon proseguì: Andiamo ora a considerare la seconda parte del versetto ricordato: “Che fa uscire (Isaia LX,26)”.

Con queste parole la Scrittura accenna a due ipostasi, di cui una, “Mi” (ym), fa uscire l’altra, “Mâ” (hm). Quantunque la Scrittura impieghi il termine “uscire”, il “Mi” dell’alto e il “Mâ” del basso sono, in verità, una sola e identica cosa; e quando si legge che “Mâ” esce da “Mi”, non bisogna intenderlo alla lettera. Proprio come nella benedizione che si pronuncia prima di mangiare il pane (Talmud tr. Berakhot 35a): “Benedetto sia Dio, nostro Signore, Re dell’Universo, che fa uscire il pane dalla Terra”, dove la parola “uscire” non è intesa alla lettera.

“Le loro armate nel numero” (Isaia LX,26), vale a dire Seicentomila, e tutte come un solo uomo. Sono le armate di “Mi” e quelle di “Mâ” (Zohar II,138b e 168b). Non si parla qui delle classi, poiché le loro suddivisioni sono incalcolabili.

“Chiamò con il nome” (Isaia LX,26). Cosa significano queste parole?  Forse che egli li chiamò con i loro nomi? Ma in questo caso si sarebbe detto: con il proprio nome (vale a dire, ognuno con il proprio nome). In verità ecco quello che queste parole significano: “Quando questo grado non era ancora entrato nel nome, e si chiamava soltanto “Mi” (ym), egli (Dio), benché tutte le cose fossero presenti in lui, non le creava né le generava. Quando, però, fu creato Êléh, e questo si aggiunse al suo nome, originando Élohïm (äìà+éî), le produsse in totalità per virtù di questo stesso nome. È questo il significato di: “Chiamò col nome”: vale a dire con il suo nome chiamò e produsse tutte le specie destinate all’esistenza. Con la stessa accezione è iscritto: (Esodo XXI,2 e 3) “Ecco io ho chiamato con il Nome (Besalel)”, in altre parole io ho pronunciato il mio nome affinché Besalel fosse stabilito nelle sue funzioni.

“Di molto la grandezza” (Isaia XL,26). Cosa vogliono dire queste parole? Esse sottintendono come la volontà di Dio, che si compie al primo grado, si realizza anche, tramite una via misteriosa, nel mondo inferiore [2b].

“E potente in forza”. Queste parole indicano il mistero del mondo celeste, in altre parole quello di Êléh inseritosi nel nome Élohïm, come abbiamo precedentemente spiegato.

“Nessun uomo manca” (Isaia XL,26), in altre parole, nessuno dei seicentomila, creati con la virtù del nome (Zohar I,157a e II,22a), è assente. Come gli Israeliti, i quali, per quanto decimati a causa dei loro peccati, furono computati ad ogni censimento sempre come seicentomila senza che uno solo di loro mancasse (Banndbar Rabba, sezione Qui Tissa), così nessuno dei mondi qui in basso, non mancherà mai, perché essi corrispondono alle armate celesti.