Il tuo browser non supporta il tag embed per questo motivo non senti alcuna musica

Qualunque erudito moderno che appena abbia sentito parlare di Hobbes, potrebbe facilmente confutare le considerazioni innanzi esposte facendoci osservare che le parole non possono avere una energia in sé in quanto alla loro istituzione ha presieduto l'arbitrio e quindi, nel migliore dei casi, le parole non hanno altro valore che non sia convenzionale e che pertanto è sempre diverso.

Eppure, nonostante Hobbes, correndo il rischio di essere accusati quanto meno di essere dei sognatori, non ci è facile abbandonare l'idea che ci stavamo formando circa una nobile origine della parola, e sulla possibilità dell'esistenza di una realtà, dietro di essa.

Anzi uno scrittore, Fabre d'Olivet, forse, come noi, sognatore, ci dà una mano affermando:

"... le parole che compongono le lingue in generale, e quella ebraica in particolare, lungi dall'essere buttate là a caso e formati dall'esplosione di un capriccio arbitrario, come si è voluto pretendere, sono al contrario prodotte da una motivazione profonda:.... non esiste una sola (parola) che.... non possa ricondurre a degli elementi fissi e dotati di natura immutabile quanto al principio, malgrado che variabile all'infinito quanto alle forme."

L. C. de St. Martin - il Filosofo Incognito - forse voleva dire la stessa cosa quando scriveva:

"In qualunque maniera si consideri l'origine del genere umano, il germe radicale del pensiero non può essergli stato trasmesso se non attraverso un segno, e questo segno suppone un'idea-madre."

Fabre d'Olivet nella sua "Grammatica" de "La lingua ebraica restituita" aggiunge: "Cerchiamo di scoprire come il segno, manifestandosi al di fuori produsse un nome; e come il nome caratterizzato da un tipo figurato produsse un segno. Assumiamo come esempio il segno M (m Mêm ebraico) che, enunciandosi con i suoi elementi primordiali il suono e l'organo della voce, diviene la sillaba aM o Ma, e si applica ad una delle facoltà della donna che la distingue eminentemente, vale a dire a quello di Madre. Se qualcuno in vena di scetticismo mi chiede perché io riconduco l'idea di Madre in questa sillaba aM o Ma e perché sono sicuro che vi si applichi effettivamente, gli risponderò che la sola prova che posso fornirgli nella sfera materiale in cui si muove è questa: in tutte le lingue del mondo, da quella dei Cinesi fino a quella dei Caraibi, la sillaba aM o Ma si riconduce all'idea di Madre, come aB o Ba o Pa a quella di Padre. Se questo scettico dubita della mia asserzione, mi provi che è falsa; se non ne dubita mi dica come è possibile che tanti popoli diversi, gettati a così grandi distanze, sconosciuti gli uni agli altri, si sono accordati nel dare questo significato a questa sillaba, o se invece questa sillaba non è l'espressione innata del segno della maternità"

L'autore del Sepher Yetzirah al segno alfabetico "Mêm" fa corrispondere l'acqua e, ci sembra, che sia antica, e direi connaturata all'uomo - perfino in momenti inconsci o non controllati dalla coscienza quali il sogno - la rappresentazione della nascita usando il simbolo dell'acqua: cadere nell'acqua o uscire dall'acqua.

Tutti i mammiferi provengono da animali acquatici, tutti - non escluso l'uomo - hanno passato nell'acqua la prima parte della loro vita: nascendo essi escono dall'acqua. Nei racconti popolari tedeschi la tradizionale cicogna che porta i bambini, li prende da uno stagno, da un pozzo. Nei miti è assai frequente, in luogo della nascita dell'eroe, narrare il suo salvataggio dall'acqua: si pensi ad esempio a Mosè, salvato dalle acque, a Romolo e Remo, salvati dal Tevere, ecc.

Con le considerazioni che precedono, certamente, non pretendiamo di aver dato definitivamente la dimostrazione dì una determinata origine della Parola e quindi della creatività che è in essa e pertanto della sua sacertà, né che questo discorso sia riferibile alla lingua ebraica più che ad altre; tuttavia - per quanto ci riguarda - qualche dubbio sulle affermazioni di Hobbes ora ha una consistenza maggiore.

Pertanto, sia pure solo per tentare di trovare ancora qualche elemento - che, come al solito, non chiude il problema, ma ci aiuta a tenerlo aperto - vale la pena di considerare che l'alfabeto, nel senso esatto del termine, si ispira al principio cosiddetto dell'acrofonia cioè ad un segno ideografico viene attribuito un valore fonetico corrispondente alla sua consonante iniziale.

Per esempio la lettera B nasce dai segno indicante la pianta di una tenda (beth), la lettera G dal profilo di un cammello (ghimel), la lettera D dal disegno di una porta (daleth). Non a caso abbiamo scelto questi esempi della lingua ebraica perché l'alfabeto (come riferisce il Dizionario Enciclopedico Treccani alla voce relativa) è stato inventato in Siria o in Palestina nei primi secoli del secondo millennio a.C. per scrivere i dialetti semitici del paese.

Ma, in realtà l'alfabeto che sviluppò il citato principio dell'acrofonia fu quello fenicio - non dimentichiamo sempre di area semita - che cominciò la sua diffusione sin dal terzo millennio a.C.. Esso, a differenza delle centinaia di segni dell'alfabeto cuneiforme e geroglifico, comprendeva solo 22 lettere, il che spiega il rapido successo fra gli Ebrei, gli Aramei e gli altri popoli semiti.

In questo alfabeto si possono trovare le origini dell'alfabeto greco (che inizialmente si scriveva anche in senso sinistrorso) e quindi - per quanto riguarda la lingua italiana - dal greco ritrovare, via via le origini dell'italico, dell'etrusco e del latino.

L'ampia digressione, seppure utile e necessaria a fissare qualche punto, come si è detto, non ha la pretesa di dimostrare né la sacertà, né la priorità della lingua ebraica, la quale infatti non è né la prima né l'ultima delle lingue, né la sola lingua madre.

Per giungere ad una conclusione assolutamente inattaccabile forse dovremmo cercare di penetrare tutti i possibili idiomi della terra, estrapolarne i punti di contatto e stabilire dove sta la priorità, il che non ci sembra né facile né possibile.

Tuttavia, almeno come ipotesi di lavoro, ci sembra più che accettabile la tesi di Fabre d'Olivet secondo il quale, per elevarsi alle radici dei linguaggio non si può prescindere da almeno tre antichi idiomi: il Cinese, il Sanscrito e l'Ebraico, i quali hanno acquisito diritto alla venerazione per essere rispettivamente la lingua di libri di principi universali denominati King dai Cinesi, di libri della scienza divina chiamati Veda o Beda dagli Indù, e infine del Sepher di Mosè.

In questi autentici monumenti dell'umanità la Parola ha lasciato oltre alla sua impronta ineffabile, tesori di conoscenza e di sapienza.

Probabilmente, oltre agli idiomi indicati ve ne sono anche altri, ma per quanto ci è dato sapere, nessuna lingua possiede una letteratura sacra più originale ed estesa di quelli suddetti.

Ciò premesso, la lingua cinese, pur essendo la più antica, è vissuta isolata sin dalla nascita e per noi occidentali in generale e dell'area culturale mediterranea in particolare, vive tuttora in una dimensione temporale e spaziale assolutamente diversa e non facilmente penetrabile.

La lingua sanscrita, stimata, dai suoi cultori, come la più perfetta, superiore al latino ed al greco in regolarità e ricchezza, è ormai morta nella sua espressione fonetica, pur restando nella radice di molte parole dei linguaggi occidentali.

Quanto alla lingua ebraica , come abbiamo innanzi visto, il suo alfabeto è quello più vicino alle origini del nostro quindi, per noi, è - quanto meno - più congeniale entrare nello spirito delle idee trasmesse in una più volte millenaria successione diretta od indiretta, ed inoltre e soprattutto è assolutamente costitutivo per il nostro pensiero il Libro che la racchiude, che "coperto da un triplice velo, ha attraversato indenne il torrente dei secoli, sfidando lo sguardo dei profani, e unicamente compreso nel corso dei tempi, da quelli che non potevano divulgarne i segreti".

 

La Parola come Creazione   L'Ebraico Lingua Sacra L'Ebraico Biblico

  L'Ebraico Post biblico La Natura del Segno Corrispondenze e Suoni