Misteri della Creazione

 

 

 

[16b] É scritto: Ed Élohïm disse: che la luce sia fatta. Da questo versetto, la Scrittura espone in dettaglio il mistero della creazione, laddove nei precedenti, questa era stata introdotta in maniera generica. Nel Genesi, la Scrittura esordisce con il descrivere la creazione in termini generali; in seguito, espone le opere della creazione in dettaglio e alla fine la richiama in maniera generica. Questa descrizione in dettaglio delle opere della creazione, preceduta e seguita da una generalizzazione, ha per proposito quello di applicare al racconto la regola ermeneutica, che specifica: ogni volta in cui si trova nella Scrittura una specie preceduta e seguita da un genere (vale a dire quando la Scrittura indica qualcosa in termini generali, che definisce in seguito e che generalizza di nuovo alla fine), sia la specie a determinare il genere (Tiqouné Zohar XLI; Minhath Yohouda foglio 12a e 27b; Zohar IV,264a).

La creazione si opera per il tramite della volontà del misterioso Infinito. Soltanto per quanto concerne la creazione delle opere in dettaglio è, però, utilizzato, per la prima volta, l'elemento parola, così come è scritto: Ed Élohïm disse, che la luce sia. Il Verbo, quindi, si manifesta soltanto per la creazione dei dettagli, laddove la creazione della materia indistinta[1], fu operata antecedentemente alla manifestazione del Verbo. É questo il motivo per cui non si trova, nei due primi versetti del Genesi in cui è esposta la creazione della materia in generale, la parola Vayomer (disse).

Per quanto l’espressione, Bereschith bara Élohïm significhi: Con il Verbo Élohïm creò i cieli e la terra, non se ne deve concludere per questo che, considerato che la materia fu creata tramite il Verbo, quest'ultimo si sia manifestato prima della creazione. Esso esisteva, ovviamente, dall’Eternità, ma si manifestò per la prima volta soltanto nel momento in cui la materia fu creata.

Il misterioso Infinito, anteriormente, manifestava la propria onnipotenza e l’infinita bontà tramite l’impenetrabile Pensiero, essenza simile al misterioso Verbo, ma di natura silenziosa. Il Verbo, manifestatosi solo nel momento della creazione della materia, esisteva anteriormente sotto forma di Pensiero, per l’ovvia induzione che, se la parola è capace di esprimere tutto ciò che è materiale è inidonea a rappresentare l’immateriale[2]. Per tale motivo la Scrittura riporta: E Élohïm disse (va-Yomer Élohïm), in altre parole, Élohïm si manifestò come Verbo.

 Questo seme divino[3], tramite il quale la creazione fu realizzata, viene a svilupparsi e trasformandosi da Pensiero in Verbo, fece intendere una voce che si udì all’esterno.

La Scrittura, considerato che ogni luce scaturisce dal mistero del Verbo, aggiunge: Che la luce sia (iehi or) . La parola iehi, è costituita da tre lettere, due yod, una all’inizio l'altra alla fine e da una hé al centro (yhy). Questa parola è la rappresentazione del Padre e della Madre Celeste (Zohar I, 232b e 234b), indicati rispettivamente, con le lettere yod ed Hé (hy) e dalla terza essenza divina che procede dalle due precedenti, rivelata dall’ultima yod della parola iehi. Questa lettera è identica alla prima, per avvisarci che tutte e tre le ipostasi sono in realtà una sola unità. Il Padre, rappresentato con la prima yod è il dispensatore di tutte le luci celesti. Quando fu concretizzata la materializzazione del vuoto, tramite il suono del Verbo rappresentato dalla Hé, la luce celeste, essendo inconciliabile con la materia, si occultò (Zohar I,65a).

Il Verbo, con il suono del quale la creazione della materia avvenne, non era ancora articolato, poiché Esso si manifestò soltanto al tempo della creazione delle opere particolareggiate descritte nella Scrittura. Quando si manifestò, si unì al Padre per la largizione della luce, la quale, inconciliabile con la materia perché procedeva unicamente dal Padre, divenne disponibile alla stessa nel momento in cui emanò contemporaneamente dal Padre e dal Verbo. La prima yod della parola iehi indica il Padre; l’ultima la luce celeste. Tale lettera fu posta di seguito alla hé, dal momento che la luce celeste che simboleggia, per divenire assimilabile dalla materia, necessitava che scaturisse simultaneamente dal Padre e dal Verbo, vale a dire dalla prima yod e dalla hé.

Considerato che anche i tre punti vocali sottintendono le tre ipostasi divine (Zohar I,15b): Lo Holem ( . ), il quale individua il Padre, il Schoureq (... o . )[4], il Verbo; e lo Hireq ( . ), la luce celeste, se ne deduce che questa ultima ipostasi procede dalla due prime, con le quali costituisce una Unità. É questo il motivo per cui la parola or (luce), è segnata con il punto vocale Holem ( . ), punto sospeso senza alcun contatto sopra la lettera, per indicarci che la luce fluente dal Padre, simboleggiata proprio dal punto vocale Holem, essendo rimasta incomunicabile alla materia, necessitava che procedesse dal Padre e dal Verbo.

Prima della manifestazione del Verbo, la luce scaturente dal Padre formò sette lettere; ma queste erano incomunicabili alla materia[5]. Quando il fuoco sacro, quantunque nebuloso, si manifestò per trasformare la materia dallo stato di tohou in quello di bohou, furono formate altre sette lettere; tuttavia, costituite come le precedenti di pura luce, rimasero anche loro inaccessibili alla stessa. Fu soltanto quando il Verbo si manifestò che le altre otto lettere dell’alfabeto furono formate. É il Verbo che ha reso assimilabili le lettere dalla materia, facendo dissolvere la barriera che le separava dalla luce celeste. É questo il motivo per cui la Scrittura riporta: Ed Élohïm disse: che il firmamento sia fatto e che separi le acque dalle acque, in altre parole: sia stabilito un limite tra la luce regnante in alto e quella in basso. Infatti, rendendo la luce celeste accessibile alla materia, il Verbo indicato dalla parola Élohïm, non ha reso la materia totalmente atta ad assorbirla interamente ma gli ha posto certi limiti.

Il firmamento che Élohïm crea tra la materia e la luce celeste serve da confine tra l’una e l’altra: la materia vi si può avvicinare  elevandosi, mentre la luce celeste può discendere fino a quel limite. Il firmamento, però, otre a limitare funge anche da tratto di unione tra l’una e l’altra; ed è proprio in virtù di tale funzione di unione che entrambe sono riunite in Élohïm. Considerato che El, è divenuto Élohïm, se ne desume anche una trasposizione per la luce celeste e la materia. La prima si trovava, inizialmente, alla destra di El, mentre la seconda alla sua sinistra. Ma quando El divenne Élohïm fu la materia a trovarsi alla sua destra e la luce celeste alla sinistra. Questo è il senso delle parole della Scrittura: Ed Élohïm vide che la luce era buona, e separò la luce dalle tenebre. L’ipostasi che costituisce nell’essenza divina la Colonna centrale, è buona, perché serve da giunzione tra il mondo superiore e quello inferiore, rendendo, così, il nome di Jéhovah completo. Accordando alle tenebre della materia la capacità di trasformarsi in luce fino ad un certo limite e imponendo questo stesso limite alla luce celeste, oltre il quale questa non può discendere, Élohïm ha stabilito il tratto di unione tra il cielo e la terra.

 


 

[1] Con [wm }yad azrm aryab aylt alk hwh akh du, lo Zohar vuol dire: la creazione della materia indistinta, in altre parole il piano della creazione nella sua globalità. (Minhath Yehouda, foglio 27a). [Torna al Testo]

[2] Traduzione letterale: la parola è utilizzata per disquisire ed esaminare al fine di sapere (udmlw lacml amyyq whya); non è idonea ad esprimere ciò che  può essere manifestato soltanto per il tramite del pensiero. [Torna al Testo]

[3] Il passo fa riferimento ai concetti espressi nel foglio 15b. N.d.T. [Torna al Testo]

[4] Come abbiamo già riferito in una nota al foglio 15a, le opinioni dei commentatori, sul punto vocale che lo Zohar indica con il termine Schoureq , sono eterogenee. [Torna al Testo]

[5] Letteralmente: non gelando, rimasero liquide (wcyrqa alw syjl wmyyqw); in altri termini non avendo preso corpo, esse rimasero inaccessibili. [Torna al Testo]